Nevio Scala, DALLA PANCHINA ALLA CANTINA NEL SEGNO DELLA COERENZA
Dopo tanti successi nei campi da calcio di mezza Europa è tornato alla sua campagna per una nuova sfida, questa volta in squadra con la famiglia, nella produzione di vino biologico
Dalla panchina alla cantina il passo sembrerebbe mancare di coerenza e invece è proprio la coerenza il punto di forza di questa storia, se non per il fatto che ha come protagonista Nevio Scala. Certo, il calciatore che tra gli anni ‘70 e ‘80 ha indossato le maglie di Fiorentina, Roma, Inter, Milan e negli anni ‘90 è stato alla guida di quel Parma “dei sogni”, che nel giro di pochi anni è riuscito a mettere in bacheca la Coppa Italia, la Coppa delle Coppe, e la Coppa Uefa. Nevio Scala, dunque, è un uomo del calcio, anzi un nome importante del calcio, un uomo che seppe portare in questo sport l’umiltà come premessa alla vittoria. A chi, come me, ricorda quegli anni, Scala è rimasto in mente proprio perché non pareva appartenere a quel mondo. Distaccato, misurato e carico di una modestia, veramente contadina, è stato un San Francesco che ha insegnato ad avere una nuova fede nel calcio, facendo inseguire le vittorie ai suoi
uomini partendo sempre da molto lontano.
Sudore, fiducia e costanza sono stati i valori che effettivamente dalla campagna, da cui proveniva, ha portato nei campi (da calcio) dell’intera Europa e che ora, alla fine della sua carriera di allenatore e di dirigente, ha riportato a casa perché in fondo sono stati, insieme al talento, l’unico e prezioso bagaglio in tutti questi anni. E oggi lontano dai riflettori e da uno sport, che allo stesso Scala sembra aver smarrito il suo significato per inseguire solo logiche legate al profitto, è pronto a ripartire per una nuova sfida, questa volta in squadra con la sua famiglia.
Dalla panchina alla cantina, appunto, perché l’obiettivo questa volta è mettere sullo scaffale non delle coppe, ma le bottiglie di vino prodotte nell’azienda di via Saline a Lozzo Atestino. Si badi, però: bottiglie, lette così come le
ho scritte suonano in una nota merceologica che non appartiene alla famiglia. Perché Claudio e Sacha, insieme alla moglie Elisa Meneghini, hanno un progetto che trascende il puro mercato, come le idee calcistiche del padre trascendevano quelle di una squadra a servizio del fuoriclasse. C’è invece la terra a tenere insieme tutto, il senso di appartenerle e di trarre da essa il meglio perché il vino non è solo frutto e fiori, tannini e acidità, polpa e definizione. Il vino è anche un modo di intendere la vita, da parte di chi lo fa e di chi lo beve.
“Le nostre scelte enoviticole – spiega Claudio, che sta per abbandonare la propria carriera di docente universitario di Tecnologie dell’Educazione per occuparsi della campagna – vanno in direzione della custodia dei luoghi, della salvaguardia delle forme e dei colori. Crediamo fermamente in un vino legato al territorio in cui viene prodotto, che esprima la tradizione delle nostre terre e che contribuisca a farne conoscere i sapori e gli aromi. Il “motore” di questa
nuova avventura familiare è la ricerca di una nostra via nell’approccio alla campagna, alla viticoltura, ai trattamenti, alle fermentazioni, agli affinamenti, agli imbottigliamenti. Per questo abbiamo deciso che nei dieci ettari, dei cento della grande campagna fino ad ora destinata alla produzione di tabacco, barbabietole e cerali, la produzione di vino avvenga nella osservanza più onesta possibile delle tradizioni di questo territorio, a metà strada tra le alture degli Euganei e quelle dei Colli Berici”. Ciò significa che tra i vitigni non hanno trovato posto, e non lo troveranno
in futuro, nè il Prosecco e nè il poliedrico Pinot Grigio, garanzia di guadagni facili, ma piuttosto varietà
autoctone come la Garganega, il Moscato Giallo, la Malvasia Istriana o addirittura vitigni scomparsi come la Recantina, la Corbinona, la Turcheta e la Pataresca.
“Per la nostra famiglia – continua Sacha – la semplicità è un valore importante ed il nostro tentativo è quello di riportare all’interno di una bottiglia di vino un po’ della nostra storia e molto, se possibile, del nostro quotidiano, dal territorio nel quale viviamo fino alle barchesse sotto i cui archi siamo cresciuti, prestando particolare cura al rispetto dell’ambiente e del paesaggio”.
Dunque non è un caso che tra le scelte già entrate a far parte della filosofia aziendale, malgrado la produzione sia appena agli albori, ci sia quella di aderire al disciplinare dei vini naturali, nella più totale osservanza di un dogma: il rispetto dell’ambiente. Parla quasi da redento Nevio quando ammette di essere stato messo su questa strada dai figli, e dopo anni di agricoltura convenzionale di aver ritrovato la sua campagna. E forse non è solo dovuto ai metodi di
coltivazione, sarebbe scadere nella facile logica delle scatole preconfezionate, ma piuttosto all’aver ritrovato attorno a se la famiglia e quella marcia fatta di un passo dopo l’altro che può portare ad un nuovo tempo, ad una nuova misura, al respiro di una conoscenza immateriale.
