Rifiuti industriali, il tallone di Achille del sistema di smaltimento veneto

Fondazione Nord Est per Confindustria Veneto ha messo in luce che in un campione di 500 aziende il 60% ha avuto problemi di smaltimento dei scarti di lavorazione nel 2018
La nostra regione si vanta, giustamente, di avere raggiunto ottimi livelli nel riciclo e nella raccolta differenziata, grazie a cittadini ormai sensibilizzati al tema. Se la collocazione del “secco residuo” rappresenta quindi un problema ormai relativo per i rifiuti domestici nel Veneto, a preoccupare di recente sono gli scarti industriali e artigianali prodotti dalle aziende, che trovano difficoltà nello smaltimento e solo a costi competitivi. I dati dicono che i rifiuti speciali provenienti dalle lavorazioni industriali pesano sei volte tanto, nel Veneto, di quelli urbani (13.750.000 contro 2.240.000 tonnellate). E nelle stesse discariche dove ogni anno finiscono poco meno di 100mila tonnellate di rifiuti urbani, vengono smaltiti un milione di tonnellate di rifiuti speciali: scarti di quelle produzioni che esportate in Italia e nel mondo hanno condotto alla ricchezza che conosciamo. Sono rifiuti “veneti” anche questi, non solo quelli che finiscono nel cestino di casa.
I rifiuti speciali provenienti dalle lavorazioni industriali pesano sei volte tanto, nel Veneto, di quelli urbani: 13.750.000 contro 2.240.000 tonnellate
Ebbene, una recente indagine di Fondazione Nord Est per Confindustria Veneto ha messo in luce come quasi il 60% delle 500 aziende intervistate abbia registrato nel 2018 difficoltà per il ritiro e lo smaltimento dei propri rifiuti industriali. “Il sistema di gestione dei rifiuti industriali in Veneto è prossimo al collasso – ha denunciato Assindustria Veneto Centro, segnalando come le filiere maggiormente in difficoltà siano la meccanica-metallurgia, la chimica farmaceutica, la gomma-plastica, il vetro-ceramica, il legno arredo, il tessile calzature, il cartario – tutti comparti strategici per il sistema produttivo veneto”. “Il problema da gestire è proprio la quantità di secco residuo – spiega Devis Casetta, biologo, responsabile del Forum Rifiuti Veneto di Legambiente – se la differenziata ha un suo percorso e il riciclato trova una collocazione, il secco residuo ha come méta principale solo discariche e inceneritori. E continua a essere troppo. Si può notare – prosegue – come i cittadini che si sono abituati a fare la raccolta differenziata porta a porta abbiano maturato la consapevolezza della mole di rifiuto secco prodotto e ne sia conseguita una riduzione. A Treviso e Belluno ad esempio siamo al di sotto dei 70 chili pro capite all’anno, contro i 250 chili circa di Rovigo, Venezia, Verona e Padova dove, ad esempio, il porta a porta non copre tutta la città”.
Se la media fosse ovunque pari all’obiettivo di 75 chili pro capite all’anno, fissato da Legambiente, i due inceneritori di Padova e Schio e i cementifici come quello di Pederobba (che in passato ha utilizzato plastiche miste e pneumatici nei processi produttivi) sarebbero sufficienti a smaltirli senza bisogno di discariche.Discorso diverso è per i rifiuti industriali, dove le imprese potrebbero fare meglio. “Troppo di frequente nell’indifferenziato finiscono imballaggi definiti “misti” solo per comodità, ad esempio plastiche e cartoni che le imprese potrebbero perfettamente differenziare. Si può lavorare ancora molto in monitoraggio e prevenzione per ridurre questa quota di rifiuto che potrebbe essere riciclato”, spiega Casetta.

