Caro energia, il prezzo del non decidere
Sono decenni che si parla di transizione energetica ed ecologica, ma il nostro paese rimane il fanalino di coda in Europa. Importiamo il 95% dell’energia e nessuno ci fa sconti
Il conflitto Russo-Ucraino ha sicuramente aperto una crisi politica e commerciale di non poco conto. Si sapeva fin dall’inizio che avremmo dovuto sostenere una “leggera” e passeggera difficoltà energetica, dovuta alle sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Russia. Quello a cui non eravamo preparati è stata la risposta russa: la riduzione dei rifornimenti di gas russo ci ha fatto capire quanto siamo dipendenti non solo dal gas ma dall’energia in generale. E anche i costi di questa energia non vanno sottovalutati.
L’Italia ha una classe dirigente preparata a mantenere il consenso elettorale, ma non a rendere efficiente e competitivo il nostro Paese
Sono decenni che si parla di transizione energetica ed ecologica: il primo dibattito pubblico nazionale ha visto come protagonista l’energia nucleare nel lontano 1987, quando le nostre uniche 5 centrali (Trino, Caorso, Montalto di Castro, Latina e Sessa Aurunca) furono chiuse a seguito del Referendum anti-nucleare. Un timido tentativo di reintrodurre il nucleare riaccese il dibattito tra il 2005 e il 2008, definitivamente stroncato dal Referendum abrogativo del 2011. Nel frattempo, l’Italia ha fatto da poco a nulla per sganciarsi dalla schiavitù energetica che si è auto-inflitta. Abbiamo abolito il nucleare ma non abbiamo creato fonti energetiche alternative. Il fotovoltaico non ha spiccato il volo nel nostro Paese, restando appannaggio di pochi, ossia coloro che hanno le disponibilità economiche e una sufficiente sensibilità all’ambiente. Pochi appunto. Risultato? Siamo il fanalino di coda dell’Europa anche perché abbiamo una classe dirigente impreparata, che prende decisioni per mantenere il consenso elettorale, non per migliorare e rendere efficiente e competitivo il nostro Paese. E nel contempo siamo una società poco lungimirante, che negli ultimi anni ha detto di no a molte cose, ma non per proporne altre in alternativa: solo no e basta. No all’eolico perché deturpa il paesaggio, No al nucleare, no alle trivellazioni, no ai rigassificatori.
Acquistando gas da paesi Africani o del Medio Oriente finanziamo regimi totalitari, dittatori, schiavisti, poteri che non riconoscono i “diritti umani”
L’ultimo governo è caduto a causa dell’inceneritore di Roma: ce ne rendiamo conto? Invece di sganciarci pian piano dalla nostra dipendenza dal gas russo, cercando di investire sulle fonti energetiche rinnovabili, siamo qui oggi a chiederci come arriveremo alla fine di questo lungo inverno. Winter is coming, come direbbe George R. R. Martin, ma non sappiamo quando e come finirà. Per noi, intendo.
All’inizio della guerra russo-ucraina c’è stato chi sosteneva che la crisi energetica conseguente avrebbe dovuto accelerare la transizione energetica verso fonti di energia rinnovabile, riducendo il prima possibile l’uso dei combustibili fossili. Certo che una transizione ecologica non si fa dall’oggi al domani. Noi importiamo il 95% dell’energia, dato che la nostra produzione nazionale è limitatissima. Ora, la soluzione non è passare dalla dipendenza russa alla dipendenza algerina o peggio. Ormai siamo sotto ricatto: l’energia ci serve e dobbiamo acquistarla a qualsiasi prezzo. Chi ci guadagna? I Paesi che hanno scorte o che sono ricchi naturalmente di gas. Attualmente sono Algeria, Qatar, Azerbaigian, Libia, Stati Uniti, Paesi Bassi e Norvegia. Questi Stati non fanno certo beneficienza: stiamo pagando molto cara la nostra dipendenza, anche ai nostri “alleati” europei. Nonostante Ursula von der Leyen abbia ribadito più volte l’importanza della coesione europea contro la Russia e a favore dell’Ucraina, Paesi Bassi e Norvegia non stanno vendendo la loro energia a prezzi calmierati. L’Europa è spaccata tra chi l’energia ce l’ha e se la tiene (Francia), chi non ce l’ha e deve acquistarla a qualunque costo (Noi siamo in questa lista) e chi ce l’ha e la vende a costi importanti, alla faccia della solidarietà europea tanto auspicata. Non solo: se vogliamo fare un bilancio, acquistando gas da paesi Africani o del Vicino e Medio Oriente non facciamo altro che finanziare regimi totalitari, dittatori, schiavisti, gente che i “diritti umani” manco sa cosa siano. È con la vendita di energia, petrolio in primis, che si finanziano governi come quello della Siria dell’Iran, del Pakistan e via dicendo. Quelli che con i nostri soldi poi comprano le armi per fare gli attentati. È un circolo vizioso che l’Occidente continua ad alimentare. Alimentiamo regimi dittatoriali e schiavisti, e abbiamo anche il coraggio di lamentarci se chi vive in quei Paesi viene qui in Europa per vivere una vita degna? E cosa mai dovrebbero fare?
