Giostre e tornei medievali, non solo sfoggio di forza, ma anche di eleganza

Queste antiche manifestazioni “di piazza” oggi vengono rievocate dai pali, come quello de La Marciliana a Chioggia, quello di Montagnana o la Giostra di Monselice. Un opuscoletto, stampato a Padova nel 1549 ad opera di Girolamo di Musici ci informa de La giostra…fatta in Padova, l’anno 1549 vinto da messer Girolamo Giona

Alcuni esempi delle giostre e delle competizioni che si tenevano in un torneo
Secondo l’apposito registro regionale, nella provincia di Padova si contano 11 “manifestazioni storiche di interesse locale”, alcune delle quali, come il Palio di Montagnana, la Giostra di Monselice o il Palio dell’Arcella, piuttosto longeve e ad ogni scadenza seguite da numeroso pubblico. Si tratta però di invenzioni moderne non della riproposizione di feste e giochi realmente documentati (com’è il caso, ad esempio della Palio del drappo verde di Verona). Ambientate per lo più nel Medioevo, queste manifestazioni traggono spunto da episodi di storia locale per intessere una narrazione, fatta di prove e competizioni varie ed esemplata su analoghi spettacoli storici ben noti (come il Palio di Siena o la Giostra di Arezzo).
Tornei (combattimenti a squadre) e giostre (combattimenti a singolar tenzone), sono tra le più tipiche manifestazioni dell’epoca feudale, e nacquero come esercizi cavallereschi e guerreschi da fare in tempo di pace, destinati alla classe aristocratica che in essi esibiva tutta la propria potenza davanti alla popolazione della città.
Grazie alle ricerche condotte, sul finire del ‘700, dall’ abate Sberti (Degli spettacoli e delle feste che si facevano in Padova) sappiamo che anche nella Città del Santo essi si svolsero spesso tra il XIV e il XVII secolo. Nel ‘500, in particolare, le notizie di questi festeggiamenti si infittiscono, tanto da farci pensare che essi costituissero l’abituale coronamento di quasi ogni carnevale. Un opuscoletto, stampato a Padova nel 1549 ad opera di un certo Girolamo di Musici (La giostra…fatta in Padova, l’anno 1549), contiene un dettagliato resoconto delle varie manifestazioni che si tennero nell’occasione di quel carnevale, che occuparono ben dieci giorni, culminando poi nella premiazione del martedì grasso.
Le gare furono seguite da un numerosissimo pubblico che l’autore stima tra le 13 e le 15 mila persone tra: popolani, aristocratici ed elegantissime dame

Dopo la morte del re di Francia Enrico II nel 1559, ferito dalle schegge della lancia del conte di Montgomery durante una giostra, queste manifestazioni abbandonarono gradualmente il loro carattere cruento per assumere quello di scontri “cortesi”: esibizioni, sempre più teatralizzate
Si inizia Domenica 24 febbraio con la quintana: l’autore non specifica come si svolga la gara e dobbiamo presumere si trattasse di colpire al galoppo una targa fissata ad un braccio girevole, evitando al contempo di essere colpiti dalla mazza fissata al braccio opposto. Il vincitore fu Carlo Capodivacca. Il lunedì, martedì, mercoledì sono rallegrati da non meglio definite giostre. Il giovedì grasso è la volta della giostra dell’anello: ogni cavaliere ha a disposizione cinque carriere (o corse) durante le quali deve cercare di strappare dal supporto un anello, con l’aiuto della lancia. In questa disciplina vincitore risultò Borso Sambonifacio. Il venerdì ed il sabato vedono l’afflusso a Padova di moltissimi nobili veneziani con le loro consorti (tanto, aggiunge l’autore, che vi si sarebbe potuta tenere una seduta del Maggior Consiglio). E’ la domenica successiva che inizia lo spettacolo clou dell’intero programma. Nel primo pomeriggio, in Piazza dei Signori, si raccoglie il numerosissimo pubblico, che l’autore stima tra le 13 e le 15 mila persone: per le autorità è stato allestito un palco di fronte alla loggia (della Gran Guardia), per gli altri sono state allestite delle logge tutt’attorno alla piazza, mentre i poggioli del Palazzo del Capitanio ospitano la Capitana “con molte altre Gentildonne”. Anche i balconi e le finestre delle case affacciate sulla piazza sono affollati di pubblico. E inizia la sfilata dei contendenti della giostra: ogni cavaliere è accompagnato da un folto corteggio di staffieri, paggi, gentiluomini e tutti sfoggiano ricche vesti dai colori accesi. E’ un tripudio per gli occhi oltre che una esibizione di eleganza, magnificenza e potenza. Ecco, per esempio, come si presenta Francesco Buzzacarini: il suo gruppo è annunciato da un trombettiere mascherato da ninfa (sic), seguito da un gruppo di maschere che fingono dieci “Dei fabulosi antichi”. Viene poi Amore, con due ninfe e seguono sette cavalieri (come sette sono le carriere concesse ad ogni giostrante), ciascuno con una lancia verde e bianca, l’ultimo dei quali, su un corsiero tutto coperto di raso bianco con fiocchi di ormesino verde – il prezioso tessuto di seta prende il nome dalla città persiana di Ormuz – porta l’elmo e la visiera del concorrente. Tre trombettieri vestiti di velluto giallo precedono il Cavaliere, armato di tutto punto, con veste di raso bianco con fiocchi verdi e berretta di velluto bianco con un pennacchio bianco, mentre quello sulla testiera del cavallo è bianco e verde. Alla staffa gli camminano quattro staffieri con la livrea del padrone e lo scortano 18 gentiluomini a cavallo.
Il premio offerto dalle dame: una ghirlanda formata da ninnoli e mazzetti di fiori destinata al cavaliere più “attillato” (cioè elegante) fu vinta Annibale Capodilista

