Confraternita dei battuti di Castelbaldo, regole per “una società migliore” agli inizi del 1400

Uno statuto depositato presso la biblioteca del Museo Civico Correr di Venezia restituisce uno spaccato di vita rinascimentale, seppur quello dei membri appartenenti ad una compagnia di flagellati istituita per finalità sociali di sostegno alle persone più bisognose e di mutuo soccorso
Articolo di Federica Guerra
Presso la biblioteca del Museo Civico Correr di Venezia, più precisamente nel fondo Cicogna, è depositato lo Statuto della Confraternita dei Battuti di Castelbaldo.
Si tratta di un volumetto di piccole dimensioni, grande quanto un quaderno di scuola che riporta in copertina, impressa in oro su sfondo rosso, l’immagine della madonna alla quale era intitolata la confraternita, mentre sul retro l’immagine del leone di San Marco, ad indicare l’appartenenza ai domini della Serenissima.
Lo statuto fa parte di una collezione di opere posseduta dal Museo Correr ascrivibili alla categoria delle Mariegole, termine dialettale veneziano col quale si designava una sorta registro interno tenuto soprattutto dalle corporazioni di arti e mestieri o appunto dalle confraternite devozionali. Un registro importante perché conteneva i regolamenti interni al gruppo, l’atto di fondazione, l’elenco dei privilegi ottenuti dalle autorità civili e religiose, i requisiti morali per appartenervi, le modalità di ingresso nella scuola, il cerimoniale, le sanzioni in caso di inadempienze. La mariegola quindi, conferiva ufficialità e legittimità al sodalizio.
Fondazione ed adepti
1425 è l’anno di fondazione. Il testo riporta i nomi dei fondatori i quali in questa data, riuniti nella chiesa di San Prosdocimo al suono della campana, sotto l’egida della protezione celeste e alla presenza di cinque testimoni, si impegnano ad osservare tutti i 40 articoli dello Statuto così come da loro stessi stipulato ed approvato e a farli osservare a tutti coloro che nel tempo si volessero aggiungere alla fraglia.

I nomi dei 15 fondatori della Confraternita:
Zuanne Sartore q. Bartolomeo da pava primo maestro
Zacomo (Giacomo) dalle Ave massaro
Galvano q. Albertin vesentin gastaldo
Tutti gli altri che non sono accompagnati da un titolo specifico, possono essere accomunati dalla semplice condizione di fratelli o confratelli e sono:
Antonio fiolo de Zaniolo delle Ave
Antonio q. Niccolò de Volta
Matheo de laquila q. Andrea
Lorenzo fiolo de Zuanne vesentino
Zuanne q. da plebe
Thomeo q. Federico
Gherardo fiolo de Francesco Brunello
Zuanne figliuolo de Ugolino
Daniele fiolo de Zuanne de Daniele
Jacomo fiolo de Ziraldo de corfino
Bonsignore q. Almerico
Pre Antonio q. Bonaventura da Castelbaldo
Chi sono i fondatori della compagnia e chi poteva entrare a farne parte?
Di certo non facevano parte del ceto più basso della popolazione, anche se ufficialmente la compagnia era aperta a tutti coloro che ne volessero far parte, uomini e donne (religiosi compresi) e senza nessuna differenza di censo. Per alcune figure, come quella del gran maestro e del gastaldo di sicuro era richiesto di saper leggere e scrivere e nel caso del massaro anche saper fare di conto. A tutti gli adepti era richiesto di conoscere l’Ave Maria, il padre nostro e le principali preghiere, ma non a tutti era fatto obbligo di saper leggere. Inoltre tutti dovevano possedere delle entrate monetarie se – come affermano gli statuti- ad ogni loro infrazione corrispondeva un’ammenda pecuniaria (poi era tutto da provare se in pratica ciò avvenisse). Lo statuto sollecita inoltre gli adepti a donare in vita o in morte beni o denari di loro proprietà alla fraglia affinchè questa potesse mantenersi autonomamente. Infine, era richiesto di consegnare al massaro durante il mese di agosto uno staro di frumento (oppure mezzo a seconda di quanto deciso dal congresso della fraglia) e mezzo mastello di buon vino per San Michele, frumento e vino che sarebbero stati utilizzati la quaresima successiva per fare la carità ai poveri.
Quali erano le finalità di questa organizzazione laica?
