Pronto l’olio novello Euganeo. Stagione difficile ma la qualità di sempre

Il direttore del Consorzio Olio Veneto DOP, Enzo Gambin, rivela gli esiti della stagione olearia appena conclusa sulle alture padovane e getta uno sguardo sul futuro del settore
Goccia dopo goccia la stagione olearia è arrivata agli sgoccioli, il frutto che da secoli trova un suo habitat naturale sui dolci declivi dei Colli Euganei è diventato verde e profumato EVO, l’extravergine ottenuto da diversi cultivar, tra cui l’autoctono Rasara, vera eccellenza del territorio. Ogni fase della lavorazione è stata seguita con puntualità e precisione dai “pestrin”, i frantoiani, perché la velocità di lavorazione è determinante per un ottimo risultato finale: la spremitura di un’oliva appena raccolta e nel suo perfetto stato di maturazione permette di produrre un olio ricco di sapore.
L’eccellenza dell’extravergine euganeo proviene dalla particolare geomorfologia del territorio, dal clima, dalle varietà degli olivi e dall’abilità dei frantoiani
Sulla professionalità degli operatori euganei non ci sono dubbi: il Frantoio di Cornoleda, di Valnogaredo, l’Evo del Borgo e il Borgo del Poeta sono tutte realtà pienamente affermate e caratterizzate da produzioni di alta qualità, ma molto dipende anche dalla stagione e per sapere che extravergine dovremmo aspettarci, abbiamo scambiato quattro chiacchere con Enzo Gambin, direttore del Consorzio Olio Extra Vergine d’Oliva Veneto DOP – alla quale tutti e 4 gli stabilimenti euganei sono affiliati.
– Che extra vergine sarà quello della stagione olearia 2021?
“Dopo un’annata 2020 molto produttiva, la campagna olivicola e olearia 2021 è stata modesta per tutto il Nord-Est d’Italia. Un negativo andamento dovuto all’alternanza di produzione, caratteristica che è fisiologica e naturale della pianta d’olivo, a un anno abbondante ne segue uno più scarso. Abbiamo poi avuto condizioni climatiche avverse: prima le gelate, che hanno danneggiato le gemme e ritardato le fioriture, poi le grandinate estive, che hanno dato il colpo di grazia, e, in alcune zone, le perdite hanno raggiunto anche il 90%”.
– E dal punto di vista della qualità?
“La qualità degli oli è buona. Al gusto si ha una buona sensazione di fruttato, segno che l’oliva era sana, fresca e lavorata in frantoio al giusto grado di maturazione. In bocca è ben evidente l’amaro, che è il sapore caratteristico dell’olio ottenuto da olive ricche di composti fenolici. Poi il piccante, che è un pregio degli oli. L’amaro e il piccante derivano dalla presenza di sostanze preziose, gli antiossidanti, che proteggono sia l’olio dall’ossidazione e sia le cellule dell’organismo umano”.
– C’è qualche cultivar, tra quelle euganee, che sta rispondendo in modo migliore ai cambi climatici di questi ultimi anni? C’è anche per il mondo olivicolo, così come per quello vitivinicolo, una nuova direzione da intraprendere?
“I cambiamenti climatici, con temperature che si stanno alzando, portano sicuramente conseguenze all’olivicoltura. Non ne conosciamo ancora bene gli effetti sulla fisiologia della pianta d’olivo. Probabilmente le conseguenze saranno più di origine fitosanitaria, legate a presenze e sviluppo di parassiti emergenti e di nuova introduzione. Questo non è senza precedenti, già nel Medioevo, dall’800 al 1300, ci fu il “Periodo caldo medievale”, le temperature si alzarono talmente che la coltivazione dell’olivo scese in pianura. Dopo, tra il 1500 e il 1800, si ebbe la “Piccola era glaciale”, che fece compiere all’olivicoltura il percorso inverso. Allora, nulla di nuovo, se non che i cambiamenti climatici di oggi sono esaltati dalle conseguenze dell’effetto serra legato alla CO2 e, ciò, potrà portare l’olivicoltura a dover ricorrere, come per altre colture arboree e viticole, all’irrigazione di soccorso, al mantenimento nei suoli di maggior materia organica naturale, a variare le pratiche agronomiche di fertilizzazione e le epoche con cui attuare le potature. Una cosa è certa, in questi ultimi anni, sia perché è aumentata la cura e attenzione nelle pratiche colturali degli oliveti, sia perché sono migliorate le tecniche e le macchine olearie, si hanno oli migliori e più salutari, non pensabili trenta anni fa. Questi, sono dei dati reali su cui riflettere e su cui confrontarsi, magari con chi ha già adottato le pratiche di tutela ai cambiamenti climatici”.
– La produzione euganea è di eccellenza, lo testimoniano i tanti premi e riconoscimenti assegnati in questi ultimi anni, c’è ancora spazio per una crescita ulteriore?
“L’eccellenza che sa esprime l’olio d’oliva prodotto nei Colli Euganei proviene dalla particolare geomorfologia del territorio, dal clima, dalle varietà degli olivi da tanti anni lì coltivati, come la Rasara, la Marzemina, la Rondella, il Matosso, ognuna offre oli con differenti profumi e sapori. Si aggiungono la bravura degli olivicoltori, moderne macchine per la spremitura delle olive, la sapienza del frantoiano. In sostanza l’eccellenza proviene da un composito lavoro della natura e le competenze umane. In tutto questo sicuramente c’è ancora possibilità di migliore il prodotto, nelle pratiche agronomiche, nella scelta dei momenti della raccolta, nei tempi di frangitura e gramolazione delle olive. La produzione dell’olio extra vergine d’oliva non è di per sé un’attività statica, ma ha una necessità di essere continuamente esaminata, controllata e migliorata”.
E per quanto riguarda la quantità? Avrebbe senso e soprattutto: potrebbe trovare risposta nel mercato una produzione euganea meno artigianale e più “da grandi numeri”?

Il direttore del Consorzio Olio Veneto DOP Enzo Gambin
“L’area dei Colli Euganei al momento conta circa 400 ettari a oliveto, 180 – 200 olivi a ettaro, con suoli irregolari, superfici contenute, buona produttività per albero ma bassa rispetto alle superfici, limitata meccanizzazione, con raccolte e potature per lo più manuali, seppur con qualche aiuto da parte delle nuove tecnologie. A questo tipo si olivicoltura si sono adeguati i frantoi oleari, con macchine tecnologicamente molto avanzate ma di medie capacità lavorative. A questo si aggiunge la figura del Consumatore che è fidelizzata ai piccoli acquisti in frantoio, dove lo spaccio aziendale lo sente come propria abitazione ed è disposto a spendere un po’ di più pur di vedere proprio all’interno di questo punto vendita tutta la filiera produttiva, magari riconoscendo la provenienza dell’olio all’interno della bottiglia. Alla fine si può considerare l’olivicoltura dei Colli Euganei come artigianale, dalle grandi competenze pratiche e manuali, che richiedono preparazione tecnica, con aziende di dimensioni ridotte, attive sul mercato locale, pure nazionale, in grado di competere e primeggiare per qualità con le grandi imprese europee. Portare a più elevati numeri questa produzione, probabilmente si rischierebbe di cambiare queste capacità e un mondo consolidato, fruttuoso e, perché no, invidiato”.