L’habitat degli uccelli amanti del freddo si sta riducendo in tutto l’arco montano

Alcuni studi condotti dall’Università di Milano confermano che l’areale di distribuzione della pernice bianca, dello spioncello, del sordone e del fringuello alpino sta cambiando
Futuro incerto per la pernice bianca, lo spioncello, il sordone e il fringuello alpino: a causa dell’aumento delle temperature l’habitat delle specie di uccelli amanti del freddo si sta riducendo in tutto l’arco montano. Il cambiamento delle temperature sta determinando un fenomeno evidente su scala globale: l’anticipo del periodo di fioritura di molte specie vegetali, dell’arrivo degli uccelli migratori in primavera, della data di deposizione delle uova e questa alterazione degli equilibri spinge le specie animali e vegetali alla ricerca di una “nuova casa”, a latitudini e/o altitudini maggiori, ove poter ritrovare condizioni ideali alla propria sopravvivenza. Immaginando le montagne come una scala che porta al cielo risulta evidente che prima o poi i gradini finiranno.
In Svizzera dal 1993-1996 al 2013-2016 la distribuzione dell’avifauna si è spostata in media di 24 m verso l’alto, un valore rivelatore degli attuali cambiamenti ambientali ma quello più impressionante è il fatto che nelle Alpi esso sia in media due volte più alto rispetto alle regioni di pianura.
Ricercatori dell’Università di Milano hanno indagato sulla situazione nelle Alpi italiane della pernice bianca, nei luoghi aperti a quote elevate, dello spioncello, nelle praterie d’alta quota, del sordone, nei pendii rocciosi e sassosi, e del fringuello alpino, al di sopra del limite delle zone alberate. Queste quattro specie di uccelli sono distribuite lungo l’intero arco alpino, sono ben adattate alle dure condizioni ambientali delle alte quote e reagiscono in modo estremamente sensibile ai cambiamenti climatici. Dalla situazione attuale al periodo 2041-2070 tutte e quattro le specie considerate andranno incontro a una modifica della distribuzione sulle Alpi, con un innalzamento della quota media di presenza, che potrà oltrepassare i 400 m nei casi più estremi.
Con la parziale eccezione dello spioncello, queste specie subiranno anche una contrazione della superficie di aree idonee, compresa tra il 17% e il 59% a seconda delle specie e degli scenari climatici e la specie più sensibile risulta essere la pernice bianca, tra l’altro ancora inserita tra le specie cacciabili. Ciò significa che le specie in fase di spostamento verso quote più elevate siano destinate inevitabilmente all’estinzione? In questo quadro poco incoraggiante, ma purtroppo in linea con quanto lecito attendersi per queste specie, emerge un risultato che fa sperare e, al tempo stesso, chiama all’azione: circa 15.000 chilometri quadrati di territorio alpino risultano idonei per questi uccelli nelle condizioni attuali e lo rimarranno anche in futuro, a prescindere dal modello climatico considerato. Si tratta quindi di siti detti “rifugi climatici” di cruciale importanza per la conservazione degli ecosistemi alpini e della biodiversità di alta quota. Il 44% di queste aree è attualmente incluso in aree protette ma anche il restante 56% dovrebbe essere tenuto in debita considerazione e devono essere salvaguardate, evitando alterazioni significative causate dalle attività umane e conseguente degrado degli habitat. Anche le rotte migratorie di molte specie stanno cambiando a causa della crisi climatica.
Le specie di uccelli amanti del freddo in alta montagna sono particolarmente colpite dal riscaldamento globale, poiché il loro habitat è in progressiva contrazione.
Le specie adattate al freddo fanno riscontrare una diminuzione, mentre quelle che prediligono temperature più alte sono in aumento. Sulle Alpi si stanno notando alterazioni nelle migrazioni dal Nord al Sud Europa di molteplici specie. Un segnale decisamente negativo. In una recente intervista rilasciata al giornale Repubblica, l’ornitologo Paolo Pedrini, responsabile della Zoologia dei Vertebrati del MUSE e parte del team del Progetto Alpi, avviato nel 1997 per monitorare le migrazioni degli uccelli attraverso il versante italiano delle Alpi, ha dichiarato che si stiano “iniziando a notare diversi segnali legati all’emergenza climatica in atto, alcune specie che vedevamo anni fa non le registriamo più, mentre altre, prima quasi assenti, sono diventate comuni.” Per esempio nella stazione di inanellamento alpina, il progetto ne vede attualmente coinvolte 43, la stazione di Bocca Caset, a Tremalzo (TN), in Val di Ledro da decine di migliaia di rondini inanellate vent’anni fa ora se ne contano solo poche migliaia. Accanto alle rondini diventano via via più rari anche fringuelli alpini, spioncelli e sordoni. Alcune specie stanziali, come il merlo o il tordo bottaccio, aumentano in presenza grazie all’espansione dei terreni agricoli. Quindi non solo i ghiacciai ci hanno lanciato ormai da decenni segnali d’allarme ma anche gli uccelli, perfetti bio-indicatori, ci stanno dicendo che il tempo forse è scaduto.