Corpo e anima: il “fuoco” nascosto sotto le composte armonie dei Colli Euganei
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Luogo di benessere per il corpo e per lo spirito, i Colli Euganei sono comunemente associati alle cure termali e sono celebri per essere stati scelti dal poeta aretino Francesco Petrarca come ultimo rifugio al termine di un lungo peregrinare tra varie città d’Italia e Francia. Ma il grande poeta non è stato l’unico a passare di qui
Per i fanghi o per le inalazioni i turisti vengono da tutte le parti del mondo e si ritrovano qui, tra Monte Ortone e Montegrotto, tra Abano e Battaglia, alle pendici di queste isolate alture che svettano sulla pianura circostante. E non si tratta di una scoperta recente, perché già duemila anni fa i Romani avevano attrezzato i loro impianti, sfruttando sapientemente le preziose risorse del territorio: intorno all’anno 400 il poeta latino Claudio Claudiano, al seguito della corte dell’imperatore Onorio, visitò la località termale, traendo spunti per la composizione di un poemetto, l’Aponus (cioè “Abano”), in cui offre un quadro del territorio vivido e ricco di particolari.
Più in alto, in un angolo soprelevato (ma allo stesso tempo riparato) di questo complesso collinare, si ritirò negli ultimi anni della sua vita il poeta del Canzoniere, in un paese a cui ha legato indissolubilmente il suo nome: Arquà Petrarca. Difficile, se non impossibile, immaginare i Colli Euganei come luogo di ispirazione delle sue poesie – esse furono scritte prima che egli approdasse a questo buen retiro – ma nel 1370, scrivendo all’amico Moggio di Parma, il poeta non rinunciò a immaginare la sua dimora euganea come un “secondo Elicona”, come una alternativa al tradizionale monte greco sul quale risiedevano le Muse (epistola XLVI delle Variarum).
Andrea Zanzotto
Al coro di voci variamente ispirate ai Colli Euganei e ai suoi centri abitati si è unito, in anni recenti, il trevigiano Andrea Zanzotto, che ha proposto una felice sintesi tra termalismo e petrarchismo nei versi intitolati Notificazione di presenza sui Colli Euganei, inseriti nella raccolta IX Ecloghe. Il poeta si identifica con la natura sotterranea della zona euganea (“specchi a me conformi”): se essa è caratterizzata da “intimi fuochi” e da “acque folli / di fervori e di geli avviso”, Zanzotto descrive il suo tormento interiore con le parole “in opposti tormenti agghiaccio et ardo”. Parole che denunciano al contempo un debito nei confronti della lirica di Petrarca, che ama le antitesi fino a farne la struttura portante di alcuni sonetti, come il celebre “Pace non trovo, et non ò da far guerra” (CXXXIV), che al secondo verso recita testualmente “et ardo, et son un ghiaccio”. Il poeta trevigiano, tuttavia, riconosce ai Colli Euganei la fortuna di aver potuto dominare questa loro “agra natura” interiore e si auspica di poter analogamente ricomporre “in armonie” il suo intimo dissidio.
Ugo Foscolo
Attraverso poche e rapide pennellate, Zanzotto dipinge i Colli Euganei come un luogo caratterizzato da elementi contrastanti ma graziosamente nascosti sotto un paesaggio armonioso e dolce. Nulla a che vedere con la natura spaventosa, tormentata e inquietante, descritta da Ugo Foscolo in alcuni passi delle Ultime lettere di Jacopo Ortis: nel romanzo epistolare dello scrittore romantico la natura riflette lo stato d’animo del protagonista e, quando quest’ultimo è travolto dall’infelice passione amorosa, Foscolo descrive alte vette montuose, rupi, precipizi e voragini (lettera del 25 maggio). Anche nelle pagine precedenti, mentre tutt’intorno si apre uno scenario “indorato da’ pacifici raggi del Sole” e la catena circolare dei colli è ornata dalle viti “sostenute in ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi” e l’occhio si perde nella “interminabile pianura” e poi nel cielo, Jacopo Ortis si sente “quasi in mezzo all’oceano” e ai suoi piedi i fianchi del monte si spaccano “in burroni infecondi”, dove “il fondo oscuro e orribile sembra la bocca di una voragine” (lettera del 13 maggio). La penna romantica evoca una natura aspra e immagina in quegli stessi luoghi i sospiri e le lacrime di un malinconico e solitario Petrarca che ancora cerca là intorno con gli occhi “la beltà immortale di Laura” (lettera del 14 maggio).