Perché il rispetto dell’ambiente è prima di tutto una questione di educazione, di cultura dei luoghi, di dimestichezza con il sudore, con i sassi, la polvere, i sentimenti, i ricordi e insieme a questi il futuro. I primi frutti di questa nuova stagione sono già sotto vetro portando nomi pensati e ragionati di Dilètto, Gargànte o Cóntame promettendo uno spazio importante nel panorama dell’enologia veneta.
Manca ancora qualcosa: la cantina, il cuore pulsante e il metronomo dell’intera attività. A questa parte del progetto Scala ci sta pensando Sacha che da architetto (insieme ad Arketipo Studio) sta mettendo mano ad una vecchia barchessa di famiglia. Il progetto integra anche il contributo dello Studio di ingegneria Umberto Zerbinato, di studio ELT e dell’architetto Mirco Simonato in quanto oltre alla salvaguardia delle linee estetiche dello stabile verranno inseriti elementi strutturali all’avanguardia, in risposta a quel “guardare lontano” che gli Scala hanno messo in premessa alla loro impresa. Dunque un po’, ancora, sulla carta e un po’ nella realtà il progetto c’è tutto e c’è da
scommetterci che sarà destinato a lasciare un segno importante nell’enologia del territorio. Certo: passo dopo passo, con la calma delle stagioni e un profilo che sarà una forma di identità perché come amano dire qui: “Siamo per un vino piccolo che diventa grande per le sue diversità silenziose”.
I TRE VINI GIÀ CONFERMATI NELLA FORMAZIONE DEGLI SCALA
a cura di Silvano Bizzaro
I vigneti dell’azienda Scala si trovano ai piedi dei Colli Euganei, al confine col versante vicentino dei Berici. La produzione a regime si estenderà su 10 etteri concentrandosi su varietà autoctone come il Moscato Giallo, la Malvasia Istriana, la Garganega e proprio da quest’ultima la produzione sta già ottenendo risultati importanti che abbiamo avuto il piacere di degustare.
GARGÀNTE.
Nasce dalla fermentazione in purezza della Garganega con i propri lieviti indigeni, nessuna aggiunta di anidride solforosa (in etichetta è riportato il dato: 9
gr./lt di SO2 che se confrontato con i dati previsti per il biologico… è niente!); al momento dell’imbottigliamento viene aggiunta una percentuale di mosto da uva garganega passita che fa scattare la rifermentazione in bottiglia. Breve riposo in bottiglia di qualche mese e il prodotto è pronto per la commercializzazione. Nasce così un vino dal valore alcolico di 11,5%; per una produzione oggi attestata sulle 8.000 bottiglie. All’analisi visiva il Gargante si presenta di un bel color giallo paglierino con riflessi dorati, al naso un vino sufficientemente complesso con
note agrumate e di mandorla dolce. Frizzante in bocca, discretamente avvolgente con
buona freschezza e sapidità. Nel complesso è un vino asciutto, armonico ed equilibrato: ideale per gli aperitivi ma può trovare una piacevole compagnia in primi piatti leggeri, come i risotti, le carni bianche o la pizza.
DILÈTTO
Sempre una Garganega, questa volta con fermentazione spontanea in acciaio con i propri lieviti senza chiarificazioni o filtraggi. La fermentazione e l’affinamento poi procedono in vasche di cemento per circa 8 mesi con aggiunta di pochissima solforosa. Ne esce un vino amabilmente alcolico, vol. 12%, pieno, di spessore e di struttura, deciso al palato e avvolgente, con una buona freschezza e sapidità. Il finale è decisamente intenso e lo rende ideale compagno della cucina di mare trovando abbinamento con insalate di crostacei, spaghetti alle cozze, secondi piatti come la granceola, il branzino o l’orata al forno. Ma il Dilétto si accompagna bene anche alle carni bianche e agli arrosti serviti con salse bianche.
CÓNTAME
Un vino che già dal nome lascia trasparire la sua vena social, la sua predisposizione ad ascoltare e ad essere
ascoltato. Anche in questo caso una Garganega per una produzione ancora limitata, circa 4 mila bottiglie. La macerazione avviene sulle bucce per circa 13 giorni, conferendo un bel colore giallo con riflessi ambrati al prodotto finale, tanto da assomigliare ad un passito. Al naso sprigiona una nota di mandorla dolce molto intensa e caratteristica del Gargarnega. Al palato è rotondo e avvolgente, sapido, fresco, con retrogusto persistente lungo. Un vino che può trovare dialogo anche con piatti complessi, risotti e paste saporite, pesce e carni bianche con lavorazioni complesse.