La Pasqua è il tempo dell’andare oltre
Pesach (Pasqua in ebraico) è il transito dalla vita alla morte che porta alla resurrezione. La sua simbologia si lega al mondo pastorale, al sacrificio che prelude un tempo nuovo
Il sole inizia a calare dietro la linea dell’orizzonte nel tardo pomeriggio e il tiepido clima estivo lascia il posto alla frescura autunnale. Sta per arrivare il rigido inverno, che rendendo inospitale la montagna, impone al pastore di abbandonare le alture e di scendere in pianura, attraversando i tratturi alla ricerca di nuovi pascoli.
E’ lungo questo percorso in discesa che per le greggi inizia il periodo della fertilità, le giovani agnelle conoscono l’opportunità della gravidanza e la successiva gestazione durerà cinque mesi, per trasformarsi in maternità con l’inizio della quaresima.
Strane coincidenze paiono legare la vita dell’agnello al Sacrificio ricordato dalle solenni festività delle religioni, in realtà sono quest’ultime ad essere debitrici della tradizione perché niente perdura nel tempo se non mantiene un contatto con la realtà e con la sua fruibilità. Al pastore, dopo, quaranta giorni oltre alla carne serviva il latte da vendere o da trasformare in formaggio, un latte che costava il sacrificio dell’agnello ripreso poi dalla Pasqua oltre come simbolo anche nell’etimologia del nome che, di per se, significa “passaggio”, “andare oltre”, proprio come nella transumanza. Pesach (Pasqua in ebraico) è il transito dalla vita alla morte che porta alla resurrezione, al ritorno alla vita che per il pastore, alla quale in origine era dedicata la festa, significava soprattutto il ritorno della luna nuova, quella della bella stagione sotto alla quale era possibile riprendere il transito e ascendere alla vette dove il ciclo della vita e della riproduzione avrebbe ripreso daccapo, diverso e uguale.
Anche il poeta Giacomo Leopardi su questo tempo ciclico cercherà i motivi dell’esistenza che è della Pasqua, dialogando lui stesso, sentendosi condannato all’eterno ritorno, esattamente come il fulgido astro, con la luna nel “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia:
“O luna, che fai nel cielo? Dimmi, che fai/ o silenziosa luna?/Sorgi la sera, e inizi la tua peregrinazione, osservando al lungo i deserti; e poli cali e ti posi. / non sei ancora stanca/ di percorrere sempre lo stesso itinerario? …”.
Ma si sa che l’itinerario dei riti è quello destinato a ritornare.