L’invasione del granchio blu, un disastro economico e ambientale

In pochi anni il suo numero è moltiplicato in modo esponenziale, è vorace, aggressivo, non ha predatori e si adatta a quasi qualsiasi habitat acquatico. La sua presenza oggi mette a rischio l’allevamento della Cozza Dop di Scardovari e degli altri bivalvi
Articolo a cura di Mimmo Vita
Il granchio reale blu, granchio blu o granchio azzurro (Callinectes sapidus Rathbun, 1896) è un crostaceo decapode, nello specifico un granchio della famiglia dei Portunidi. È una specie autoctona delle coste atlantiche del continente americano. Così Wikipedia.
Ma ora c’è anche qui da noi!

Il granchio può arrivare a un chilo di peso, per 15 centimetri di lunghezza e 25 di larghezza. Vive dai tre a quattro anni con una maturità sessuale tra i 12 i 18 mesi. Ciò significa che una femmina, nell’arco della sua esistenza, può deporre dalle 2 agli 8 milioni di uova. Le nostre lagune oltre a garantire un habitat ideale – il granchio blu vive tranquillamente a temperature comprese tra i 3 e i 35 gradi, si trova bene anche nell’acqua dolce dei fiumi tanto quanto in quella salmastra delle paludi – forniscono i suoi cibi preferiti, ossia vongole, cozze, ostriche che soprattutto per il Delta del Po rappresentano un comparto dell’itticoltura che vale milioni di euro
(sempre Wikipedia) La specie lungo le coste italiane non si è acclimatata almeno fino ai primi anni ’90 del secolo scorso, tanto che dopo le prime segnalazioni in Laguna di Venezia del 1951 non ci sono stati più avvistamenti fino al 1991. A partire dagli anni 2000 la specie è stata segnalata anche in Basilicata, alla foce dei fiumi lungo la costa jonica, sulla costa adriatica dell’Abruzzo e della Puglia, e nell’alto Adriatico da Goro ai lidi ferraresi. Ma c’è anche in Sicilia, Sardegna, Lazio, Liguria, dappertutto insomma… e nel Mediterrano, soprattutto nelle lagune, nostrane come Orbetello e Lesina, ma anche di Grecia, Albania, Turchia, Tunisia…
E come ci è arrivato?
L’ipotesi più accreditata è tramite le acque di zavorra caricate in stiva negli USA dalle navi cargo, azione di prassi, e scaricate poi qui con tutti i “clandestini”.
Così Emanuele Rossetti, biologo esperto del Consorzio di tutela della Cozza di Scardovari Dop e dei pescatori del Polesine, che non ha spiegazioni per l’esplosione della presenza del crostaceo vista negli ultimi due anni. Un fatto abnorme, che ormai conosciamo tutti, ma che sta causando un vero disastro non solo economico ma anche ambientale.
“Le femmine – spiega Rossetti – possono deporre fino a due milioni di uova, di un granchio che nel Mediterraneo non ha antagonisti. Nella costa atlantica, dov’è in equilibrio, viene predato da squali, anguille, pesci palla, branzini striati, razze, etc.; qui solo da poche anguille e qualche tartaruga. Vive meglio nelle acque calde, salate o dolci, o in quelle salmastre delle paludi; si riproduce molto velocemente, ma soprattutto mangia qualunque cosa, ed è anche cannibale. È il guaio più grosso, perché sta operando una ‘banalizzazione della biodiversità’ delle nostre acque. Vive sul fondo, e sta neutralizzando tutta la fauna bentonica. Ma è anche un ottimo nuotatore, esce in mare aperto per riprodursi, risale i fiumi fino a 50-60 km, perchè quando finisce il cibo si sposta velocemente catturando larve, avanotti, distruggendo la ittiovita presente e futura che solo da noi a Scardovari, ad esempio, significa reddito per le 1500 famiglie della Sacca. È aggressivo, determinato, attacca cozze, vongole e bivalvi, le scheggia con le potenti chele, loro reagiscono aprendosi, rendendosi vulnerabili. Un vero banchetto per i granchi”.
Ma quanti sono?
“Tantissimi, milioni – continua Rossetti – solo noi, nelle nostre lagune del Delta del Po veneto, ne peschiamo almeno 150 quintali al giorno, in numero circa 100.000, ma lo stesso succede in quelle dell’Emilia Romagna, e nelle altre realtà”.
È chiaro che a questo punto, come ormai si va dicendo da più parti, vediamo di trasformare il granchio blu da problema a risorsa, mettendolo in padella visto che in America è un piatto rinomato. Su questo interviene Paolo Mancin, Presidente del Consorzio di tutela della Cozza di Scardovari Dop e dei pescatori del Polesine, che ricorda che finora loro hanno ‘raccolto’ 500 tonnellate di questo flagello, di cui venduti forse il 3%. “Per una economia del granchio ci vogliono tempo e investimenti – dice – siamo drammaticamente preoccupati, crediamo che non riusciremo a produrre la Cozza Dop quest’anno. La notizia vera poi è questa: abbiamo fatto un tentativo di semina ai primi di giugno, quindi inabissate le trecce con i piccoli bivalvi di 2-3 cm, e ce li hanno già mangiati tutti. Riproveremo a fine settembre, nella speranza che le acque più fredde li abbiamo fatti migrare altrove o stiano sul fondo. Ma se di nuovo faranno razzia, noi non produrremo cozze nel 2024. E questo vale anche per le vongole. Non so cosa faremo. È la prima volta in 35 anni… proveremo semine con recinti, ma si tratta di progetti pilota, non siamo fiduciosi… Noi abbiamo danni per milioni”.

Le trecce di semina divorate dal granchio blu
Chi si tra ocupando del problema? Chi vi aiuta?
“Economicamente nessuno – continua Mancin – non si sa quando e come arriveranno i 2,9 milioni di Euro promessi dal Governo, che per carità è sensibile al problema; la Regione ha stanziato 80.000 Euro e Veneto Agricoltura ha un progetto per comprendere la dimensione del problema. Ma servono studi sul loro ciclo di vita, le patologie, studiare le correnti marine che utilizzano”.
Su questo tema interviene anche Paolo Tiozzo, Presidente nazionale di Federcoopesca-Concoperative: “Il problema è che non esiste un piano di contenimento del granchio blu. Guardi, a mio avviso il 2024 ed il 2025 sono già compromessi, se è vero che razzia anche il seme. Un danno enorme. I due Consorzi di Goro e Scardovari fatturano all’anno circa 100 milioni di Euro cadauno, quindi se teniamo conto di tutta la filiera, nei due anni la perdita si attesterà sul mezzo miliardo!”.
Che fare allora?
“Ci servono attrezzature per ‘cacciare’, ovvero raccogliere ed estirpare il granchio blu. E devo dire che il MASAF, il nostro Ministero di riferimento, è sensibile. Riusciremo ad abbozzare un piano, che andrà mandato a Bruxelles (Commissione Pesca e Ambiente) per l’approvazione. Abbiamo fatto parecchie riunioni e ne faremo altre. Tenga conto che il contenimento è assolutamente necessario, come detto, per motivi ambientali e economici. Ma anche turistici: cosa succederebbe se questo flagello si insediasse nelle coste, le spiagge? Non oso pensarlo…”.