Bassa Padovana oltre gli spazi indecisi
Il turismo può essere un settore che insieme ad altri contribuisce a creare una cultura dello sviluppo, non dissociata a quella del progresso
Il percorso verso una consapevolezza della Bassa Padovana come “luogo turistico” è iniziato, per quanto riguarda l’esperienza di chi scrive, con quella che doveva essere la preparazione di un’azione condivisa di “salvataggio” di villa Grompo Pigafetta a Villa Estense. La serie di incontri che ne derivò, ebbe culmine in un convegno, tenuto nel settembre 2015 presso Villa Ardit, in cui lo storico complesso veniva definito “uno spazio indeciso”. Oggi, a distanza di due anni non è cambiato nulla, la villa continua a cadere a pezzi e a navigare nel suo stato d’indecisione, ma probabilmente ciò avviene perché non siamo in grado di definire perfettamente il significato di questa “indecisione”, o meglio al contrario, non siamo in grado di tracciare in modo netto e preciso una “decisione”. Intorno a noi pullulano gli spazi indecisi, le stazioni ferroviarie abbandonate (“impresenziate” è il termine tecnico), gli edifici svuotati e lasciati al loro destino, i campi coltivati con tre o quattro “oligo-culture” che permettono ai monopoli di decidere sui produttori. La storia ci tramanda invece almeno quattro grandi decisioni prese per far diventare il Veneto quello che è oggi.
• La centuriazione romana, ricordata anche in un museo a Granze: il Museo delle Centuriazioni, parte del Sistema Museale della Bassa Padovana;
• La bonifica benedettina avviata intorno all’anno 1000 e nel Basso Medioevo, di cui il centro più importante nella Bassa Padovana è l’abbazia di Carceri;
• La grande espansione della Villa Veneta, che segna la “conversione” alla “santa agricoltura”, secondo la definizione di Alvise Cornaro, della nobiltà veneziana, e di cui abbiamo un grande esempio nella zona del “retratto del Gorzone”, che fu una delle casse d’espansione agricola nel periodo fra Cinque e Seicento;
• La trasformazione industriale del Novecento.
L’ultima trasformazione si separa nettamente dalle prime tre, che costituiscono invece un continuo perpetuarsi della stessa idea, e soprattutto è quella che ha segnato in modo deciso la sovrascrittura di una condizione storica tramandatasi di fatto per millenni. La zona compresa fra i Colli Euganei e l’Adige ne è rimasta in gran parte esclusa e forse a questo deve la sua grande “indecisione”. Indecisione significa non avere un percorso, significa subire scelte altrui. Indecisione significa porsi obiettivi casuali perché dipendenti da parole d’ordine sentite in giro, obiettivi spesso non realizzabili o non particolarmente adatti al territorio, e soprattutto significa non pianificare. O pianificare spese inutili, come spesso si fa, ad esempio per pubblicazioni fatte e pagate per segnalare la presenza di attrazioni turistiche che rimangono irrimediabilmente chiuse, siti web realizzati e lasciati in “ammollo” nella rete senza investimenti in pubblicità o finalizzati all’apertura e fruizione dei luoghi. Il processo di “definizione” passa dunque, necessariamente, per una programmazione che sappia trovare e utilizzare risorse in modo razionale, “efficace ed efficiente” – chiedendo un prestito alle discipline economiche – e, soprattutto, che sia consapevole del fatto che un sistema di misurazione dei risultati richiede una stima di tre-cinque anni per mettersi in moto. La prima fase di un progetto può essere definita percorso culturale: essa consiste nello studio e ricognizione di un territorio, in accordo con la definizione di paesaggio fornita nel Codice dei Beni Culturali del 2004. Il paesaggio è ciò che è stato prodotto dalla storia e dalle azioni umane in un territorio, è la carta d’identità, per dirla in modo semplice, di una determinata area di Paese, che permette di tracciare le linee guida di una valorizzazione dello stesso. Valorizzazione che può essere al tempo stesso culturale ed economica, perché lo studio di un territorio, la sua conoscenza, permette, si spera, di metterne in luce tutte le potenzialità e di farle crescere in modo razionale, capendo quali siano le aree in cui è davvero più redditizio investire, anche dal punto di vista della sostenibilità. In questo senso si può dunque passare dal percorso culturale al percorso turistico, ma per farlo è necessario capire diverse cose: in primis che ci sono molti tipi di turismo. La nostra zona, per vocazione, è adatta ad un tipo di turismo che potremmo definire con le parole chiave “verde” e “lento” a cui va indirizzata una ricezione particolare, fatta di prodotti tipici, naturali e particolari, di passeggiate e biciclettate in una terra che porta i segni inequivocabili di essere stata strappata alle acque con fatica e che ha permesso di vivere per secoli dei suoi prodotti ai suoi abitanti. Una terra che ha visto nascere anche colture specializzate, come quella della canapa che per secoli ha fornito il sartiame delle grandi navi prodotte dall’Arsenale di Venezia.
Quali soluzioni per valutare secondo una nuova ottica i beni storico-artistici e naturali della nostra unità geografico-culturale? Ed i benefici economici e sociali che ne deriverebbero? Ovviamente, se parliamo di turismo, possiamo pensare ad un luogo centrale per la ricezione: un luogo come l’Abbazia di Carceri, che può essere un centro perfetto fra i Colli Euganei e l’Adige, per il suo ruolo “strategico” a livello di posizione, per la sua importanza culturale di luogo simbolo delle bonifiche e di approdo di un nuovo stile pittorico in Veneto, il manierismo portatovi negli anni trenta del Cinquecento da Giuseppe Porta, detto il Salviati, ma anche per il suo museo delle tradizioni contadine, che fornisce un interessante trait d’union con tempi più vicini a noi. Da lì si può espandersi e far capire che questa terra può offrire i percorsi naturalistici dei Colli, in cui si trovano gioielli culturali (Arquà, Baone, Valsanzibio, Villa Vescovi), lungo l’Adige, legato inesorabilmente alla civiltà della Villa (Vescovana, Granze, Sant’Elena, Villa Estense, S. Urbano ma più in là Canda con Scamozzi e a pochissima distanza Palladio, a Fratta Polesine, Agugliaro e Pojana), si possono infine visitare città d’arte come Este, Monselice e Montagnana. E poi, allargando di poco il cerchio, questo territorio si trova quasi perfettamente al centro fra Mantova, Ferrara, Padova, Verona, Venezia, tutte raggiungibili in circa un’ora di macchina o treno, permettendo, con una rete di ricezione adeguata, di offrire un’ottima base, in un luogo tranquillo per un turismo di qualità. Si tratta di discorsi in fondo noti, emersi in occasione del convegno e non solo (se si pensano ai lavori di studio del Gruppo Bassa Padovana, con tanto di itinerari tracciati), ma di fatto rimasti sempre sulla carta e mai trasformati in un piano operativo. Naturalmente il turismo non può essere “la via di salvezza” di un territorio, né – allargando il discorso – di un Paese, ma può essere un settore che insieme ad altri contribuisce a creare una cultura dello sviluppo, non dissociata, per citare il Pasolini degli Scritti corsari, a quella del progresso. Giova forse allora ricordare, come un doveroso memento per “partire bene” – che la prima grande lezione di economia territoriale ci è stata donata dal pensiero umanistico: studiare Palladio e la villa veneta offre un’opportunità di capire come funziona un modello imprenditoriale di successo, perché l’imprenditorialità è innanzitutto un fatto di cultura, altrimenti l’alternativa è diventare la Terra dei Fuochi d’Europa.
Giuseppe Cilione