Cesarotti e Barbieri
Il paesaggio dipinto nell’Ortis, almeno nei dettagli più spaventosi, risente probabilmente di un modello letterario: la traduzione dei Canti di Ossian di Melchiorre Cesarotti,
di ambientazione nordica. Di tutt’altro tenore è la descrizione proposta nel poemetto Colli Euganei, che Giuseppe Barbieri, allievo di Cesarotti, scrive negli stessi anni in cui Foscolo pubblica la prima edizione del suo romanzo: “Tutto respira gioventù, gaiezza: / voi siete un vezzo di natura, un riso, / gioja del Cielo, e leggiadria del suolo. / Facili dossi, collinette apriche, / tumuli erbosi, piccoletti scogli, / commode vallicelle, ombrosi seni, / cari boschetti, ruscelletti vivi / e torrentelli di brevissim’onda / son vostra gloria”. Dopo aver celebrato la storia e le bellezze dei principali paesi euganei, Barbieri non può fare a meno di presentare i Colli Euganei come nido di “cigni canori”, di spiriti eletti e di ingegni amorosi: dapprima menziona Pietro Bembo ma ben presto si concentra sul vero maestro, Francesco Petrarca. Un autentico centone dei suoi versi, ispirati da diversi contesti naturali, tratteggia gli ultimi luoghi amati dal poeta aretino.Quanto all’origine dei Colli Euganei, d’altra parte, il Barbieri immagina un tempo antico in cui la pianura era coperta dal mare (“campi di Nettuno”) e dalle viscere della terra un’eruzione di “sulfurei globi e liquefatti massi” avrebbe prodotto “cento isolette monticose”, nelle quali sarebbero stati racchiusi pesci fossili. Sulla base degli studi geofisici di Alberto Fortis, inoltre, Barbieri ripropone la teoria secondo la quale le mitiche isole Elettridi, nate in seguito alla caduta di Fetonte e al pianto delle sorelle, andrebbero identificate proprio con i Colli Euganei. In ogni caso questa terra, fertile e rigogliosa, nasconde nelle sue profondità acque termali dotate di proprietà benefiche, che già i Romani seppero valorizzare.
François Rabelais
In un’opera di tono completamente diverso, il Gargantua e Pantagruele (III 33), lo scrittore (e medico) francese François Rabelais propone una versione del tutto originale – e chiaramente inverosimile – circa la formazione di acque calde termali, almeno di quelle francesi e italiane. Esse non dipendono dalla presenza sotterranea di questo o quel minerale, ma altro non sono che l’orina prodotta dal gigantesco Pantagruele in seguito a un “riscaldo di vescica”, curato dai dottori con medicine lenitive e diuretiche. D’altra parte, è interessante che tra le principali località termali italiane menzionate dallo scrittore francese cinquecentesco figurino “Monte Grotto” e “San Pietro Montagnone” (nome medievale della stessa Montegrotto), “Abano” e “Sant’Elena” (da identificare con la località termale di Battaglia, posta ai piedi del Monte di Sant’Elena).
Qualunque sia la genesi dei Colli Euganei e delle sue acque benefiche, questo luogo ha ispirato scrittori e poeti di tutte le epoche per la sua dolcezza e armonia, che donano benessere al corpo e all’anima.