Si dice Cornetto, Croissant o Brioche? Una cosa è certa: non è francese
Nessuna delle tre definizioni indica il prodotto originale che in realtà è nato in Ungheria verso la fine del XVII secolo, copiando un dolce tipico della cucina ebraica aschenazita. Poi si è diffuso in diversi paesi europei attraverso legami diplomatici, matrimoni tra teste coronate e rapporti commerciali
Articolo a cura di Andrea Duò
Nella Roma Antica si producevano il Savillum (pandolce) e il Mustaceus (pane al mosto) mutuato dalla lavorazione panificatoria greca. Questi pani, anche se tendenti al dolce (il miele era il dolcificante per eccellenza), rappresentavano un primo abbozzo del concetto moderno di prodotti di viennoiserie. In Europa, attorno al Mille nei conventi veniva prodotto dai monaci il panis lunatus (pane a cornetto) da lì probabilmente inizia l’evoluzione medievale del croissant. In epoca moderna, molte sono le leggende che attribuiscono qua e là l’origine e la forma del Croissant alla celebrazione della sconfitta dell’Impero ottomano nell’assedio di Vienna del 1683, o in quello dell’assedio di Budapest del 1686. Secondo quest’ultima leggenda, un panettiere che stava lavorando di notte fu attratto dal rumore dei turchi che segretamente stavano scavando una galleria sotterranea. Il panettiere, capito come si stavano mettendo le cose, avvisò le autorità cittadine che intervennero. Come ringraziamento per aver salvato la città, la Municipalità di Budapest conferì all’artigiano di poter produrre pasticceria a forma di mezzaluna (proprio per ricordare i fatti) con
licenza esclusiva per il merito acquisito. Non esistono però fonti originali o attendibili che confermino queste notizie e come tali, vanno lasciate alle leggende che i popoli possono esprimere. Budapest è però fondamentale nella storia della Viennoiserie e lo è per i motivi che vedremo, non per le leggende che aleggiano su di essa. Di assodato si può confermare il fatto che i Kifli ungheresi hanno influenzato i kipferl austriaci.
Andiamo con ordine, il croissant è la derivazione francese di un dolce austro-ungarico, kifli in ungherese, che diventa kipferl a Vienna, la cui esistenza è stata documentata, in varie forme, fin dal XIII secolo.
Il kipferl può essere semplice o con noci o altri ripieni (alcuni considerano il rugelach un ispiratore del Kipfli e del kipferl). I rugelach (yiddish, rogalech) sono un dolce
tipico della cucina ebraica di origine Aschenazita. Probabile variante antecedente del kipferl originario. Infatti come descritto, il nome deriva dallo Yiddish ebraico: il finale ach indica il plurale, mentre la particella el indica un diminutivo; la radice Rug del nome significa “rigirato” oppure “rivoltato”, in riferimento alla sua forma arrotolata. I rugelach “involtini dolci” sono preparati con una pasta di panna acida (ricetta tradizionale), o lievito madre ottenuto da formaggi inaciditi, esistono anche versioni senza latte e suoi derivati, in modo che possa esser consumato insieme o dopo un pasto di carne e rispettare le regole kosher di tradizione Ebraica. Nel dettaglio, dal mondo Ebraico-Magiaro il dolce è passato al mondo degli Asburgo. Gli austriaci credettero molto nel Kipferl e lo elessero a loro preparazione tipica. In Italia, la preparazione del kipferl si diffuse in Veneto alla fine del 1600, grazie agli intensi rapporti commerciali tra l’allora Serenissima Repubblica di Venezia e Vienna.
