Il Veneto sta dimenticando i suoi fiumi

Erano le vie di comunicazione su cui si è fondata la nostra civiltà, trasportavano merci e persone, sulle sue sponde sono sorte le più belle ville del mondo. Oggi non godono più del nostro rispetto; peggio, ci suscitano indifferenza
Non è più l’inquinamento il grande problema dei fiumi veneti, e italiani in generale, a parte qualche caso particolare. Non che non siano inquinati: negli anni però, tra depuratori, sistemazioni fognarie e maggiore attenzione dei cittadini, la situazione, come attestano i più recenti dati Ispra, è decisamente migliorata. L’ideale sarebbe fare un ulteriore passo… indietro, verrebbe da dire: a quando le acque erano più pulite e ci si poteva sguazzare.
Quanto indietro? Non tanto: un secolo. Vi sono foto che mostrano i bagnanti nella prima vera piscina pubblica di Padova, le acque del Bassanello all’Alicorno, e qualche anziano ricorderà ancora la spiaggetta del “peoceto” sul Brenta tra Limena e Altichiero. Senza parlare di canali e scoli di campagna, gioia dei bambini di una volta. Perché li abbiamo sempre amati, fin da piccoli, i nostri fiumi. Sono luoghi del cuore, punti di riferimento non solo geografici; certezze, anche se a volte spaventano o fanno ancora paura, quando si gonfiano e minacciano di esondare.
I corsi d’acqua sembrano avere, oggi, più colpe che meriti: intralciano, poi sono sporchi e sono anche lenti
Il problema principale dei fiumi veneti, sembra di capire, è proprio questo: chi sono, cosa sono, per chi il Veneto, oggi, lo abita? Che ruolo hanno nella nostra società? Sono percepiti come risorse o come ostacoli? Forse rispondere a questa domanda aiuterebbe a rimetterli al centro, o per lo meno a dare loro un posto nella realtà contemporanea. Perché i fiumi sembrano avere, oggi, più colpe che meriti: in primo luogo, ci sono, e per il fatto che ci sono, intralciano. E poi, sono sporchi, come se fosse colpa loro. E sono anche lenti… e la contemporaneità vuole velocità.
Forse proprio perché non li temiamo più, i nostri fiumi, e non sono più così misteriosi e affascinanti, non godono più del nostro rispetto; peggio, ci suscitano indifferenza.

I fiumi veneti erano le vie di comunicazione, su di essi venivano trasportate merci e persone. Sulle sponde di alcuni sono sorte le più belle ville del mondo
“I fiumi non interessano a nessuno”, sentenzia Pietro Casetta, geografo e grande appassionato dei fiumi veneti dove ha provato a promuovere il turismo fluviale. Una cosa che dovrebbe, almeno quella, essere lenta per definizione. “Per decenni mi sono impegnato provando a valorizzarli anche turisticamente. La realtà è che il risultato è stato poco. Perché il Veneto, a parte pochi imprenditori illuminati, non ha una mentalità turistica. A Padova ad esempio il turismo fluviale è di fatto garantito da una sola compagnia di navigazione. In generale, un po’ ovunque la navigazione è vista come il fumo negli occhi. Un esempio? L’idrovia Padova-Venezia: sono tutti d’accordo a farne un canale scolmatore delle piene, ma non a farne una linea fluviale navigabile. A nessuno interessa rimettere la navigazione al centro dei programmi: per il suo rilancio, prima ancora che “infrastrutture” come ponti e strade, servono persino le basilari “strutture”. Anche trovare un ristorante lungo il fiume per portarci a pranzo i turisti fluviali è un problema”.
Malgrado il Veneto sia attraversato dai due più grandi fiumi d’Italia non si è sviluppato un turismo fluviale e nemmeno una linea fluviale navigabile
L’idrovia come “scolmatore”, i fiumi come “scoli”, piccoli o grandi. Come possono riprendere il loro ruolo “affettivo” e centrale, i nostri corsi d’acqua, se li consideriamo alla stregua di tubature a cielo aperto? Diventato grande, dei suoi fiumi il Veneto moderno sembra farsene poco: eppure erano le vie di comunicazione su cui si è fondata la nostra civiltà, trasportavano merci e persone, sulle sue sponde sono sorte le più belle ville del mondo. Erano crocevia, luoghi di scambi, fonti di sussistenza e lavoro. Poco rimane di tutto questo. Gli argini sono piste per runners e per portare a spasso i cani, e qualche comitiva vi fa scampagnate domenicali.

