I nomi della terra: parole e suoni che contengono la complessità dei Colli Euganei
A 25 anni dalla prima stampa Antonio Mazzetti ha presentato la riedizione del libro in cui ha raccolto 3300 toponimi. Un testo nato sul posto, dall’incontro di un naturalista con la sapienza dei re contadini che unisce i caratteri fisici dell’ambiente alla sorprendente ricchezza linguistica dei tanti modi per dire terra
Il paesaggio, normalmente, lo percepiamo attraverso la vista e quindi lo immaginiamo come una cartolina, ma in realtà al paesaggio “visivo” andrebbe sovrapposto quello “sonoro” – che oltre ai suoni che fanno parte del panorama contiene anche i nomi della terra – per uscire dall’immagine illustrata ed entrare nella vera carta geografica che parla, indica e diventa testimonianza dello spazio e del tempo.
I nomi della terra, sono i nomi dei luoghi, la confidenza che l’uomo ha instaurato con la natura affidandole un suono suo proprio, il segno che distingue il qui dall’altrove e il là con le con le altre parti indistinte del circondario. Insomma i nomi della terra servono per farci uscire da un paesaggio indeterminato, perché a volte riescono ad esprimere la consistenza stessa della terra, la forma, la natura, il carattere dei luoghi. Ed è a questi nomi che Antonio Mazzetti, naturalista e profondo conoscitore dei Colli Euganei, ha dedicato anni del suo lavoro incontrando i “re contadini” e chiedendo loro i toponimi, o meglio semplicemente i nomi, di un paesaggio così unico come quello euganeo.
“Non è stato facile. Ho dovuto imparare la loro lingua, una lingua scarna, asciutta distillata da un immenso sapere. E ho dovuto anche vincere la loro diffidenza, la gente euganea è per istinto sospettosa e riottosa nei confronti di chi non appartiene alla loro enclave. Imparai, anche andando nelle osterie, il loro modo di guardare e di parlare. ‘Sàlo ‘élo – mi chiese un vecchio patriarca, per vedere se ero in grado di capire quello che avrebbe potuto dirmi – dove ke xé ea Prìa dea Cróse’? Ea Prìa dea Cróse – risposi – ea xé in parte al Carbonìe dea Busa de Val de Agri, vegnéndo dae ‘Sguassaròe, ‘péna passà el coéto del Ronchigno’o de Scanavaca, sóto ‘e Scafe de Venda, sóra ea Vena de Pessetón, ‘ndando ae Pónte de Bajamonte. La mia risposta era corretta e si aprì la porta di casa con l’invito a cena. E tante altre furono le porte che si aprirono”.
Nomi primigeni, antichi, che sono stati capaci di attraversare le epoche e di continuare a parlare all’uomo, finché l’uomo è stato in ascolto.
“Fino a quando le nostre società sono rimaste attaccate alla terra come quei ‘re’ che ho incontrato, quel patrimonio di nomi che indicavano: i ‘prà, ‘e fontane, i calti, i ‘stròsi, i carbonìi, ‘e prìe, i mòtoi, i rùgui, i menaùri’ era salvo. Oggi che l’uomo frequenta più spesso i non luoghi del web e le comunità social, non so. Temo che si corra il rischio dello spaesamento. Quando perderemo i nomi della terra non perderemo solo un modo per chiamarla, ma perderemo la terra stessa e forse ci perderemo anche noi. ‘Io sono chi sono perché so dove sono’, mi disse uno di questi vecchi contadini. Per loro il paesaggio attorno non era visione pittoresca del bello, del suggestivo, del curioso, ma scena di presenza domestica, della fatica di vivere che plasma il carattere e il pensare, dove ogni luogo ha un nome, una virtù, una storia che fa parte della storia del mondo. I nomi della terra sono un documento depositato nella memoria collettiva: tessere di un mosaico che affiora dai sotterranei della storia. Parole forti come chiodi, piantate nella terra a reggere la trama di un tessuto di comunità, intriso dell’arcaica potenza dell’òikos. Nel paesaggio ondoso dei colli Euganei i toponimi sono rimasti a galla lungo i secoli come un fondo culturale indiviso, ereditato dai popoli che son venuti, ognuno col proprio idioma. Nella toponomastica – che è anche archeologia della parola – non è scritta solo la storia e la geografia dei luoghi, ma una grammatica dell’immaginario comune, della coesione sociale, della rete territoriale di identità”.
