La ripresa dei lavori nei campi, tra età augustea e Alto Medioevo

Ieri come oggi tra gennaio e marzo si concentravano le attività più importanti per la campagna: dalla preparazione dei campi, alle potature fino alla semina. Il calendario contadino ha conosciuto poche variazioni se non per effetto dei cambiamenti climatici
Durante il periodo romano i territori veneti conobbero le prime forme di organizzazione e infrastrutturazione attraverso la centuriazione. Si trattava di una rigorosa parcellizzazione degli spazi, attraverso un reticolo ortogonale di strade e canali, in cui rientravano anche le campagne che poi venivano affidate a dei coloni. Spesso si trattava di soldati che come congedo ricevano un pezzo di terra, in modo da avere i mezzi per il proprio sostentamento.
Ancora in epoca augustea (44 a.C. – 14 d.C.) il territorio agricolo Veneto di pianura aveva una scarsa regolazione dei corsi d’acqua, esistevano estese aree acquitrinose a cui accompagnavano plaghe a macchia boschiva. Era, dunque, un paesaggio ancora piuttosto selvatico e inospitale, leggermente migliore era invece la situazione agricola collinare e pedemontana, dove vi erano più estensioni di terre coltivabili. Tuttavia anche la pianura era coltivata, qui trovavano dimora soprattutto quelle colture che richiedevano un minimo d’irrigazione: come detto l’acqua non mancava e veniva convogliata nei campi attraverso canalette di derivazione.
Il letame era così importante che lo stesso nome “laetamen” richiama sia “laetari”, che significava rallegrarsi, sia “laetus” ossia fertilità
Per il dissodamento dei terreni veniva usato un aratro con il ceppo-vomere obliquo e il coltro congiunto e asimmetrico, entrambi adatti a voltare, “versorium”, le zolle argillose e umide di pianura. Ancora oggi, nel dialetto Veneto, l’aratro è indicato come “versoro”. Altro aspetto fondamentale della campagna di quei tempi era la concimazione: si usava la cenere, dava un ottimo apporto di fosforo, potassio e microelementi, mentre nei campi a cereali si spargevano letami di animali diversi, pecora, capra, asino, quello di cavallo era riservato per i prati e i pascoli, più idoneo a sviluppare le cotiche pabulari erbose. Il letame era così importante che lo stesso suo nome “laetamen” era collegato sia al termine “laetari”, che significava rallegrarsi, e sia a “laetus”, che nel linguaggio contadino comunicava fertilità, abbondanza, floridezza.
Campi fertili erano garanzia di ottimi raccolti, cerali soprattutto: il frumento, l’orzo, il miglio, la segale, l’avena e il panico

Publio Virgilio Marone (70 – 19 a.C.) è uno dei più grandi poeti romani. Attraverso le sue tre opere: le Bucoliche, le Georgiche e l’Eneide ha messo in versi i canti dei pastori, il lavoro dei contadini e le imprese degli eroi.
Fino al basso Medioevo, per mantenere la fertilità dei suoli si usava la rotazione biennale, il “maggese”, pratica antica, che prevedeva più arature della terra. Il termine “maggese” fa riferimento al mese di “maggio” e, letteralmente, ha il significato di “campo lavorato a maggio”. Publio Virgilio Marone, poeta dell’agricoltura dell’antica Roma, 70 – 19 a.C., consigliava: «al cominciare della primavera, quando il gelato umore si scioglie sui bianchi monti e la zolla si apre molle allo zefiro, allora il bue inizia a faticare con l’aratro affondato e il vomere a luccicare per l’attrito del solco … Soddisferà i desideri dell’avido contadino solo quel terreno che ha sentito due volte il sole e due volte il freddo …. solo così le messi saranno abbondanti da sfondare i granai …. Fin dai primi mesi dell’anno i forti bovi rivoltino il pingue suolo della terra e l’estate polverosa bruci col sole cocente … Lascerai anche che, una volta mietute le messi i campi riposino a maggese ogni due anni e che il campo improduttivo si rinvigorisca col riposo.» (I, 49-83).
Campi fertili erano garanzia di ottimi raccolti, cerali soprattutto: il frumento, l’orzo, il miglio, la segale, l’avena e il panico che venivano seminati ad ottobre e raccolti con l’arrivo dell’estate.
