‘Su pa i Monti’ e la teoria del ‘rumego’

Dietro ad un profilo Instagram si nasconde un gruppo di ragazzi che hanno inventato un modo divertente di vivere i Colli Euganei, che insegna la pazienza, il rispetto per l’ambiente, stimola la curiosità e allena muscoli insieme alla mente
Articolo a cura di Giada Zandonà
Su pa i monti, zo pa i calti, in meso ae bracane, dentro i busi, sora e prie, oltri i trosi, drio i motoi, impaltà sue fontane: ea teoria del rumego. Non è una nuova strofa della “litania dei Calti” del professore Antonio Mazzetti, è l’impresa di un gruppo di giovani padovani che hanno seguito i sentieri de “I nomi della terra” e ne hanno intrapresi di nuovi e sconosciuti, segnando un punto di contatto anche con il naturalista “Regi” Gastone Cusin e i suoi “Siti misteriosi dei Colli Euganei”.
‘Su pa i monti’ è il nick name di un profilo Instagram ed è anche la storia di un gruppo di giovani speleologi che hanno iniziato a conoscere ed indagare la geografia euganea in un modo piuttosto originale. Dal 2019 è diventato un vero e proprio progetto e oggi rappresenta un punto di riferimento nei social network per le “stranezze” naturalistiche o antropiche dei Colli Euganei: calti, grotte, pietre, antichi manufatti, anfratti, spesso – anzi molto spesso – poco conosciuti.
Cosa vi ha spinto a ricercare i luoghi narrati dai naturalisti Antonio Mazzetti e Gastone Cusin?
“Ci siamo appassionati alle loro ricerche e al modo in cui lo fanno: con rispetto verso il territorio e con un grande spirito di avventura. Abbiamo cominciato a raccontare i Colli Euganei su Instagram prima attraverso delle grafiche e poi con le foto dei siti che visitavamo. All’inizio erano luoghi semplici da raggiungere e conosciuti e poi, ci siamo spinti alla ricerca di luoghi narrati nelle leggende e nelle storie. Nei post li presentiamo con delle fotografie ed un testo con alcune curiosità, ma non riveliamo mai agli utenti dove si trovano. Così lasciamo loro l’opportunità di una ricerca e, soprattutto, tuteliamo questi spazi da eventuali visitatori maleducati”.

Pria Brancura
Come ricercate nella pratica questi “luoghi misteriosi”?
“All’inizio erano appunto i libri e le riviste a guidarci verso luoghi noti. Poi abbiamo cominciato a parlare con gli anziani, a suonare i campanelli ai residenti per chiedere informazioni sulle “voci” di siti particolari. Altre volte invece ci lasciamo guidare dall’istinto e andiamo semplicemente alla scoperta dei versanti privi di sentieri già battuti e cominciamo a mettere in pratica la nostra ‘teoria del rumego’. Un modo di indagare i Colli che assomiglia al ‘Calting’ di Antonio Mazzetti, che consiste nel scendere o risalire gli ambienti scavati da torrenti o ruscelli”.

Grotta carsica
Cos’è nella pratica la “teoria del rumego”?
“Abbiamo dato un nome simpatico a quello che facciamo. Si tratta della trasposizione euganea del più famoso ‘ravanage’ montano. Consiste nel cercare sempre la via più difficile, rigorosamente fuori dai sentieri. Gli ambienti prediletti dai praticanti sono i fondi dei calti e le relative gole da risalire, i passaggi di grado indefinibile su prie, le discese in libera in cave franose, ingressi poco ortodossi su ogni ‘buseto’ e il passaggio rispettoso in proprietà private. Si tratta di un’attività che ha contagiato molte persone: i praticanti sviluppano un’ottima resistenza ai pungitopo che popolano i Colli Euganei e portano a casa i graffi dei rovi e a volte anche qualche pulce. Per non parlare delle fughe dai cinghiali, ma sono proprio loro che ci hanno insegnato questa ‘teoria’ ed infatti per praticare il “rumego” dobbiamo pensare, nella nostra mente, di essere un cinghiale”.

Tana de Sachejo
Che significato ha per voi questa attività e che importanza può avere per il territorio?
“I Colli spesso sono vissuti come una “palestra” o un parco giochi, noi abbiamo cercato di avvicinare i giovani alla conoscenza della cultura, della storia e della tradizione Euganea attraverso un modo divertente, appunto quello del ‘rumego’, che permette di entrare in contatto intimamente con l’ambiente naturale. E poi c’è la sfida di rintracciare i luoghi che raccontiamo, con kit di “sopravvivenza”, come corde, tiranti, attrezzi contro i rovi. Il tutto però sempre sottolineando il rispetto verso i siti e l’ambiente. Infatti capita spesso di raccontare anche esempi di scempio del paesaggio, atteggiamenti poco rispettosi nei confronti di un’area tutelata come quella euganea. Lo scopo – lo ribadiamo – è quello di tornare a sentirci parte della natura, non di dominarla, di uscire dalla logica di uno sport o di un’attività outdoor in tutina fluo e accessori all’ultima moda. Il ‘rumego’ è lasciarsi guidare dalla voglia di scoperta, da quell’infantile sentimento che è fatto di curiosità, di avventura, di magia che proviene dal non noto e di perdervisi dentro. Il ‘rumego’ non dà il risultato certo, non c’è sempre una meta ad attenderci. Il ‘rumego’ è uno stato dell’essere, siamo noi a mani nude nei confronti della magia della Natura, una forma di panteismo: per carità ludico, ma capace anche di entrare in sintonia con Sacro e con quel divino che da sempre è fonte di paure, di leggende e di storie bellissime sul mistero”.

Covolo de San Biasio