RIVIERA EUGANEA. UNA STORIA “NOSTRA”

Le sponde del Canale Battaglia sono punteggiate da luoghi in cui è stato raccolto il passato bellico di questa terra. Da villa Miari De Cumani a Villa Giusti e da villa Maldura Emo Capodilista fino al Catajo, le stanze e le loro pareti parlano di battaglie, armistizi e glorie militari
Scavato alla fine del XII secolo, il Canale Battaglia solca il paesaggio della Riviera Euganea, dolcemente segnato dalla presenza di splendide ville, palazzi e rustici su uno sfondo collinare di armoniosa bellezza. Lungo il suo corso, dal Bassanello, a sud di Padova, fino a Battaglia Terme, suggestiva “porta dei Colli Euganei”, si addensano luoghi divenuti simbolici nella costruzione dell’identità italiana, ideali protagonisti di un metaforico viaggio nella storia.

Villa Miari De Cumani a Sant’Elena d’Este
In questa luce la Riviera potrebbe essere percorsa spingendosi oltre, a meridione, non lontano da Monselice, dove passa il Bisato, corso sinuosissimo – come suggerisce il nome -, che dal Vicentino arriva a lambire la Bassa Padovana, fino a congiungersi con il Canale Battaglia. Il viaggio potrebbe iniziare dall’abitato di Sant’Elena, da secoli caratterizzato dal profilo merlato di Villa Miari de’ Cumani, singolare complesso rimodernato tra Otto e Novecento in stile neogotico. Sorta sulle fondamenta di una casa-torre medievale, risalente con buona probabilità all’XI secolo, la villa è circondata da un parco romantico ricco di fascino, non solo per il gusto jappelliano dell’apparente “disordine naturale” – in realtà studiatissimo e progettato nel dettaglio dall’ingegnere Osvaldo Paoletti – ma anche per l’importanza storica di alcuni elementi. Fra questi è senz’altro da annoverare il tempietto dedicato a Cavour, testimone silenzioso fra il verde della vegetazione e i riflessi del lago, della fede risorgimentale del proprietario, il nobile bellunese Felice Miari, giunto a Sant’Elena nel 1838, dopo il matrimonio con la contessa Anna de’ Cumani.
Luoghi divenuti simbolici nella costruzione dell’identità italiana, ideali protagonisti di un metaforico viaggio nella storia
A parlare dell’impegno civile del committente, sindaco del piccolo centro tra 1866 e 1882, sono anche alcuni sorprendenti dettagli legati alla decorazione della villa, ed in particolare alla Sala del Biliardo, dove spicca una curiosa serie di tondi con Giochi di putti, ospitati nelle eleganti lunette sottostanti la volta del soffitto. Niente di eccezionale, se non fosse che nel gioco della citazione di sapore settecentesco viene inserito un particolare del tutto inedito: una coppia di putti indossa i vestiti da soldato piemontese, con tanto di kepì piumato, baionetta e fasce bianche incrociate nella divisa, esplicito omaggio all’appena compiuta Unità d’Italia. Nello stesso spirito vanno letti altri dettagli legati alla ritrattistica di famiglia: Isabella Cezza, ad esempio, moglie di Giacomo Miari, figlio di Felice, ritratta da Giovanni Maria Sacchetto mentre posa seduta e magnificamente vestita con l’abito bianco ghiaccio del matrimonio, ci colpisce non solo per lo sguardo fiero rivolto all’osservatore esterno, ma anche per l’ostentazione vistosa dell’anello nuziale con rubino, diamante e smeraldo, richiamo inequivocabile al tricolore. E ancora, nel ritratto della giovane Giulia Miari, sorella di Giacomo, non deve sfuggire il particolare della spilla con i colori della bandiera italiana, a ribadire un leit-motiv davvero pervasivo nel contesto della villa, suggellato infine nell’iscrizione posta sulla facciata esterna dell’oratorio, dove si ricorda che l’abbellimento del complesso, iniziato da Felice e proseguito da Giacomo, fu dedicato all’Unità d’Italia.

