VILLE VENETE E TERRITORIO COME MODELLI DI SVILUPPO
La situazione politica ed economica che ha generato il fenomeno delle Ville Venete è assimilabile a quanto viviamo ora. Oggi, come cinquecento anni fa, siamo di fronte alla necessità di variare il modello di crescita
Un paesaggio come lo vediamo oggi non può che essere il prodotto degli interventi umani che si sono succeduti in esso nel corso dei secoli. Quello che osserviamo non è, insomma, un elemento naturale nella sua forma “pura”, ma il risultato di un lungo processo di interazione dell’ambiente con gli uomini che lo hanno abitato. Quello che modifica e scolpisce un territorio è insomma la cultura di chi lo vive. Una società nomade produce poche modifiche nel suo ambiente, una agricola molte di più, una industriale influisce in modo ancora maggiore, perché tendenzialmente non introduce nuovi elementi vitali nel terreno, e quindi provoca modificazioni estremamente più violente e potenzialmente irreversibili.
La diversità territoriale che caratterizza il Veneto è un vero punto di forza. Lo è sempre stato e così dovrà essere anche per scegliere i modelli economici del futuro. Puntare sulle tante piccole e vitali eccellenze che caratterizzano il territorio, può essere un modo per garantire progresso e il mantenimento di un ambiente salubre
Compito dunque di una società matura dovrebbe essere quello di saper scegliere quali interventi effettuare nel suo territorio sapendo trovare con cognizione di causa un punto di equilibrio fra necessità economiche e possibilità di mantenimento di un ambiente salubre. Cosa che in Veneto, a partire dal secondo Dopoguerra, è raramente successo. Se invece guardiamo alla storia possiamo constatare che è più facile trovare modelli di ordine applicato al progresso economico di un territorio: la grande trasformazione sociale che porta alla nascita e allo sviluppo del fenomeno della Villa Veneta ne è l’esempio più macroscopico. Si è trattato infatti anche di una grande operazione economica, che ha visto il riposizionamento di capitali dall’attività commerciale a quella fondiaria, sia con interventi significativi sul piano del paesaggio che con l’introduzione di nuove colture, come il mais appena arrivato dalle Americhe e molte specie di viti che erano spesso coltivate in associazione con il gelso.
Naturalmente i fattori che hanno portato alla nascita del “fenomeno villa” sono molteplici e di diversi caratteri, ma non possiamo dimenticare, in ottica di un confronto con il presente, che esso avvenne all’inizio del Cinquecento, cioè poco dopo rispetto a due eventi estremamente significativi quali la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453) e le grandi esplorazioni portoghesi e spagnole che culminano con la scoperta dell’America (1492) e l’arrivo in India via mare di Vasco da Gama (1498), che segnano un punto di arresto per il commercio veneziano in Oriente, fino a quel momento base della ricchezza della Serenissima nel Medioevo. In realtà questo commercio continuerà, anche se sarà fortemente ridotto, da cui la necessità per la nobiltà veneziana di rendere produttivi i terreni dell’entroterra, cosa che permetterà alla Serenissima di rappresentare un elemento sullo scacchiere politico internazionale per ancora due secoli.
Da vent’anni circa si discute di quanto sarebbe opportuno rubare le idee di valorizzazione del patrimonio storico francese per applicarle al sistema delle ville venete. Ma si tratta di uno dei tanti luoghi comuni, quell’applicazione presenta numerosi problemi nel momento in cui si pensa ad un’applicazione seria
Questo peculiare aspetto economico della nascita delle Ville Venete si sposa bene con una riflessione sul tempo presente in cui ci troviamo, essendo ormai posti di fronte alla necessità di variare il modello economico di riferimento. La situazione che ha generato la realtà della villa quale centro di produzione economica e culturale è dunque assimilabile a quanto viviamo ora: senza voler entrare nello spinoso tema della “decrescita felice” – che al di là della condivisibilità o meno del modello lancia comunque importanti interrogativi – appare comunque chiaro che la formula sviluppatasi dal secondo Dopoguerra è ormai desueta, per quanto essa sia stata vincente in un diverso contesto internazionale. Come cambiare? Di certo non è condivisibile – restando nel tema della villa veneta quale punto connotativo della realtà locale, e dunque quale potenziale fattore di propulsione economica – il modello di utilizzo turistico propinato dai media più o meno qualificati nel corso degli ultimi anni.
Da vent’anni circa, da quando cioè è stato assegnato il riconoscimento UNESCO alla Valle della Loira, si discute di quanto sarebbe opportuno rubare le idee di valorizzazione del patrimonio storico francese per applicarle al sistema delle ville venete, che hanno ricevuto lo stesso riconoscimento internazionale qualche anno prima. Si tratta di uno dei tanti luoghi comuni, di quelle frasi che vengono ripetute come un mantra, affinché prendano il posto di una soluzione, ma anche questa presenta numerosi problemi nel momento in cui si pensa ad un’applicazione seria. Il problema principale è proprio il rapporto con il territorio: il patronato UNESCO francese copre un’ampia regione, vasta quasi come la pianura padana, che presenta caratteristiche morfologiche uniformi; in questa regione si trovano, come elementi caratteristici, 19 castelli che costituiscono gli elementi di spicco dell’offerta turistica. In Veneto sono presenti circa 4000 ville e dimore storiche censite (più un numero imprecisato andato distrutto nel corso dei secoli), e soprattutto sono presenti in tutti gli ambienti: dalle ville alpine del Bellunese a quelle che sorgono a pochi metri dal Grande Fiume Po, dalle grandi tenute vinicole del veronese alle ville-granaio del vicentino, e così via. Dietro ad ogni villa si cela una storia diversa, di rapporti tra i suoi abitanti e i paesi vicini, di arte, di idee, di coltivazioni particolari e innovative, in una parola di un rapporto continuamente mutevole e fecondo fra gli esseri umani che la abitavano e vi lavoravano e il territorio.
E, a differenza della Valle della Loira, il territorio veneto si rivela estremamente mutevole e variegato; è capace di cambiare completamente volto a distanza di pochi chilometri, passando dalla pianura alla montagna, dai colli al terreno alluvionale, dalla laguna alla pedemontana. È questa diversità territoriale che ha svolto, nel corso della storia, un’importante funzione di stimolo permettendo la nascita di tanti spunti che si sono convertiti in idee nel corso dei secoli. E così può e deve continuare ad essere, puntando su una struttura che favorisca la nascita di tante piccole e vitali eccellenze, magari cominciando dal settore primario dell’agricoltura e dell’allevamento, che è quello che maggiormente si trova a dialogare con questo territorio fecondo di idee e di possibilità di crescita, per poi trasferirsi al settore dell’industria vera e propria, anch’essa bisognosa di trovare nuove vie, a partire dalla ricerca e dallo sviluppo di nuovi modi per bonificare il territorio, anziché dedicarsi al suo deterioramento continuo, come avvenuto negli ultimi sessant’anni e come purtroppo tuttora accade.
Articolo a firma di Giuseppe Cilione