Devis Casetta, biologo, responsabile del Forum Rifiuti Veneto di Legambiente
Ma la causa dei problemi nello smaltimento dei rifiuti industriali non è solo una cattiva raccolta fatta a monte: è reale oggi la difficoltà di smaltire anche il differenziato. Una programmazione nazionale e regionale che va a rilento, e una serie di fattori dovuti a economia e politiche internazionali, hanno creato i classici colli di bottiglia. Capita così che non di rado le imprese non trovino chi accoglie i loro rifiuti, e che i costi siano lievitati. Due esempi per tutti: la carta riciclata, il cui prezzo è crollato, e gli inerti edilizi, che si fatica a riconvertire, colpa anche di normative incomplete. La Cina in particolare dal 2018 ha chiuso alle importazioni di plastica riciclata di scarsa qualità dall’estero, con il risultato che oggi le discariche della Malesia e altri Paesi del Sudest Asiatico sono sommerse dai rifiuti plastici Europei.
Troppo di frequente nell’indifferenziato finiscono imballaggi definiti “misti” solo per comodità, plastiche e cartoni che le imprese potrebbero perfettamente differenziare
Una pezza la Regione l’ha messa autorizzando l’ampliamento delle due discariche di Sant’Urbano e Legnago, di cui invece i cittadini aspettano da anni la chiusura. Urgono quindi soluzioni alternative: se non c’è mercato per i rifiuti riciclati, è naturale che i magazzini di stoccaggio si riempiano. Inoltre, per legge il rifiuto industriale non ha il vincolo di quello urbano, che deve essere gestito entro il perimetro regionale: può uscire, così come quello altrui può entrarvi. E ci si trova con il paradosso di impianti veneti che trovano conveniente importare rifiuti da fuori regione, costringendo le imprese locali a cercare altrove e a prezzi che minano la loro competitività sul mercato.
Il rapporto Ecomafia di Legambiente del 2018 ha contato “76 inchieste per traffico organizzato, 177 arresti, 992 trafficanti denunciati e 4,4 milioni di tonnellate di rifiuti sequestrati
In una situazione giunta al limite, non stupisce il fiorire di situazioni di illegalità: perché i rifiuti sono un business. Lo evidenzia bene il rapporto Ecomafia di Legambiente del 2018 che ha contato “76 inchieste per traffico organizzato (erano 32 nel 2016), 177 arresti, 992 trafficanti denunciati e 4,4 milioni di tonnellate di rifiuti sequestrati (otto volte di più rispetto alle 556 mila tonnellate del 2016)” (fonte: ufficio stampa Legambiente). Sono dati nazionali, è vero: ma metà di queste inchieste riguardano il Nord, buona parte il Nordest. E Assindustria Veneto Centro non ha avuto remore nel denunciare la presenza di “loschi figuri lesti a proporsi per “risolvere il problema” con non meglio precisate intermediazioni”. In tutto questo si è verificata un’inversione di tendenza, come alcune situazioni venute alla luce hanno ormai evidenziato: in Veneto arrivano i rifiuti dal sud. “Arpav ha già verificato situazioni di capannoni usati per lo stoccaggio illegale. Vent’anni fa i rifiuti si portavano facilmente al Sud, ora che la criminalità organizzata è presente anche nel Veneto, riempie i nostri capannoni rimasti vuoti”, evidenzia Casetta. A marzo 2019 sono state scoperte 900 tonnellate di rifiuti di provenienza campana in un capannone di Asigliano, nel vicentino, ma eclatanti sono stati anche i casi di Fossalta di Piave (Venezia) e Fiesso Umbertiano (Rovigo), per non parlare delle 280mila tonnellate stoccate in due cave a Paese e a Noale. Ogni tanto questi capannoni si incendiano, immettendo nell’aria sostanze gravemente inquinanti, o inquinando con il percolato il sottosuolo e le falde. Per fortuna talvolta vengono scoperte in tempo, quando qualcuno si insospettisce segnalando alle forze dell’ordine strani via vai di camion o inusuali odori in strutture che dovrebbero essere abbandonate. È il caso di dire che la gente, oltre a differenziare bene, deve essere sempre più la prima vera sentinella del proprio territorio.