Nata a Padova nel 1894, cinque anni prima della Fiat, la “Miari & Giusti” fu la prima casa automobilistica italiana. Nella foto il triciclo Motori Bernardi, Miari, Giusti & C. del 1896, conservato al Museo dell’Automobile Carlo Biscaretti di Torin
Al di là dell’ambito politico ed artistico, la figura di Giacomo Miari ci riconduce anche ad un’altra suggestiva sfera: quella della sperimentazione tecnologica. Il suo nome, infatti, insieme a quello di Francesco Giusti, è legato alla prima casa automobilistica italiana, la Miari & Giusti, fondata a Padova nel 1894. L’azienda nacque dalla volontà dei due giovani, entrambi ingegneri, di costruire industrialmente la vettura mossa da motore a benzina realizzata nello stesso anno da Enrico Bernardi. Il figlio del patriottico Felice Miari incrocia così il proprio destino con quello di un giovane appartenente ad un ramo nobiliare altrettanto singolare nel contesto politico del tempo: quello dei Giusti del Giardino. Francesco, volontario nella Grande Guerra e primo podestà fascista di Padova, è parente di Vettore, sindaco di Padova e senatore, celebre soprattutto per aver messo a disposizione la propria villa a Mandriola, dove il 3 novembre 1918 fu firmato l’Armistizio che decretava la fine della Prima Guerra Mondiale.

Il mattino del 3 novembre le truppe italiane dilagavano oltre le linee austriache mentre la delegazione austriaca raggiungeva Villa Giusti dove il comando italiano si sarebbe più tardi accordato con von Webenau, per l’interruzione delle ostilità 24 ore dopo la firma del trattato. L’armistizio fu firmato a Villa Giusti alle 15:20
La villa, che nella metafora del nostro viaggio potrebbe rappresentare l’altro capo del percorso, non è forse tra le più grandiose del sistema delle ville venete: passata anzi alla storia per la sobrietà quasi “borghese” che da sempre la connota, fu forse – come ebbe a notare il grande critico d’arte Ugo Ojetti -, il teatro più adatto alla chiusura di uno fra i più terribili capitoli della storia occidentale. Se Villa Giusti rappresenta un punto fermo nella memoria collettiva, un luogo della coscienza più che della contemplazione artistica, centro da cui poi si è sviluppata una nuova storia urbana – quella del quartiere detto appunto Armistizio – non va dimenticata l’articolata vicenda architettonica del sito, compromesso nella sua integrità da un restauro di fine Ottocento, ma ancor oggi notevole per la presenza di un bel parco di gusto romantico. É inoltre importante ricordare che il complesso, di proprietà della famiglia Capodilista, fra le più potenti di Padova sin dal Medioevo, faceva parte di un contesto più ampio, comprendente anche la “domus magna cum corte, horto, bruolo e gastaldia” nominata in un documento del Quattrocento e corrispondente all’attuale “Villa Molin alla Mandriola”, sorta attorno ad un castello alto-medievale e trasformata in un gioiello di purezza geometrica da Vincenzo Scamozzi, l’allievo prediletto di Palladio.

“Villa Molin alla Mandriola”
Caratterizzata dalla pianta perfettamente quadrata e dal piacevole ritmo delle colonne ioniche della facciata, la villa si lega al complesso dei Giusti non solo per ragioni di contiguità e di fondazione: nell’armonico ambiente scamozziano, infatti, furono tenute le trattative che condussero alla firma del trattato.
A margine di questo suggestivo gioco di rimandi, potremmo forse ritornare sui nostri passi, seguendo il fluire lento del Canale, per ritrovare in località Rivella le linee rigorose di villa Maldura Emo Capodilista, altra opera ascritta al genio di Scamozzi, per infine perderci nell’immensità di Villa Obizzi, più nota come il Castello del Catajo, fra i più maestosi complessi architettonici della Terraferma veneta che richiama, nella sua forma al tempo stesso esotica e robusta, le glorie militari della famiglia che ne volle la costruzione e che affidò la decorazione delle stanze interne all’estro gioioso di Giovanni Battista Zelotti.

Decorazione delle stanze interne del Catajo di Giovanni Battista Zelotti
Con lo sguardo appagato possiamo forse chiudere il nostro itinerario a ritroso nel tempo, confortati dai segni materiali sopravvissuti al dramma della storia, e più ancora da quella tenace “resistenza dei fatti”, per usare l’intenso verso di Titos Patrikios, ad accompagnare il viaggiatore sulle acque del Canale circondato da luci e ombre di una modernità inquieta.