Il mondo dispone di riserve di petrolio per i prossimi 41 anni, di gas naturale per altri 155 anni e di carbone per i futuri 405 anni
Come li abbiamo aiutati noi finora nei loro Paesi (a casa loro)? Finanziando i loro aguzzini? È molto bello parlare di sostenibilità, ecologia, capitale umano, beni durevoli ma spesso questi termini sono ambigui e difficilmente applicabili, specialmente, da chi ha scarsi mezzi. In Medio Oriente, per esempio, l’Arabia Saudita investe molto in energie rinnovabili e prevede, assieme ad altri Paesi del Golfo, di raggiungere zero emissioni di CO2 entro il 2060, ma nel frattempo continuano a trivellare e a esportare petrolio perché siano “gli altri” a consumarlo. Israele e Turchia hanno entrambi annunciato l’obiettivo di raggiungere lo zero netto entro la metà degli anni 2050. Anche l’Africa punta decisa sull’energia solare, su quella eolica e idroelettrica per raggiungere gli obiettivi climatici. Ma, si dirà, loro possono contare su una grande e gratuita disponibilità solare. In Europa, piuttosto, si pensa ai profitti. Invece di condividere lo sforzo e i sacrifici che le sanzioni avrebbero procurato, chi aveva gas da vendere l’ha venduto con incrementi del 300%. Persino la Francia ha messo a disposizione meno energia elettrica prodotta dal Nucleare. La crisi ha generato talmente scompiglio che alcuni Leader europei hanno ripreso in considerazione il nucleare o ancora peggio il carbone. Tanto per capirci, le riserve di petrolio, agli attuali consumi, ammontano a circa 41 anni, le riserve di gas naturale ammontano a 155 anni e quelle di carbone a 405 anni. Ora è evidente che per il cittadino “normale” anche le catastrofi ambientali possono attendere quando non si riesce a sbarcare il lunario. Pensate che la domanda di energia è aumentata del 59%; in 62 nazioni il riscaldamento domestico è prodotto con biomasse e poiché l’energia residenziale contribuisce al 17% delle emissioni globali di gas serra, la transizione verso l’energia pulita nel settore domestico è essenziale per raggiungere gli obiettivi di mitigazione.
Certo, realizzare la transizione verso emissioni nette zero richiederà ingenti investimenti di capitale; il denaro sarebbe disponibile ma, disgraziatamente, è concentrato in pochi paesi che, pur avendo gran parte della responsabilità storica del cambiamento climatico causato dall’uomo, hanno una vulnerabilità geografica moderata e in più mezzi e strumenti per decarbonizzare e adattarsi al clima. Qui diventano importanti le scelte individuali: ripensare al nostro modello di sviluppo, di consumo; la conversione deve essere desiderata e desiderabile e non imposta dall’alto in modo autoritario. Questo lo scriveva un certo Alexander Langer. Quindi ben vengano le comunità energetiche, il fotovoltaico, l’eolico con le sue pale perché alle volte occorre pragmatismo e meno “fisime” e così anche la salute e l’aspettativa di vita ne trarranno benefici.