Stagione dopo stagione, guardando oltre la vendemmia

Intervista a Roberto Lorin, giovane presidente di Conselve Vigneti e Cantine, da circa un anno alla guida della cantina sociale che trasforma 170 mila quintali d’uva, ossia il lavoro di 700 soci dell’area del Conselvano e non solo
Dai campi l’uva ha già iniziato a essere conferita nei centri di lavorazione per essere trasformata in vino. Dai tralci, in questi giorni, si stanno spiccando esclusivamente i grappoli a bacca bianca, la vendemmia dunque non è ancora entrata nel vivo ma abbiamo voluto comunque avere qualche anticipazione su come sta andando la stagione, anche in virtù degli andamenti climatici che hanno caratterizzato l’estate creando più di qualche problema per il resto delle colture della nostra campagna.
Roberto Lorin, lei è il presidente della Conselve Vigneti e Cantine, la cantina sociale di Conselve che rappresenta un colosso dell’enologia locale, lavorando annualmente circa 170 mila quintali d’uva dei circa 700 soci che conferiscono qui i loro prodotti. Che stagione è stata questa per le nostre viti?
“È stata una stagione che darà sicuramente qualità, gli andamenti siccitosi che hanno caratterizzato un po’ tutta l’estate hanno garantito un’uva molto sana. Anche la grandine caduta qualche settimana fa non ha in ciato il raccolto: fortunatamente l’assenza di vento ha fatto sì che i chicchi di ghiaccio cadessero perpendicolarmente e il loro impatto è stato attutito dalle foglie delle viti. La vendemmia come lo scorso anno è iniziata già appena dopo la metà di agosto per le uve bianche e in questi giorni si stanno raccogliendo anche i primi grappoli di Raboso. Per entrambe le tipologie stiamo riscontrando grappoli ben sviluppati e con un’ottima maturazione”.
Le gelate di inizio primavera non hanno pregiudicato più di tanto la produzione?
“I problemi causati dal freddo della primavera si sono manifestati a “macchia di leopardo”: qualche azienda è stata colpita di più qualcuna di meno, e anche se a prima vista i danni parevano essere ingenti, nel corso della stagione le viti hanno avuto una ripresa, sicché la perdita di prodotto è stimabile attorno al 6/7%. Un danno, tutto sommato, che potremmo definire contenuto”.
Da quale varietà avete le aspettative più elevate? Se non è troppo presto trarre dei bilanci…
“Se parliamo in termini di mera remunerazione, il “fenomeno” rimane il prosecco. Con i suoi 420 milioni di bottiglie venduti nel mondo rimane l’immagine dell’enologia veneta e, io direi anche, la produzione che rende remunerativa la nostra campagna. Se vogliamo essere obiettivi, non possiamo che partire da questa considerazione, ma per noi che siamo un territorio di uve a bacca rossa è ovvio aspettarsi molto dai nostri vini, ovviamente compreso il Friularo anche se la vendemmia destinata a questa produzione non è ancora iniziata”.
Visto che abbiamo tirato in ballo il tema della resa economica, com’è la situazione per i produttori locali?
“Se facciamo un confronto con le altre colture della campagna, la produzione vitivinicola è sicuramente quella che sta meglio e questo è un aspetto fondamentale se vogliamo anche guardare al futuro di questa terra. Io da presidente di una cantina sociale questo obiettivo lo devo tenere sempre al primo posto, la soddisfazione dei soci è il motivo per il quale sono qui, ma da questo dipende anche la tenuta del comparto agricolo. Le buone rese dei vigneti in questi anni hanno tenuto i giovani in campagna, hanno permesso un ricambio generazionale alla guida delle aziende, hanno stimolato investimenti, progetti legati all’innovazione, insomma l’idea del futuro. La qualità della produzione in questi anni è cresciuta anche per e etto di questo, ma la massimizzazione dei prodotti rappresenta anche quello che io definisco lo spettro del futuro della viticoltura del territorio”.
In che senso? Può spiegarci meglio?
“Irrigidirsi esclusivamente su quelle produzioni che oggi danno rese importanti, come nel caso del già citato Prosecco, potrebbe portare, a mio avviso, a situazioni già viste in passato. Nel momento in cui questo mercato conoscesse una flessione, spero in un tempo molto lontano, non avere un’alternativa rappresenta un grave rischio. Quindi bisogna lavorare anche sul vino del dopo Prosecco, bisogna immaginare il futuro, pianificarlo, mettere già in campo le soluzioni a quelli che potranno essere i problemi del domani”.
Voi, come Conselve Vigneti e Cantine che cosa state facendo in tal senso?
“Cerchiamo di puntare sulla qualità. Da anni accompagniamo i soci anche nelle scelte agronomiche, informiamo attraverso un bollettino, elaborato da tecnici che collaborano con la cantina, i trattamenti, gli accorgimenti, le strategie da tenere in campagna durante i mesi della coltivazione. Ma stiamo puntando anche su una maggiore consapevolezza “green” della campagna, dal disciplinare di produzione del Prosecco Doc, per esempio, dall’anno prossimo toglieremo la possibilità di usare il Glifosate, il Folpet e il Mancozeb. Credo molto nel mercato del biologico, chi compra chiede sempre più garanzie e qualità e questa è terra che ha ampi margini di crescita. Solo quest’anno sono stati piantati 600 ettari di nuovi vigneti e questi numeri non li dobbiamo guardare solo secondo le logiche della produzione di uva, ma è una produzione che si sta espandendo e con essa il suo indotto: chi fa impianti, chi vende macchine agricole, chi segue l’o erta dei fitofarmaci, tutto questo rappresenta un’economia in crescita ma, a mio avviso, proprio per evitare gli errori del passato a cui facevo riferimento prima, va governata con intelligenza”.
Va gestita…
“E certo, se confrontiamo questa terra con il Trevigiano, dove la viticoltura ha saturato ogni angolo di campagna, qui si può solo crescere, potremmo arrivare anche ad essere il terzo polo vitivinicolo del Veneto dopo Treviso e Verona. Abbiamo le superfici, abbiamo la capacità di produrre ottimi vini, abbiamo davanti gli errori fatti dagli altri e che noi possiamo evitare”.
In che modo?
“Lavorando con le altre cantine del territorio per organizzare una crescita equilibrata, nel senso che non devono crescere solo le superfici vitate ma anche la cultura della produzione vitivinicola, per eliminare gli squilibri e mantenere uno standard reddituale sicuro per i produttori, per crescere in qualità e prendersi quelle fette di mercato che premiano chi lavora bene, nel rispetto dell’uomo e del su ambiente”.
E il Friularo che spazio ha in questa “vision” del futuro?
“Ne è il simbolo, è il vino che rappresenta questa terra e la sua storia: dobbiamo farlo conoscere di più, dovremmo lavorare con le aziende distributrici affinché si trovi nelle carte dei vini di tutti i ristoranti e delle enoteche del territorio e lavorare anche sull’appeal che questo nostro straordinario prodotto può trovare all’estero, penso al Nord Europa o alla Cina dove amano i vini strutturati, corposi, dalla gradazione alcolica sostenuta. Nel Veneto non c’è solo l’Amarone…”.