Covid, torniamo a dimenticare

La prima estate senza il tre pezzi in spiaggia: mutandine, reggiseno e mascherina, può rappresentare quel ritorno alla normalità che da tempo aspettavamo? A dire il vero con l’arrivo della stagione calda la viralità del Covid s’è abbassata anche gli anni scorsi, salvo poi ripresentarsi in autunno puntuale come il campionato di calcio. Però quest’anno si sono spente anche le “sirene” sull’obbligo dei vaccini, le comparsate dei virologi nelle trasmissioni televisive, i DPCM, i bollettini sui contagi e sui decessi. Non se ne parla quasi più e già tutto è passato, passato remoto, lontano, aggredito dall’oblio. Eppure sono passati solo due anni da quella prima estate con la pandemia. Al tempo si parlava di distanziamento degli ombrelloni, di divisori in plastica tra i lettini, del divieto di potersi spostare dall’asciugamano sprovvisti di DPI, Dispositivi di Protezione Individuale. Sono andato su Google per cercare il termine con cui gli “esperti” indicavano la mascherina e il gel per le mani, non me lo ricordavo più. Tra i ristoratori c’era l’accaparramento dei plateatici perché il servizio poteva avvenire solo all’esterno, esisteva il divieto degli assembramenti, il coprifuoco. Chi lo voleva alle 22.30, chi alle 23.00, la differenza pareva abissale tanto che qualcuno vi ravvisava – nel rientro in prima serata – un oltraggio ai valori democratici. Le zone rosse, le zone arancioni, le zone gialle: chi apparteneva all’una non poteva raggiungere le altre. Poi con il “greenpass” la mobilità s’è fatta più libera, tranne che per i no-vax.
Un aspetto sconcertante è la rapidità con cui sono cambiati gli scenari, e la velocità con cui siamo stati costretti ad abituarci a “normalità” inattese
Quante parole nuove, quante ideologie, quante unioni (andrà tutto bene) e divisioni (senza vaccino niente cure) hanno toccato la nostra società da quei primi focolai a Codogno e a Vo’ Euganeo nel febbraio del 2020?
Un aspetto sconcertante è la rapidità con cui sono cambiati gli scenari, e la velocità con cui siamo stati costretti ad abituarci a “normalità” inattese, passando in poche settimane da uno stato mentale dove venivano avanzate sommessamente delle ipotesi (quasi sempre impensabile fino al mese prima, come il lockdown, il coprifuoco, le zone, la terza dose, le regole del green pass), a renderle prassi da un giorno all’altro, dovendole interiorizzare come cosa sedimentata.
E cosa ne è rimasto?
Forse una sindrome da “frullatore”, uno scombussolamento generale come il torpore lasciato dall’aver dormito male. Due anni in cui pareva essere cambiato tutto e forse non è cambiato niente, perché la normalità è l’inizio del dimenticare…