Cicolani eroe vero e nella pellicola di Rossellini

Il Polesine non viene mai messo in analogia con la seconda guerra mondiale, eppure fu strategicamente importante per le attività dell’Intelligence alleata ed ebbe i suoi eroi
Da più di dieci giorni avevano condiviso solo il freddo e l’umidità del Delta del Po, qualche pezzo di pane secco e pochi bocconi d’anguilla marinata. Non parlavano nemmeno la stessa lingua, ma stavano dalla stessa parte: la guerra li aveva spinti lì, a cercare riparo, a nascondersi dai tedeschi, a fuggire da una sicura morte. A Giovanni Siviero, detto Cicolani, pescatore e bracconiere di Scardovari nelle valli venete del Po, e al suo compagno Roberto Mantovani, emiliano di Goro, la Wermacht non avrebbe perdonato l’aiuto prestato ai militari alleati e ai soldati americani quell’atterraggio di fortuna, che li aveva scampati alla morte, non garantiva che la vita sarebbe stata salva ancora per molto.
Eppure la storia ebbe il suo lieto fine. Nel pur crudele scenario della seconda guerra mondiale e in una terra che quasi non centrava con i teatri in cui è stata combattuta, il coraggio e il valore sono stati uguali a quelli dei luoghi più conosciuti. Poi che il Delta del Po non centrasse con il grande conflitto non è neanche tanto vero. Come dimostra lo storico Claudio Vallarini nel suo libro fresco di stampa, “E’ cessata la pioggia”, in cui ha messo insieme tutti i pezzi di una storia dimenticata e riannodato i fili con un passato mai del tutto conosciuto, il Delta di Rovigo è stato un luogo cruciale nei rapporti intercorsi tra forze alleate e Resistenza dopo l’8 settembre ’43. Soprattutto l’intelligence qui ha trovato uomini fidati e una terra preparata a reagire. Del resto la storia di Cicolani non sarebbe stata possibile se il Delta del Po non fosse stato un centro importante per gli esiti del conflitto. Quando si pensa ai mari della guerra si pensa alla spiaggie della Normandia, alla Baia di Pearl Harbor, ma anche le onde dell’Adriatico si sono tinte di sangue, certo di figure silenziose, di gregari, di persone rimaste senza nome, ma non nel caso di Cicolani perché la storia non l’ha dimenticato. Insieme a Roberto Mantovani e al figlio di questo, salvò la vita al tenente americano dell’Air Force, Richard “Hank” Sciaroni, e ai suoi uomini precipitati con l’areo alla Sacca del Canarin. Il B-24 Liberator era decollato il 20 ottobre 1944, da una base aerea degli Alleati nel sud Italia per fare eseguire un bombardamento in Germania.
Il velivolo colpito dal fuoco antiaereo, cominciò a perdere carburante sulla via del ritorno. Con i motori ormai sul punto di fermarsi Sciaroni, che era il navigatore, ha diretto il pilota ad atterrare su una spiaggia di sabbia nei pressi di Scardovari di Porto Tolle, alla foce del fiume Po, territorio che gli Alleati non avevano ancora liberato dai nazisti e fascisti italiani. I 10 uomini di equipaggio vennero divisi dallo stesso Sciaroni in tre gruppi, la speranza del tenente era che almeno uno potesse scampare alle strette maglie dei rastrellamenti, che i tedeschi avevano imparato a tendere anche in una terra fortemente disomogenea coma il Delta. Sciaroni portò con se i sergenti Leonard Meton, Olin Houghton e Al Doerward, mentre degli altri gruppi non si seppe più niente fino alla fine della guerra. La fortuna assistette proprio lui e la fortuna portava un nome simile al suo, diffuso in questa parte del Veneto e per questo soppiantato da un soprannome: Cicolani. Un nome che chissà da dove veniva, se aveva implicazioni patronimiche o se era un suono che apparteneva a questa terra. Perché Cicolani era indubbiamente impastato di terra e acqua: pescatore sfuggente come le maree, bracconiere, capace di svanire, di evaporare, ma con un’anima di legno grosso e duro piantato nel fango come un approdo a cui legare gli ormeggi e i canapi di una lotta. Questa gente da secoli era abituata alla Resistenza per non morire.