Gennaio
Ieri come oggi i lavori in campagna iniziavano dopo la prima metà di gennaio, quando le ore di luce iniziavano ad allungarsi e le temperature erano meno gelide, con le potature degli olivi e delle viti, la pulitura dei prati dalle invasioni di rovi e infestanti, come la cicoria selvatica, le margherite, le ortiche, le mannaie, il cerastio, la camomilla, il tarassaco. I terreni dovevano assicurare buoni e puliti erbaggi per l’alimentazione del bestiame, da lavoro, da carne, da latte, da lana. Negli orti familiari a metà gennaio si ponevano le senti di lattughe e di “lepidium”, forse l’agretto o il crescione. Un paio di settimane dopo, a inizio febbraio, si seminavano la ruta, la cipolla, l’aglio, il porro, i ravanelli e le rape.
A fine febbraio, o ai primi di marzo, secondo l’andamento stagionale, s’interravano le “zampe” dell’asparago per formare le nuove asparagiaie.
Febbraio
Tempo permettendo, tra gennaio e metà febbraio si preparavano anche i terreni a “pastinum”, ossia si rompevano le zolle e si aprivano i solchi per seminare il veccione, “cicercula”, la veccia, “vicia”, il fieno greco, “phoenum graecum”.
La semina si attuava su strisce di terreno rialzate, dette “porche”, formate con un aratro assolcatore e poste tra i due solchi, le “lirare”. Dopo aver sparso la semente, si copriva la “porca” di terra, rovesciandola al centro dalle due ali dell’aratro.
A febbraio venivano curate anche le piante da frutto: così importanti per la dieta di allora. Si consumavano fichi, peri, mele, susine, ciliegie, albicocchi e tanta frutta secca come noci, mandorle, pistacchi e carrube, nocciole, pinoli. In questo periodo si eseguiva la potatura di formazione delle giovani piante da frutto, dando una struttura ad arbusto, “velut arbuscula”; si preparavano le nuove talee e le barbatelle di vite, “propagandae vites”; si ponevano a dimora le piantine di viti, olivi e fruttiferi.
Marzo
Per continuare con il nostro calendario agricolo: agli inizi di marzo si zappavano le leguminose e i cereali seminati nell’autunno, si trapiantavano i porri e le “panacee”, erano delle piante aromatiche cui si attribuivano virtù magiche per la cura di malattie; si seminavano le “cinarae”, che erano dei cardi, le carote, la maggiorana e il timo.
Sempre in questo periodo, in fase di luna calante, si tagliavano i pali da costruzione, “caedenda materies ad fabricam”, e si preparavano le pertiche di sostegno. Ma anche le aie tornavano alla vita con la ripresa della primavera, cessato il freddo invernale, le galline riprendevano la loro fecondità e cominciavano a produrre e covare le uova per la produzione dei pulcini, “et incipiunt ad educandos pullos ova supponi”, mentre i maiali presenti nelle corti erano fatti uscire dal porcile e posti in vicini spazi marginali perché si muovessero e si procurassero il cibo da se. Anche per l’allevamento ovino il ritorno del verde significava il ritorno al pascolo e soprattutto la ripresa della transumanza che dalla pianura portava ai prati di montagna.
Aprile
Con il mese di aprile la campagna era già avvita, le principali colture avevano trovato attecchimento e anche la vita vegetativa degli alberi da frutto entrava nella stagione dell’esuberanza. Negli orti – semmai – restavano da seminare i cocomeri, le bietole e le zucche a fiasco, usate per contenere il vino “Lagenaria vulgaris”, il sedano e il basilico.
Colture che continuarono ad impegnare la vita dei contadini fino all’anno Mille e poi iniziarono lentamente a mutare anche per effetto del cambiamento climatico. I secoli a seguire furono caratterizzati da un progressivo abbassamento delle temperature, dal XIV secolo iniziò la “Piccola Glaciazione” che si esaurì solo verso la fine dell’Ottocento. Stagioni di cui forse è necessario tener conto, visto che oggi stiamo assistendo a nuovi mutamenti del clima con l’astina del termometro, però, che sale verso temperature decisamente più calde.