Riti antichi e fiere moderne nel segno dell’agricoltura
Dalle cerimonie propiziatorie per il buon raccolto ai sacrifici per un anno agricolo fruttuoso, la storia delle sagre nasce dall’agricoltura. E con lei anche la nostra storia
Tra tradizione e cultura, tra passato e presente, la sagra è un appuntamento che richiama e raggruppa le persone sin da tempo immemore, probabilmente fin da quando è iniziata la storia dell’uomo. L’esigenza di condividere momenti di vita, e perché no scambiarsi risorse, ci riporta indietro al Neolitico, il periodo più recente dell’Età della Pietra che va da sei a circa ottomila anni fa. In un’epoca in cui il nomadismo lascia spazio al sedentarismo e dai continui e ciclici spostamenti si passa alle tribù organizzate, si fa forte la necessità di creare occasioni di coesione tra piccoli gruppi locali. Ecco allora che nascono le prime feste rituali – forse non le prime in assoluto ma le prime di cui si abbiano testimonianza – in cui ci si ritrova a ringraziare le forze della natura, il ciclo della vita e a invocare insieme tempi propizi per l’agricoltura. E proprio quest’ultima, l’agricoltura, al pari delle divinità più note e famose, è un motivo forte di aggregazione e di festa: la semina, il raccolto, il sole e le piogge.
Tutto quello che la riguarda da vicino diventa ben presto preghiera, ringraziamento, rito. Si perché le antenate delle sagre e fiere che noi conosciamo, sono proprio queste antiche feste rituali nate in seno alla civiltà e da quel bisogno ancestrale di celebrare la natura e i suoi frutti, cibo e fonte di sostentamento primaria e principale. Se le testimonianze non ci ingannano, è logico immaginare che a influenzare gli appuntamenti sia fin da principio la stagionalità delle coltivazioni e del lavoro nei campi. Come nel Neolitico, anche nell’Antica Roma la situazione sembra essere molto simile e, nonostante il grande salto nella linea del tempo, quelli che erano riti propiziatori e occasioni di festa prima diventano per i romani delle ricorrenze sacre. Ogni aspetto della vita, dalla guerra, alla politica, ai mestieri e fino all’agricoltura aveva nel corso dell’anno uno o più momenti di festa dedicati. Quando si tratta di semina e raccolto, rivolgersi alle divinità è una tappa obbligata: da un lato ci sono i sacrifici da offrire, dall’altro la speranza e preghiera che il nuovo anno agricolo sia fruttuoso. Non a caso, tra le principali feste del calendario romano ci sono quelle in onore di Cerere, antica Dea italica protettrice della fecondità delle messi. A seconda del periodo, dai Cerealia di aprile ai Lectisternium Cereris et Telluris di dicembre, cambiano i rituali da rispettare: così durante gli Ambarvalia di fine maggio si sacrificano animali e si va in processione attorno ai campi per propiziare il raccolto. Le feste potevano durare diversi giorni ed essere accompagnate da giochi pubblici, sfide e spettacoli come succede nel corso dei Cerealia con i Ludi che si svolgono al Circo Massimo. Al centro, però, sempre la preghiera che eleva frangenti di vita comune a una dimensione di sacralità, fuori da tempo e spazio.
Feste popolari e sagre sono sempre connotate da una componente rituale e sacra. Lo stesso termine deriva dal fatto che un tempo questo tipo di ritualità si teneva davanti ai templi o sui sagrati delle chiese
Ed è proprio la componente sacra a connotare le feste popolari e le sagre che si svolgevano davanti ai templi o sui sagrati delle chiese e del resto, lo stesso termine sagra, deriva dal latino sacer ossia sacro. E quindi sacri diventano un gran numero dei prodotti della terra: dall’uva ai funghi, dalle zucche alle giuggiole, fino ai radicchi e alle patate americane per una nuova offerta che ha perso ogni contatto con la religione. Ma è con la facilitazione degli scambi mercantili e la diffusione del commercio che le sagre, pur mantenendo saldo il loro legame con i periodi salienti dell’agricoltura, assumono nuove sfaccettature. Non più esclusivamente celebrazioni di fede ma anche giornate di commercio: in tal senso le Fiere “franche” del Medioevo rappresentano una svolta nella storia popolare. Tipiche del periodo autunnale, queste fiere danno ai contadini l’opportunità di ricavare qualcosa dall’eccedenza del raccolto dopo un anno di duro lavoro e dopo aver provveduto alla sussistenza della famiglia. Prima che arrivi l’inverno, infatti, sono molte le colture che arrivano a maturazione e che possono essere finalmente usate e lavorate, non ultima l’uva che poi diventerà vino. Ed è forse proprio per l’abbondanza e la disponibilità di risorse che l’autunno porta con sé che alcune tra la più antiche fiere della nostra regione come la Fiera del Soco di Grisignano di Zocco, la Fiera Franca di Cittadella e la Fiera dei Santi a Monselice sono nate e ancora oggi si svolgono tra settembre e dicembre.
Iniziative ed eventi che a noi sembrano così moderne e tipiche dei nostri tempi ma che invece hanno alle spalle anni di tradizione e che attingono a piene mani da un bagaglio culturale lungo secoli. L’origine dei riti legati alle sagre ci fa tornare all’origine della vita comunitaria dell’uomo, allacciando le sorti della società a quelle del raccolto. Ogni festa ha il suo preciso momento, così come la realtà agricola ha la sua periodicità fissa e a ciascun passaggio – dalla semina alla mietitura – era legata una celebrazione specifica, in una dimensione in cui il destino di tutti si giocava nei campi e durante le sagre. È proprio il caso di dire che se è vero che una rondine non fa primavera, è certo invece che la sagra fa autunno, anche oggi.