In Italia, la preparazione del kipferl si diffuse in Veneto alla fine del 1600, grazie agli intensi rapporti commerciali tra l’allora Serenissima Repubblica di Venezia e Vienna
La storia vuole che nel 1797, con il Trattato di Campoformido e successivamente con l’istituzione del regno Lombardo Veneto, il kipferl o cornetto, insieme ai krapfen e al gulasch, accrebbe ulteriormente la propria popolarità in questi territori. Trieste era lo sbocco al mare dell’Impero e la logistica allora come oggi aveva la sua importanza. Prima di quella data, nel 1770, con il matrimonio tra l’austriaca Maria Antonietta e il futuro re Luigi XVI, la corte francese scopriva il prodotto. La ricetta, venne adattata e modificata ai gusti francesi dai pasticceri di Versailles, che lo arricchirono di burro. La versione francese del kipferl fu battezzata croissant per la sua forma a quarto di luna, quindi crescente. Il croissant è un particolare tipo di viennoiseries con una preparazione simile alla pasta sfoglia; il prodotto viene quindi tagliato in triangoli che sono arrotolati e piegati dandogli la forma di quarto di luna, prima di farli lievitare ed infine cuocerli in forno. Per imitazione i francesi iniziarono a cercare i piatti dei loro sovrani, l’eccellente pasticceria austriaca si fuse con l’eccellente panificazione francese. Nel 1838, l’ufficiale austriaco in congedo August Zang all’età di 31 anni decise di investire la ricchezza accumulata nell’esercito in un panificio parigino. Lo fece sapendo di trovare un mercato fecondo di novità ed evoluzioni. Quasi un secolo prima della Prima Guerra Mondiale inaugurava il suo negozio-laboratorio in Rue de Richelieu 92. Il successo che ottenne, fu ben presto imitato da molti fornai e pasticceri francesi che così facendo avvicinarono e superarono i piatti sfarzosi che i loro sovrani si erano potuti permettere prima della Rivoluzione Francese. Quando nel marzo del 1848 la libertà di stampa fu concessa anche in Austria, Zang vendette la pasticceria e tornò in patria. Alan Davidson, curatore dell’Oxford Companion to Food, a seguito delle sue ricerche, non ha rintracciato alcuna ricetta per il croissant moderno in alcun libro di ricetta francese precedente l’inizio del XX secolo. Il primo riferimento al termine “croissant” si trova nel libro del 1853 Des substances alimentaires (Payen) ed è citato per la prima volta nel Dictionnaire de la langue française nel 1863. Nel testo non è stata inserita la ricetta. La prima ricetta per preparare il croissant moderno si trova invece nella Nouvelle Encyclopédie culinaire del 1906. In Italia, il croissant viene comunemente chiamato cornetto nelle regioni centro-meridionali e brioche nelle regioni settentrionali. Alla fine degli anni settanta, nel tentativo di contrastare la diffusione dei fast food statunitensi, in Francia furono aperte diverse catene di croissanterie in cui i croissant sono serviti con ripieni di vario tipo, dal prosciutto al cioccolato. Zang aveva però importato quella commistione fra la panificazione e la pasticceria che tuttora si identifica con il termine viennoiserie.
A Venezia erano gli Scaleteri, ad occuparsi della preparazione dei biscotti, dei budini, delle marmellate delle torte e delle antiche brioches
A Venezia l’arte dolciaria si sviluppa dopo il 1204, quando con la conquista di Costantinopoli si affacciano sul mercato spezie e aromi mai visti, ma anche influenze
La brioche veneziana è una evoluzione del pane fatto a chiocciola denominato “bovolo”.derivanti dalla lavorazione dei prodotti presenti sul mercato orientale. L’opulenza di possedere lo zucchero permise di creare e perfezionare molti prodotti. Chi gestiva la lavorazione dei prodotti dolci erano gli Scaleteri, una corporazione, (li chiameremo pasticceri oggi) che doveva occuparsi della preparazione dei biscotti, dei budini, delle marmellate e delle torte. La brioche veneziana è una evoluzione del pane fatto a chiocciola denominato “bovolo”. Il bovolo è un pane che ci ricorda anche la gradinata di una scala, da qui deriva anche il nome dei scaleter. Spesso questi erano in concorrenza con i fornai e per distinguersi creavano marzapani, cotognate, spongade, fogliade, scalete, fugasse, bianchetti (ciambelle zuccherate) storti, zaleti, bigarani, fritole, favette, galani, dresse (treccie) ecc. Socialmente erano più strategici i fornai, più forti e più organizzati ma anche gli scaleter godevano di una adeguata considerazione sociale. Il pan co l’ua era la sintesi fra le due corporazioni. Il possesso dello zucchero era comunque sinonimo di ricchezza. La brioche veneziana ha avuto la fortuna di essere messa in produzione dalla Motta nel 1953, in pieno boom economico. La sua facilità di reperimento le ha tolto però la sua aurea di specialità alimentare che meritava. I pasticceri che la sanno far apprezzare adeguatamente ci sono, ma non ovunque si può gustare un buon prodotto. La sfida per il futuro è trovare una sintesi fra clienti che la sappiano apprezzare e pasticceri che la sappiano valorizzare. Gli scaleter ci hanno lasciato cose buone, non dobbiamo ricordarci di loro solo a carnevale con i prodotti fritti o a Pasqua con la colomba.