Giovanni Siviero salvò la vita al tenente americano dell’Air Force, Richard “Hank” Sciaroni, e ai suoi uomini precipitati con l’areo alla Sacca del Canarin
E nel Delta ai primi di novembre si moriva di freddo, nell’impossibilità di accendere fuochi per non farsi scoprire dai tedeschi. In quelle quasi due settimane in cui il gruppetto di americani era rimasto nascosto insieme agli italiani in mezzo alla palude, il freddo era diventato il terzo compagno, non meno indifferente dei tedeschi ai patimenti che causava alle mani, alle schiene alle articolazioni. Cicolani si era messo i piedi del tenente sotto alle ascelle per scaldargliele, ma la temperatura attanagliava lo stesso e del resto era impensabile passare così tutto l’inverno. Il primo novembre ’44 il gruppo si decise di rubare una barca, la trovarono in un porticciolo, aveva una vela al terzo e lo scafo piatto lungo appena qualche metro. Con quella puntarono a Sud, Sciaroni aveva una bussola rudimentale, Siviero una forza indomita con la quale muovere la “nave”. Remava in piedi Cicolani, voga alla veneta del resto: l’unica che conosceva, l’unica efficace per muoversi in una laguna in cui era necessario continuamente valutare se ci fosse sufficiente fondale nell’incontro di canali, ghebi, palùi e barene. A due remi, “ala valesana”, Cicolani dava colpi come se battesse le ali, colpi secchi, che lasciavano segni ritmici nell’acqua e piccoli spruzzi che si confondevano con quelli mossi delle onde. Usciti dalla laguna avevano preso il mare aperto e nel tardo pomeriggio del giorno dopo, Cicolani e Mantovani, avevano fatto fare più di cinquanta miglia agli americani. Navigando sotto costa raggiunsero Cesenatico, città sicura controllata dalle forze alleate, dove i soldati vennero portati in ospedale mentre i pescatori rimasero sulla barca. Siviero e Mantovani vennero invece mandati a Falconara dove esisteva una base avanzata dell’OSS (Office of Strategic Services, un’organizzazione paramilitare americana) che inviava agenti oltre il Fronte tedesco. I due pescatori con quell’impresa avevano dato prova del loro coraggio e della loro affidabilità e dunque di essere uomini da coinvolgere in quella guerra segreta, nascosta che fu la Resistenza.

Alcune immagini tratte dal film Paisà, di Roberto Rossellini
Accettarono di offrire supporto logistico alle operazioni clandestine che gli alleati stavano predisponendo tra Romagna e Po. Al suo ritorno in Polesine, la Missione Siviero supportò – grazie anche ad un potente e veloce mezzo messogli a disposizione – diversi sbarchi e recuperi di materiali, incursori, informatori ed ex prigionieri di guerra alleati, ovvero la più complessa serie di operazioni effettuate via mare nella provincia di Rovigo e verosimilmente nell’intera regione veneta dall’autunno del 1944 alla primavera del 1945. Così senza divisa e senza medaglie Cicolani è diventato un eroe della guerra. Per una strana legge del contrappasso dalla clandestinità del bracconaggio era passato a quella della guerra, emancipando la sua anima con la scelta di schierarsi dalla parte di chi aveva ragione. Anche al tenente americano dell’Air Force, Richard “Hank” Sciaroni, dopo settant’anni tornò in mente l’impresa di Siviero e Mantovani e per questo è stata ricordata nel 2014 alla camera dei Rappresentati dall’onorevole Anna G. Eshoo, in occasione del conferimento della Stella di Bronzo a Sciaroni. Purtroppo Cicolani era già scomparso da più di quarant’anni, ma resterà per sempre nella storia grazie ad un film diventato icona del cinema Italiano. Roberto Rossellini, infatti, nel sesto episodio di Paisà, al pescatore di Scardovari fece interpretare se stesso nel ruolo di partigiano. Il Neorealismo, del resto, prevedeva che gli uomini e le donne da principali protagonisti della vita vera diventassero protagonisti anche in quella di celluloide, per un bisogno di verità che ha reso grande il nostro cinema nel mondo. Il Film Paisà, infatti, è tra le 100 pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese.
Questo articolo è stato scritto con le informazioni tratte dall’intervista a Claudio Vallarini e dal suo libro “E’ cessata la pioggia”, integrate con il racconto di Vinicio Zanardi pubblicato sulla sua pagina Facebook