Il territorio euganeo è unico nella sua geologia e morfologia, questa differenza la troviamo anche nei nomi che sono stati dati alla terra?
“Badi, io sono un naturalista non sono un esperto di onomastica, anche per questo il libro ha richiesto un duro lavoro. Come impegnativo è stato il trascrivere nomi che appartenevano all’oralità in un corsivo dialettale. Li ho riportati con la grafia il più possibile vicina alla pronuncia. Ma credo sia vero che questa terra ha sviluppato anche un suo vocabolario per indicare le cose. La parola ‘calto’, ad esempio, in Veneto designa due cose: il loculo al cimitero o i cassettoni degli ‘armari’ che stavano nelle camere da letto delle case contadine. Qui, invece, indica il lavoro dell’acqua, è una forma di erosione del terra, una cicatrice o la ruga del tempo, di un tempo immemorabile e delle piogge venute sotto altri climi che hanno scavato i fianchi delle trachiti e delle scaglie, creando valli strette e profonde, forre boscose dalle rive sconnesse e insidiose. Luoghi incerti della penombra dove a volte sul fondo scorre un rio, dentro un chiuso silenzio. Ora in questi solchi profondi, che sanno di lontananza, non va nessuno, ma in passato i calti furono – per chi aveva confidenza col posto – svelte vie di accesso ai crinali, ai pianori, ai passi e alle cime. Gli oltre 220 calti nominati in Indice rappresentano un valore approssimato per largo difetto”.
Da dove nasce un libro come I nomi della terra? Da dove nasce l’idea di raccogliere questa forma di testimonianza?
“Le cose stanno nell’aria. Sono loro a cercarti. Il paesaggio è vivo. Da naturalista ho capito che un sentiero è una forma di scrittura, che racconta storie stratificate nel tempo, che dentro hanno altre storie, che dentro hanno altre storie. E anche i nomi inventati dalla cultura orale, in realtà sono una testimonianza, una forma narrante che rientra nella mia curiosità e nella mia esperienza di territorio. Pensi al toponimo Steogarda, è una parola longobarda che significa: recinto dei cavalli. E’ una parola viva da 1500 anni, nessuno più ormai ne conosce il significato ma il suo suono è rimasto. E’ come una partitura musicale, ne decripti le note e ti restituisce il senso di un luogo. Così vale per tutti gli altri”.
Questo lavoro nasce a distanza di vent’anni dalla prima pubblicazione. E’ cambiato qualcosa?
“La prima edizione era stata chiusa in fretta, ricorrevano i primi dieci anni di vita del Parco Regionale dei Colli Euganei e mi venne chiesto di mandare in stampa un lavoro al quale avevo dedicato10 anni di documentazione e solo qualche settimana di elaborazione. Questa nuova versione, editata da Cierre Edizioni, è stata rivista, ampliata e impreziosita dal Prologo poetico di Giuliano Scabia e dal notevole Saggio introduttivo del geografo Andrea Pase. In appendice è riportato l’articolo di apprezzamento, alla prima edizione, del grande linguista estense Aldo Luigi Prosdocimi. Al suo interno sono classificati circa 3300 micro-toponimi. Di ognuno viene data una sintetica collocazione geografica, arricchita da riferimenti geologici e colturali, al fine di evidenziarne la perdurante vitalità e l’evoluzione nel tempo. Mi auguro sia un lavoro utile agli studiosi, agli escursionisti, per gli amministratori comunali, ai docenti impegnati nell’educazione al rispetto del territorio e alle vivaci attività produttive e di accoglienza che lavorano in questo straordinario lembo di terra veneta. Per me rimane un atto d’amore verso il territorio euganeo e la sua gente”.