La tutela al Covid-19 estesa anche ai prodotti italiani
L’Italia è stato il primo paese europeo a conoscere le conseguenze al virus e anche il più colpito. Anche il Made in Italy sta conoscendo un progressivo isolamento nel mercato mondiale
Certo, ci mancava solo lui. Il COVID-19. Tempo fa ho letto un articolo dal titolo premonitore “Prepararsi alla pandemia”. L’autore – Edoardo Altomare – anticipava che “una pandemia influenzale è un evento grave che può coinvolgere in tempi brevi tutto il pianeta…”. Impossibile arrestarlo. La diffusione incontrollata è di gran lunga agevolata dagli individui infetti che non hanno ancora sviluppato i sintomi dell’influenza e che continuano a spostarsi e a viaggiare stabilendo contatti con altre persone. Oramai sono 2 miliardi le persone che si spostano, ogni anno, e la velocità di diffusione di virus e altre potenziali malattie avviene in tempo reale. È il prezzo della globalizzazione e, volenti o nolenti, lo abbiamo iniziato a pagare e a far pagare (non dimentichiamolo) dal lontano 1493, con la conquista dell’America, ma forse anche prima.
Tornando all’articolo di cui vi accennavo, l’autore ripercorre la storia delle maggiori epidemie influenzali occorse dall’inizio del 1900:
Con l’epidemia del 2005 avviene il salto di specie (Spillover) con i primi casi umani riscontrati in Cina.
Affinché si possa parlare di “pandemia” (l’epidemia è più circostritta) occorrono 3 condizioni: la comparsa di un virus/batterio ad alta patogenicità, la sua capacità di infettare l’uomo e una facile e veloce trasmissione da uomo a uomo.
Il Coronavirus, apparentemente, le ha tutte, ma forse la prima condizione non è soddisfatta in pieno. Ora tutti penserete che l’articolo in questione sia stato scritto qualche mese prima del verificarsi in casa nostra di questa pandemia e che l’autore avesse colto in anticipo la nostra impreparazione ad affrontare casi del genere. Quando la televisione riportava quanto accadeva in Cina, molti di noi pensavano – a torto – che la Cina non fosse poi così vi-cina, permettetemi il giochetto di parole! “Tanto a noi non toccherà di certo”.
La stampa internazionale, compresa la blasonata CNN, ha contribuito a fomentare pregiudizi sull’origine della diffusione, salvo poi scusarsi per il danno fatto
La descrizione di quanto accaduto, Edoardo Altomare, l’ha pubblicata sul numero 448 de Le Scienze, pagina 51, anno 2005. Si avete letto bene: 15 anni fa. Al tempo però la notizia non fece alcun scalpore. Semplicemente, un tema del genere pareva essere fuori dalla nostra epoca.
Invece sono bastati “due colpi di tosse” per ripiombare in un passato nel quale certo non immaginavamo di tornare e il modo in cui abbiamo reagito la dice lunga su quanto ci ha colti impreparati. Per lo più si sono fatti danni: con l’informazione (o la disinformazione) seminando il panico (enfatizzando i morti e sorvolando i guariti) e a livello individuale con una schizofrenia che in poche ore ci ha portato dalla noncuranza alla spasmodica ricerca di mascherine, disinfettanti, decaloghi, scorte di cibo. Un vortice di spavento che ci ha letteralmente inebetiti, fino a farci prendere per buona e plausibile anche la richiesta di certificazione virus-free sui nostri vini. Se ci ha preso il panico per un prodotto che è stato messo sotto vetro quattro mesi fa, figuriamoci la frutta e la verdura che va consumata fresca.
Ora, non saremo tutti virologi, però vorrei ricordare che i virus sono parassiti endo-cellulari obbligati: ossia non possono sopravvivere a lungo fuori da un ospite. E per “a lungo”, intendo qualche ora. Non è che adesso non vi possiate più comprare nulla proveniente dalla Cina per paura del virus! Semplicemente, muore dopo poche ore fuori dall’ospite (13 ore sull’acciaio, 16 sulla plastica): per cui, basta con queste scempiaggini fin troppo allarmiste.
Lo dico perché un’altra conseguenza al coronavirus è il racconto che se ne è fatto, un racconto che ha fatto emergere dalla storia termini come “peste”, di manzoniana memoria, “untori”, “monatti”. La stessa stampa internazionale (CNN in primis) ha contribuito a fomentare pregiudizi sull’origine della diffusione, salvo poi scusarsi per il danno fatto. Conclusione: un grave problema per tutta l’economia, dal commercio al turismo, dai servizi all’agricoltura.
