L’antico bovino “Pugliese Veneto”, un tagliaerba a quattro zampe motrici
Una proposta per il recupero di un bovino che fino a non molti anni fa veniva allevato nelle nostre campagne. La sua natura rustica, che lo rende idoneo a vivere all’aperto tutto l’anno e ad adattarsi a ogni sorta di pascolo, potrebbe essere vincente per un suo inserimento nei grandi parchi di pianura come equilibratore la vegetazione. In Germania e in Olanda già lo fanno
In una pubblicazione del 1960 sulle razze bovine italiane della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, risultava ancora diffusa e allevata nel Basso Veneto una razza denominata “Pugliese del Veneto”. Oggi di questo bovino non c’è più traccia. Si trattava di un animale pascolante legato alle zone non ancora bonificate, a quei terreni soggetti ad allagamenti primaverili e la pratica del maggese, cioè la presenza di campi lasciati a riposo dove si formava del pascolo spontaneo. Se guardiamo i piani di bonifica di fine ‘800 e primi del ‘900 il territorio così caratterizzato era allora ancora estesissimo nel Basso Veneto. Nelle condizioni attuali del territorio della regione è un tipo di habitat completamente assente. L’impiego primario della Pugliese Veneta era quello di animale da lavoro, ma forniva anche ottima carne e, volendo, poteva anche dare latticini anche se con rese minime comparate con quelle delle mucche da latte di oggi; apparteneva ad un tipo di bovino che anticamente era diffuso lungo tutto il litorale Adriatico, dall’Istria fino in Puglia.
La sua caratteristica era di essere molto rustico, capace di vivere all’aperto tutto l’anno e di accontentarsi di ogni sorta di pascolo.
Le razze bovine primitive come la Pugliese Veneta sembrerebbero non avere più un posto loro nel contesto rurale di oggi. Di fatto, però, si sta aprendo una nuova possibilità per questo di tipo di erbivoro. In alcuni paesi europei come Olanda e Germania, questi bovini primitivi vengono impiegati per tenere sotto controllo la vegetazione dei grandi parchi verdi di pianura. Si tratta di estensioni troppo grandi perché squadre di giardinieri possano gestire la situazione e troppo piccole per mantenere un ecosistema naturale completo, dotato di erbivori selvatici e relativi predatori, come nei grandi parchi nazionali. Per tenere sotto controllo l’esuberanza della vegetazione zone del primo tipo come il Parco dei Colli Euganei, e il Parco del Delta dovrebbero seriamente considerare l’impiego della Pugliese Veneta, che offre l’autosufficienza delle specie selvatiche unitamente alla gestibilità di quelle domestiche. La dove la vegetazione cresce senza prelievo si creano zone impenetrabili e a terra si accumula una grande biomassa organica secca con la costipazione dell’ambiente e offrendo occasione a inevitabili conflagrazioni al primo mozzicone di sigaretta.
Per tenere sotto controllo l’esuberanza della vegetazione zone del primo tipo come il Parco dei Colli Euganei, e il Parco del Delta dovrebbero seriamente considerare l’impiego della Pugliese Veneta, che offre l’autosufficienza delle specie selvatiche unitamente alla gestibilità di quelle domestiche
Il bovino in questione è abituato a vivere in ambienti naturali dove bruca non solo l’erba ma anche i rami dei cespugli e degli alberi. Questa azione ecologica favorisce la biodiversità. Tenere rasati i prati con il pascolamento favorisce l’avifauna poiché gli uccelli non amano scendere a terra dove c’è l’erba alta. Le fatte lasciate a terra dai bovini favoriscono poi tutta la entomofauna. L’escursionista troverebbe un ambiente facilmente percorribile con corridoi e radure create dai bovini, e gli alberi privi delle fastidiose fronde basse. La Pugliese Veneta ha una indole molto tranquilla e basta del filo spinato per contenerla, ciò a differenza di erbivori selvatici che richiedono costosissime recinzioni di rete grossa alta tre metri. Grazie alla sua indole pacifica questo bovino può essere lasciato libero in presenza di escursionisti senza che vi sia pericolo, anche con il toro. Comunque sia, nulla di più agevole segregarli in orario di pubblico data, appunto, la loro domesticità. Importante è stabilire con precisione il carico di bestiame per superficie di territorio perché gli animali devono essere indotti a brucare non solo l’erba ma anche la parte loro meno grata, quella fibrosa e legnosa, della vegetazione. Il nucleo di bovini deve comprendere toro e vacche in giusti rapporti di numero e la riproduzione andrebbe lasciata a se stessa. Quando il numero di capi diventa eccessivo si può provvedere alla regolare macellazione dell’esubero. Si può ben immaginare quanto potrà essere “biologica” tale carne. Anche qui si vuol far notare la convenienza di impiegare una specie domestica nelle aree verdi rispetto a, per esempio, il daino molto più difficile da contenere e da gestire, sia da un punto di vista tecnico, sia da quello normativo. La Pugliese Veneta costituisce di per se un elemento attraente e qualificante del paesaggio. Le razze primitive hanno un maggiore valore estetico rispetto a quelle altamente modificate dell’industria. Oltretutto, ha una sua validità storico-culturale, inserendosi in quella serie di rivisitazioni odierne della vita ed economia rurale del passato.
Da tempo regioni come la Lombardia ed il Veneto sono allarmate dal consumo di territorio. Si vorrebbe non solo arrestare l’asfalto ed il cemento ma invertire la tendenza riportando zone di pianura ad una condizione ecologica più sostenibile
Resta da vedere dove recuperare soggetti di tale razza bovina. Si può andare in Istria a trovare la “Boscarin”, in Puglia dove ora viene chiamata “Podolica”, o ancora meglio prendere soggetti da ambedue località.
L’argomento specifico di questo articolo s’inserisce nel contesto assai più vasto del restauro ecologico della pianura della Val Padana. Da tempo regioni come la Lombardia ed il Veneto sono allarmate dal consumo di territorio. Si vorrebbe non solo arrestare l’asfalto ed il cemento ma invertire la tendenza riportando zone di pianura ad una condizione ecologica più sostenibile. Ci sono state già timide iniziative in passato da parte pubblica come quelle di ricostituire le siepi tra i campi coltivati e creare qualche boschetto con specie originarie. Ma il movimento d’opinione va ben oltre: chi abita in pianura reclama vera e propria “Natura Km 0”. Non si tratterebbe di spazi verdi tra le case ma di vere estensioni di decine di ettari raggiungibili a piedi o in bicicletta dalla propria abitazione. Si tratterebbe di aree del primo tipo descritto sopra dove la dinamica della vegetazione naturalizzata verrebbe contenuta non dalla grande fauna erbivora ma da erbivori domestici. In fondo sarebbe un ritorno, mutatis mutandis, ai demani comunali.