Gli esperti avvisano da tempo che l’acqua potabile è in diminuzione, che bisogna gestire meglio quella che c’è, raccogliere e trattenere quella piovana
Dei fiumi si interessano, invece, le organizzazioni agricole: perché non portano mai abbastanza acqua per irrigare le campagne, sempre più assetate, complici i cambiamenti climatici e le colture esigenti. Serve più acqua proprio quando ce n’è meno: gli esperti avvisano da tempo che l’acqua potabile è in diminuzione, che bisogna gestire meglio quella che c’è, raccogliere e trattenere quella piovana. Cambiare tipo di colture seminando piante meno esose. Chi raccoglie e trattiene l’acqua in montagna, però, sono soprattutto i bacini idroelettrici: e a loro serve per produrre energia, rilasciandola quindi poi in base alle loro esigenze e non a quelle dei germogli sui campi o dei turisti sui litorali.
L’ultimo spavento per gli agricoltori si chiama “deflusso ecologico”, una direttiva europea che impone agli stati di garantire una portata minima per ogni fiume. Dovrebbe entrare in vigore nel 2022. Regione e organizzazioni agricole, critiche sui metodi dei calcoli che non terrebbero conto della tipicità di alcuni fiumi veneti, che alternano momenti di abbondanza e altri di magra, stanno cercando la via della mediazione, di chiedere rinvii e ricalcoli delle portate minime, per evitare lo spauracchio. Secondo le loro previsioni, infatti, se nei periodi di magra si dovesse garantire la portata minima prevista, fiumi come il Brenta dovrebbero tenere chiuse le derivazioni e lasciare all’asciutto centinaia di ettari di campagna, anche in periodi in cui sarebbe essenziale irrigare.
L’ultimo spavento per gli agricoltori si chiama “deflusso ecologico”, una direttiva europea che impone di garantire una portata minima nei corsi
“Parlare di deflusso ha senso se non è fatto con il bilancino – conferma anche Casetta – perché la portata minima, che in genere è a febbraio e luglio, va vista non in metri cubi solamente, ma in funzione della vegetazione che si vuole ottenere, della navigabilità, della puzza che, soprattutto d’estate, penso si voglia evitare”.

Nel 2022 dovrebbe entrare in vigore la direttiva europea del “deflusso ecologico”. Secondo la Regione e le organizzazioni agricole se nei periodi di magra si dovesse garantire la portata minima prevista, fiumi come il Brenta dovrebbero tenere chiuse le derivazioni e lasciare all’asciutto centinaia di ettari di campagna
Anche per garantire la navigabilità, e quindi il turismo fluviale, serve un minimo d’acqua nei canali: e, di nuovo, si rischia che interessi contrapposti cozzino tra loro. Forse sarebbe bene cominciare a rimettere al centro il bene dei fiumi, con tavoli e progetti che travalichino i confini delle regioni, gli interessi troppo localistici, quelli troppo commerciali. Considerare i fiumi per quello che sono, delle vene e delle arterie che portano la vita dove transitano. C’è da scommettere che tornare a ridare loro il giusto rispetto e la precedenza nelle scelte, come ai tempi della Serenissima, sarà in futuro, di nuovo, una priorità: c’è da convincerci che il resto – più acqua, sicurezza, agricoltura, turismo, pesca, lavoro, economia – non potrà che discenderne come necessaria conseguenza.