Oltre i muri, oltre i confini
Nel corso dell’esistenza ogni uomo cerca l’oltre e l’altro da sé
Repubblica federale tedesca e Repubblica democratica tedesca per i giovani di oggi sono soltanto un argomento di studio scolastico. Di certo non fanno parte del loro vissuto. Del loro orizzonte esistenziale. Molti non conoscono Bonn, se non, magari, come città natale del musicista Ludwig van Beethoven, e non sanno che per circa 40 anni, dopo la Seconda guerra mondiale, è stata la capitale della Germania Ovest, mentre la Germania Est aveva come capitale Berlino. Anzi, solo Berlino Est, perché la città era divisa in due parti e, dal 1961, da un muro, scenario di numerosi drammi familiari e molte morti. Divisioni e muri sono stati dimenticati, e con loro tutte le difficoltà e le assurdità correlate: case, famiglie, rapporti di vicinato, tutto distrutto. Ma dalla polvere di un muro abbattuto nel 1989 tanti altri muri continuano a sorgere. Quello in calcestruzzo, che divideva Berlino, era alto mediamente poco più di 3 metri e mezzo e aveva una lunghezza di 106 chilometri. Misure molto simili a quelle della barriera di filo spinato, fatta erigere dal governo ungherese circa un anno fa al confine con la Serbia: lungo oltre 170 chilometri, potrebbe essere esteso ulteriormente verso il con ne con la Croazia e la Romania. Israele ha fatto di meglio, costruendo un muro tra le proprie colonie e la Cisgiordania alto no a 8 metri. Lunghi tratti di muro esistono al confine fra gli Stati Uniti e il Messico e l’attuale presidente ha intenzione di completare l’opera.
La poesia è morta, dicono, ma i poeti continuano a dire la loro. Di certo c’è un problema di comunicazione, sia muta la voce dei poeti oppure sordo l’orecchio del lettore, e tesori nascosti nei loro versi restano evidentemente celati ai più. Le parole di Giorgio Caproni in “Anch’io” dicono dell’umana ricerca di senso dell’esistenza, una ricerca condotta anche dal poeta con determinazione e impegno (“è stata tutta una guerra di unghie”), ma la conclusione è amara: “nessuno potrà mai perforare il muro della terra”. Il senso profondo dell’essere è inaccessibile all’uomo. E la sua condizione rischia di risultare asfittica, come quella che Eugenio Montale descrive in “Meriggiare pallido e assorto”, dove nella calura esti- va una natura arida ed aspra è circondata da “una mu- raglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. Ancora, è la siepe leopardiana, che “da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”. Ovunque l’uomo si volti trova un ostacolo, ma il poeta di Recanati ha indicato un rimedio – fosse anche solo una cura palliativa – nella “finzione”, nella capacità della mente di immaginare ciò che è oltre, perché è insito nella natura umana cercare di spingersi oltre. Oltre le colonne d’Ercole, come l’Ulisse dantesco. “Oltre il confine”, come suggerisce il Salone internazionale del libro di Torino di quest’anno. Oltre le barriere naturali, come i fiumi, attraverso ponti e traghetti: lo provano i tanti paesi affacciati sulle rive, da una parte e dall’altra, in corrispondenza l’uno dell’altro. Nella vita quotidiana capita spesso di trovarsi a sbattere contro qualche muro, a cominciare da quello della burocrazia. Le persone che ci circondano sono come un muro di gomma e noi restiamo lì, disarmati di fronte alla loro indifferenza. Perché porsi di fronte agli altri come sfingi impassibili? Perché aggiungere muri reali al muro esistenziale? Perché chiudersi agli altri e precludersi diverse prospettive e nuovi orizzonti?