I tornei erano la simulazione di una battaglia, serviva per l’esercizio nell’arte della guerra e per questo si tenevano nel periodo invernale, ossia quando non venivano calcati i campi di battaglia
Iniziano quella domenica le prove della giostra, che si protraggono fino al martedì grasso: esse prevedono sette scontri tra ogni coppia di cavalieri. Se le lance, opportunamente intrise di un colorante sulla punta smussata, toccano l’avversario e vi lasciano un segno (tinta o botta) ciò costituisce punto, e chi ne avrà lasciate di più avrà vinta la classifica finale. Alle prove della giostra si inframmezzano dei “bagordi”: una scaramuccia dei bombardieri della città e, il martedì grasso, la giostra dei servitori, una parodia piena di confusione ma “piacevole da vedere”. Alla fine risulterà vincitore della giostra il veronese Girolamo Giona, mentre il secondo premio è di Annibale Capodilista. Ambito è anche il premio offerto dalle dame: una ghirlanda formata da ninnoli e mazzetti di fiori offerti da una trentina di gentildonne. Essa è destinata al cavaliere più “attillato” (cioè elegante) e la vince Annibale Capodilista. Come per gli altri giorni, anche il martedì vede seguire alle prove un ballo nella sala dei Giganti ed un banchetto.
In uno scontro “alle sbarre” tra Dioclide Bigolino e Pierfrancesco Naldo, le lance si ruppero e le schegge penetrarono la visiera di quest’ultimo entrandogli in un occhio
Il nostro cronista non dimentica di ricordare un incidente avvenuto durante delle scaramucce che avevano preceduto la giostra. In uno scontro “alle sbarre” tra Dioclide Bigolino e Pierfrancesco Naldo le lance dei due si ruppero e le schegge di quella del Bigolino penetrò la visiera dell’avversario entrandogli in un occhio. Il Naldo morì tre giorni dopo.
Accadimenti del genere non dovevano essere infrequenti.
Famoso è quello che causò la morte del re di Francia Enrico II (sposo di Caterina de’ Medici) nel 1559, ferito dalle schegge della lancia del conte di Montgomery durante una giostra. L’avvenimento influì profondamente sul futuro di queste manifestazioni che abbandonarono gradualmente il loro carattere cruento per assumere quello di scontri “cortesi”: esibizioni, sempre più teatralizzate, di cavalieri riuniti in squadre, con il corteggio di scudieri e paggi, i quali dopo aver fatto la “mostra” passeggiando in corteo nel campo si incontravano e scontravano, secondo un copione accuratamente predisposto, in finte battaglie e armeggerie diverse inframmezzate da musica, balletto e declamazione di versi.