Viaggio nella storia dell’Arte seguendo la cometa
La Vergine con il Bambino, san Giuseppe, la mangiatoia, i pastori, la stella, i Re Magi sono parte di quell’affascinante microcosmo che nel Presepio costituiscono un’armonica unità, ma che non lo sono nella storia del tema figurativo. Sono infatti entrati nell’iconografia un po’ per volta e per ragioni diverse, seguendo l’evoluzione delle feste liturgiche del Natale e dell’Epifania
Luci profumi colori. Le note armoniche del tempo di Natale si riflettono anche nell’arte, come componente essenziale fra le innumerevoli interpretazioni dedicate al grande momento della liturgia cristiana. Il tema iconografico della Nascita di Cristo è presente nella cultura figurativa da moltissimi secoli, carico di suggestioni e pregnanza sacrale. Tuttavia la diffusione del soggetto non coincide con lo sviluppo del Cristianesimo: la prima arte cristiana è infatti altamente simbolica, ancora legata al divieto biblico di rappresentare la divinità, secondo il passo di Esodo 20, 3-5. Non troviamo quindi nella produzione artistica dei primi secoli cristiani vere e proprie “narrazioni” del Natale: è infatti un’arte essenzialmente aniconica, cosparsa di “immagini-segno”, talvolta desunte dal repertorio iconografico della tradizione classica, dal valore allusivo. Ne è un esempio la celebre iconografia del Buon Pastore, presente dal II secolo d.C. nelle catacombe e nei più antichi luoghi di culto, ma anche in pitture, medaglie, bassorilievi, e che riallacciandosi alle figurazioni pastorali pagane – come ad esempio nella pittura pompeiana – ne dà un nuovo significato, quello naturalmente del Cristo Pastore della Chiesa, come si vede ad esempio nel mosaico delle Catacombe di Priscilla a Roma (III secolo d.C.).
Fra i diversi motivi iconografici paleocristiani di questo genere – come il pesce, allusivo all’acronimo del nome di Cristo in greco, o il sole simbolo della sua regalità o, ancora, l’agnello a evocare il martirio – manca in origine l’iconografia della Nascita del Bambino. Bisognerà aspettare prima di assistere alla piena evoluzione in senso narrativo dell’arte religiosa occidentale, e dunque alla rappresentazione vera e propria del Natale. Si tratta infatti di un’iconografia che ha trovato una definizione “per gradi”, arricchendosi di elementi nel corso del tempo. La Vergine con il Bambino, san Giuseppe, la mangiatoia, i pastori, la stella, i Re Magi sono infatti parte di quell’affascinante microcosmo che è il Presepio, nato in senso vero e proprio solo con san Francesco nel Medioevo: elementi, beninteso, che se nel Presepio costituiscono un’armonica unità, altrettanto non lo sono nella storia del tema figurativo.
Sono infatti entrati nell’iconografia un po’ per volta e per ragioni diverse, seguendo l’evoluzione delle feste liturgiche del Natale e dell’Epifania. A sottolineare la nascita povera del Salvatore, accolto “in una mangiatoia perché non c’era per essi posto nell’albergo” (Lc, 2,7), è certo l’umile presenza dei pastori, all’origine della stessa iconografia dell’Adorazione dei pastori. A partire dal IV secolo la Natività divenne uno dei temi più frequentemente rappresentati nell’arte religiosa, come attestano i mosaici della Cappella Palatina a Palermo, del Battistero di Venezia e delle basiliche di Santa Maria Maggiore e di Santa Maria in Trastevere a Roma. In queste opere la scena si svolge in una rustica grotta, utilizzata per il ricovero degli animali, con Maria distesa e Giuseppe assorto in un angolo, fuori dallo spazio sacro in quanto “semplice uomo” e gli Angeli che portano l’annuncio ai pastori. Il centro della composizione è costituita dal Bambino Gesù, posato nella “culla-mangiatoia” che a volte ha le sembianze di un sarcofago, a prefigurare la sua morte e risurrezione. Si tratta di una scena diffusissima e oggetto di una profonda devozione popolare, presente anche in molte chiese del nostro territorio, come si vede ad esempio nell’Arcipretale di Villa Estense, nel cuore della bassa padovana, dove è custodito un suggestivo brano di scuola bassanesca, ricordato anche nel Viaggio per l’antico territorio di Padova di Giannantonio Moschini (1809), che ne registra la presenza nel luogo originario, ossia “nella chiesetta privata de’ Conti Sanbonifacio […] sopra l’altare”, qualificandolo “opera egregia di Francesco Bassano”: attribuzione che è stata in seguito spostata in direzione del fratello minore Leandro, noto per l’abilità ritrattistica, che insieme ai fratelli Francesco e Girolamo aveva ereditato la laboriosa bottega del padre Jacopo.
Attingendo ai Vangeli dell’infanzia, la produzione figurativa si è concentrata anche su un altro momento della Natività: l’Adorazione dei Magi, simbolo dei pagani che riconoscono la divinità di Cristo. Il tema è attestato per la prima volta nel III secolo presso la Cappella Greca delle già citate Catacombe di Priscilla, per diffondersi poi nella raffinatissima scultura dei sarcofagi. Inizialmente il numero dei Magi era due, come si nota nelle Catacombe dei Santi Pietro e Marcellino, per diventare poi variabile fino a fissarsi nell’iconografia dei Tre Magi, sapientissimi sacerdoti persiani venuti dall’Oriente guidati dalla stella cometa per adorare il Cristo, portando oro incenso e mirra, e ricordati nella letteratura apocrifa con i nomi di Baldassarre, Melchiorre e Gaspare. Così li vediamo nella pagine più sontuose della pittura medievale e rinascimentale, quando il tema diventa uno strumento di rappresentazione auto-referenziale presso le famiglie di alto lignaggio. Un esempio per tutti è certamente quello di Palazzo Medici Riccardi a Firenze in cui l’elegante linearismo di Benozzo Gozzoli (1459) descrive il fastosissimo corteo dei Magi, fra i più preziosi che si siano mai visti, con una chiara allusione alla ricchezza e potenza dell’aristocratica famiglia fiorentina che lo aveva commissionato. Più sobri sono gli esempi di poco successivi in area veneta, forse perché segnati dalla più intima religiosità della devotio moderna. C’è bisogno di un rapporto più diretto con la fede: il devoto vuole “entrare” nella storia sacra e immedesimarvisi, per poterla contemplare. La storia diventa dunque essenziale, depurata dagli elementi di contorno: un’operazione di sintesi che possiamo apprezzare nella splendida versione di Andrea Mantegna per Isabella d’Este, nel quadro (1497-1500) ora al Getty Museum di Los Angeles: quasi un close-up, vista l’inquadratura ravvicinatissima. Sembra guardare al nuovo modello “abbreviato” l’Adorazione dei Magi (Padova, Museo Diocesano) proveniente dalla chiesa di San Sabino in Torreglia, un piccolo quadro di devozione privata, realizzato probabilmente a inizio ‘500 da un pittore veneziano e donato alla parrocchia dal sacerdote Jacopo Facciolati (1682-1769), che era nato nel grazioso borgo euganeo: un delicato tassello di memoria che va ad arricchire il profilo di un patrimonio comune.