Gli uccelli, indicatori del clima che cambia
I cicli vitali dei nostri amici con le ali, soprattutto dei migratori, sono strettamente legati al mutare delle stagioni. Partenze e arrivi, gli accoppiamenti o anche la deposizione delle uova avvengono in relazione ad un calendario che tiene conto delle temperature. Negli ultimi anni è stato osservato che alcuni uccelli hanno cambiato alcune loro abitudini per un nuovo adattamento che, tuttavia, non è sempre possibile
La presenza di specie di uccelli sempre più comune in aree dove fino a qualche decennio fa erano rare o addirittura assenti, dovrebbe far riflettere essendo gli uccelli tra gli indicatori più precisi del cambiamento o, se vogliamo essere più precisi, della crisi climatica in atto che potrebbe avere effetti ben maggiori della classica perdita di habitat.
Prima di iniziare vorrei chiarire l’uso di determinate parole ed espressioni, prendendo spunto da articoli pubblicati sull’autorevole giornale britannico Guardian su come e perché questi abbia scelto di parlare più esattamente di “crisi climatica” piuttosto che di “cambiamento climatico”. Partendo dal principio secondo cui le parole e le rappresentazioni che definiscono i cambiamenti climatici modellano anche il modo in cui le cose sono capite e contrastate, l’obiettivo dichiarato dal Guardian è di allargare le conoscenze attraverso l’accuratezza con cui si parla delle cose e modificare la consapevolezza delle persone stimolando, di conseguenza, azioni e pratiche più informate e coscienti.
Dal punto di vista del linguaggio dunque, invece che “cambiamento climatico” il Guardian ha scelto di usare “emergenza climatica”, “crisi climatica” o “catastrofe” perché l’espressione “cambiamento climatico” suona come piuttosto passiva e blanda. Gli stessi scienziati che si occupano di clima stanno usando un linguaggio più forte per descrivere la situazione in cui realmente ci troviamo.
I cicli vitali e il comportamento degli uccelli sono strettamente legati al mutare delle stagioni, le variabili stagionali quali temperatura e precipitazioni influiscono anche sulla disponibilità di fiori, semi, insetti e altre fonti alimentari. Lo studio della stagionalità dei fenomeni naturali ricorrenti come le migrazioni, la costruzione del nido e la deposizione delle uova viene chiamato “fenologia” e il cambiamento climatico può spingere la fenologia delle specie fuori sincronia con i cicli degli ecosistemi e delle comunità di cui ciascuna specie fa parte.
Al crescere delle temperature la migrazione primaverile viene anticipata, mentre quella autunnale può essere anche ritardata. I migratori europei arrivano nei territori riproduttivi mediamente 1 giorno prima ogni 3 anni dagli ultimi 30 anni e la deposizione anticipata delle covate in risposta al cambiamento climatico è ampiamente documentata. I Fringuelli in Inghilterra anticipano la data di riproduzione al crescere della temperatura primaverile ma alcune specie, soprattutto i migratori a lungo raggio, non riescono ad allineare il loro comportamento conseguentemente alle alterazioni degli habitat: le Balie nere in Olanda sono diminuite del 90% dal 1987 al 2003 perché arrivano troppo tardi rispetto al picco della disponibilità di larve di cui si nutrono.
La regione Mediterranea, ad esempio, è a rischio desertificazione dove l’acqua diverrà un bene sempre più raro e prezioso. Di quanto sarà tale diminuzione molto dipenderà dal cambiamento climatico che si verificherà, ma non occorre immaginarsi in un futuro lontano per vedere gli effetti dei cambiamenti climatici sugli uccelli legati agli ambienti più freddi perché essi sono visibili già da alcuni decenni. All’aumentare delle temperature le specie si spingono più a nord, come gli Usignoli di fiume che hanno spostato i loro territori 30 km più a Nord negli ultimi 20 anni, o più in quota se possibile come per esempio gli uccelli che vivono sulle Alpi italiane come il Fringuello alpino, il Sordone e il Codirosso spazzacamino.
C’è però un limite fisico al loro spostamento e potrebbero subire quindi una forte contrazione di areale nel corso dei prossimi decenni con conseguenze disastrose per la loro sopravvivenza. Segni questi che dobbiamo saper riconoscere, ricordiamoci l’aneddoto del canarino in miniera. Una volta i minatori portavano nella miniera un canarino dentro una gabbietta poiché questi era particolarmente sensibile al metano e al monossido di carbonio e quindi diventava un sistema d’allarme. Quando la concentrazione di gas nocivi superava il livello di guardia smetteva di cantare e spesso moriva rapidamente ma questo permetteva ai minatori di allertarsi e cercare di porsi in salvo. Il cambiamento del clima è estremamente rapido e lascia alle specie molto poco tempo per adattarvisi e sopravvivere. La crisi climatica e della biodiversità sono le due maggiori sfide che si dovranno affrontare nei prossimi decenni e sono sfide che si dovranno affrontare congiuntamente poiché dobbiamo ricordare che la nostra specie è in gran parte responsabile della perdita di biodiversità: ci stiamo accorgendo dei segnali lanciati dal canarino?