Al Bosco di Saonara
Il cavallo, l’oca e il bollito: la padovanità è servita fra buon gusto e tradizione familiare
Quell’insegna in latta smaltata della birra Italia Pilsen sarebbe merce rara anche nel negozio di un rigattiere o di un antiquario. Preziosa come oggetto e preziosa come evocatrice di memoria. Trovarla ancora al suo posto, affissa accanto alla porta ad arco di una trattoria vera, sotto un pergolato e all’ombra di una villa padronale veneta, suscita emozione. Come l’insegna gemella, quella della Martini Vermouth. Insegne che schiudono un mondo, un mondo dall’anima popolare, che all’Antica Trattoria Al Bosco poi ritrovi puntualmente fra i tavoli e al bancone. Siamo a Saonara, in una dependance di Villa Valmarana. Un luogo denso di passato che però è da sempre proiettato nel presente e nel futuro. Mica facile essere eredi di una tradizione così impegnativa! La famiglia Daniele però sa interpretare questo ruolo con passione, persino con entusiasmo. E tanta maestria. Solo così si guadagna l’affetto dei clienti, il patrimonio più caro a questa famiglia saonarese.
Tutto iniziò nel 1980 con Luigino Daniele ora c’è la figlia Stefania
Fino a qualche anno fa c’era papà Luigino, colui che nel 1980 avviò il progetto e rilevò il locale (grande tifoso di Nereo Rocco, prima che di Milan e Padova), ora c’è la figlia Stefania, che in realtà c’è da tanto tempo. Timida, riservata eppure così facile ad accendersi quando si parla di piatti della tradizione, del suo lavoro, dei Ristorantori Padovani, associazione a cui il locale ha dato tanto. Al Bosco ancora resistono le tradizioni dell’oca di San Martino, del Gran bollito alla Padovana, degli ‘spuncioni fatti come na’ volta’, della sarde fritte. L’ambiente poi è bello, d’atmosfera, come una grande casa. La rende tale, oltre al numero di stanze e il tipo di accoglienza, anche la presenza di Federico Bragato, che Stefania definisce ‘il mio angelo custode’. E’ lì da sempre e con che adorabile affabilità. C’è sempre come le opere naif del fratello Gioacchino che arricchiscono le pareti. Federico a cui non sfugge nulla in sala. Squadra affiatata al Bosco e si vede.
Cucina di sostanza quella dell’antica trattoria di Saonara, che ripropone con materie prime scelte da occhi esperti piatti che non tramonteranno mai. Piatti riproposti per far assaporare anche il cambio delle stagioni, i riti ancestrali di un territorio, le tradizioni. Un certo ‘parecio’, anche della tavola.
Tornare al Bosco è trovare pure gli gnocchi (fatti in casa) con i rari funghi barboni, che arrivano solo se conosci bene il fornitore giusto. Gnocchi fatti con patate di montagna. E poi i bigoli in salsa, il fegato alla veneziana… E un menu con sarde in saor, pasta e fagioli, coscia d’oca ‘rosta, baccalà, ma soprattutto le specialità a base di carne di cavallo: gli sfilacci, la bresaola di cavallo, le tagliatelle al ragù di cavallo, la ‘straeca’, il filetto di puledro. E fra i dolci la focaccia di pere, mele e fichi secchi con salsa vaniglia.
Tanti vini veneti in carta, tanti euganei. Come il bianco Igt di Monteversa (un’azienda di Vo’) scelto da Stefania per l’abbinamento del primo. Insomma bene, quasi come se fosse una cosa del tutto naturale. Stefania si schernisce ai complimenti: ‘Vanno fatti ai miei collaboratori e voglio nominarli tutti – dice – perché è giusto così. Oltre a Federico, in cucina Enrico Lamon, Elisabetta Borille, Matteo Ceranto e Manuel Drago; in sala: Luca Puppi, Stefania Carraro, Elisa Ruvoletto, Lenny Meneghin’. Manca solo chi tiene in tiro l’ambiente e siccome come governante questi sa il fatto suo, giusto nominarlo: Vincenzo Barreca. Oggi si direbbe: un bel team. Ma in questo caso è più assonante dire: proprio una bella e affiatata compagnia. Quasi teatrale.