Il florovivaismo è stato il primo settore a sentire i colpi della crisi da coronavirus. In occasione della festa della donna è stato registrato il 50% di ordini in meno per le mimose
Tutte le attività ne risentono già adesso e forse la cosa non migliorerà più avanti: i contoterzisti per diverse settimane non hanno potuto lavorare la terra nelle aree rosse, la manovalanza non ha potuto spostarsi, la zootecnia è già in difficoltà e così pure il florovivaismo (50% di ordini in meno per le mimose in occasione della festa della donna); come pure gli agriturismi a causa di un boom di disdette; fiere, manifestazioni e convegni rinviati. Credo proprio che sarà l’agricoltura ad uscire con le ossa rotte da questa triste storia, perché a quello che ho fin qui detto va aggiunto che molti fitofarmaci provengono dalla Cina (dove sono sintetizzati), che il blocco degli spostamenti di manodopera dall’Est dell’Europa persisterà, come pure uno certo scetticismo sui nostri prodotti all’estero. Da quando il COVID-19 è diventato l’inquilino scomodo dell’Italia è cominciata una vera e propria caccia alle streghe nei confronti del nostro paese e dei suoi abitanti. Che dire, Einstein sosteneva che è più facile frantumare un atomo che distruggere un pregiudizio. E c’è da scommetterci che qualcuno speculerà su queste paure e fobie, incentivando il boicottaggio delle esportazioni del Made in Italy.
Azioni compiute da veri sciacalli, come dimostra la richiesta di certificazioni non obbligatorie sui vini nazionali. Va detto che, tuttavia, tali pratiche sono codificate come sleali e sono sanzionabili con multe da 15.000 a 60.000 euro (art. 33 del D.l. 2 marzo 2020), ma vedremo se potrà più la legge o la fantasia. Anche perché non va dimenticato che in Italia si produce la migliore frutta e verdura al mondo, grazie alla biodiversità ambientale e alle ottime pratiche agricole dei nostri operatori, e che il consumo di materie prime di qualità è il primo passo verso la prevenzione di malattie, anche virali. Il segmento ortofrutta è sicuramente il modo migliore per veicolare antiossidanti, vitamine e altre sostanze nutraceutiche.
Se c’è una buona prassi che le famiglie italiane sono tenute a seguire nell’attuale fase di allarme sanitario e in quella successiva di post emergenza, è proprio quella di consumare prodotti ortofrutticoli con continuità, tutti i giorni, per favorire la salute dell’apparato digerente, un vero e proprio “secondo cervello” che è in grado di potenziare la soglia di difesa dell’organismo da virus e batteri. “Nutrirsi bene – spiega un comunicato diramato dalla Fondazione Umberto Veronesi – consente all’intestino di selezionare quei batteri che producono vitamine. Occorre fare molta attenzione a questo aspetto e può essere utile anche mangiare alimenti probiotici per le persone che presentano problemi funzionali. Oppure, per quelle che non riescono ad assumere le fibre, prendere dei prebiotici”. Senza contare che questo atteggiamento può costituire un vero e proprio sostegno alle imprese italiane.
Di buono il Coronavirus ha portato la consapevolezza che l’individualismo è un limite e che negli stati d’emergenza bisogna imparare a ragionare da nazione
Da qui al futuro premiare il Made in Italy non può essere considerato una forma di populismo, ma, anche qui, una forma di tutela verso un modo di intendere l’agricoltura, di sostenerla nella sua qualità insieme al suo indotto di operatori, lavoratori e trasformatori. Di buono questo virus ci ha portato alla consapevolezza che per superare i problemi bisogna imparare a ragionare da nazione. Abbiamo imparato quanto è importante il contributo di tutti, ad abbandonare il nostro individualismo, quello che porta stupidamente a scappare da una zona rossa o a credere che in fondo non siamo certo noi a propagare l’infezione se tanto non ci siamo lavati le mani. Quell’individualismo che superficialmente crediamo innocuo ma che in realtà danneggia i più deboli e, alla lunga, potrebbe danneggiare noi stessi. La conoscenza è il mezzo migliore che abbiamo per affrontare la situazione attuale, anche se qualcuno sostiene che siamo in guerra con due nemici invisibili: uno si chiama coronavirus e l’altro ignoranza.