Al di là dell’immagine folkloristica che ci è stata tramandata di persone che andavano battendosi il flagello in segno di penitenza durante le festività più solenni, la compagnia era istituita per finalità sociali di sostegno alle persone più bisognose e di mutuo soccorso fra i confratelli. L’articolo 26 ricorda agli adepti di dedicarsi ai poveri, agli orfani, alle vedove, ai prigionieri, agli infermi e ai morti per dar loro degna sepoltura. L’articolo 22 in particolare, si sofferma sul rito della carità quaresimale, molto probabilmente il più significativo per le finalità della compagnia. Col frumento e il vino offerti dagli adepti, si distribuiva la carità presso la sede della confraternita la prima domenica di quaresima. Così si distribuivano pane, fava e vino in cambio dell’impegno a chi riceveva il cibo di dire 5 padre nostri e 5 ave marie. L’articolo 25 invece, sollecita la segnalazione dei fratelli che cadessero in condizione di infermità, l’obbligo alla visita da parte del massaro e dei compagni e al sostegno materiale nel caso questi si trovino in condizione di povertà e non riescano a sostentarsi da soli.
La gerarchia della congregazione
La congregazione aveva al suo vertice il primo maestro, il massaro, il gastaldo e gli officiali. Sotto di loro i confratelli. Lo statuto però, si sofferma in particolare sulla figura del massaro, il ruolo più carico di responsabilità, legato alla gestione di tutte le attività della fraglia. Non a caso il secondo articolo si occupa di definire subito i suoi compiti: governare i confratelli, punirli in caso di disobbedienza, gestire il denaro e le proprietà della fraglia, ma è l’articolo 35 che descrivere in maniera più puntuale il suo incarico: di mese in mese deve controllare le scadenze per i pagamenti e gli incassi delle multe ai disobbedienti e registrare ciò che incasserà e spenderà. L’incarico durava un anno e alla fine del mandato, un mese dopo il licenziamento, aveva l’obbligo di rendere conto della gestione al nuovo massaro che era scelto dal capitolo della fraglia riunito. Ovviamente tutto sotto pena di multe pecuniarie in caso di inadempienza o mala gestione degli affari.
Obblighi religiosi
Tra i contenuti del volume, ovviamente grande spazio è occupato dalle norme di comportamento che ciascun iscritto doveva impegnarsi a mantenere.
Possiamo dividerle per comodità in due tipi: norme religiose e norme morali.
Le prime, riguardano gli obblighi che nascevano nel momento in cui l’individuo entrava a far parte della confraternita e sono strettamente legate all’attività confraternale.
Il primo articolo comanda gli obblighi alla preghiera e poi l’impegno al rigore della disciplina. L’articolo 3 descrive come doveva avvenire il rito della flagellazione: “Item statuimo et ordinemo che tutti quelli che faranno la disciplina la si debbia fare umilmente et soavemente cum le sue cappe honeste et lo buso de le spalle convenientemente grande et che loro si possino percuotere et battere suso le carne senza camisa cum una cadena o lazzi gropposi deputadi a questo servigio. Et andando non vagando, murmurando né favellando l’uno cum l’altro. Et vagano a dui a dui devota et onestamente azò che li no fazzi far beffe de loro”. L’articolo 9 prosegue: “Item statuimo et ordenemo che zascaduno che farà la disciplina habbia la sua cappa cum lo capo coverto: et li occhi con duoi busi, cum la croce suso lo capo et in la spalla dritta cum la sua cathena et cum uno cingulo.”
Rito, che cominciava già nella fase di vestizione, che doveva essere fatta in silenzio e a viso basso in pieno timor di Dio e che terminava con la spogliazione, anch’essa in rigoroso silenzio badando a non essere visti nudi. La cappa e la catena col cingolo usati per eseguire la disciplina erano di proprietà della fraglia ed erano custoditi in una cassa. Chi fosse cacciato dal gruppo o lo abbandonasse di propria volontà era tenuto alla restituzione. Tuttavia sembra non fosse obbligatorio fare la disciplina. L’ultimo articolo dello statuto infatti, afferma che chi si vuole battere sia libero di farlo, mentre chi non vuole non lo faccia, ma sia tenuto ad andare comunque in processione accompagnando il corteo con le preghiere.
L’articolo 6 elenca le feste principali nelle quali i disciplinati dovevano partecipare svolgendo la disciplina: tutte le feste intitolate alla vergine Maria, il giorno di Natale, Pasqua, Pentecoste, al Corpo di Cristo, le feste dei 12 apostoli, le prime domeniche del mese, le domeniche di quaresima, il giorno di Santa Maria Maddalena, di Gesù Cristo, di ognissanti, di San Prosdocimo, di San Marco. E in queste feste essere presenti in chiesa alla processione solenne, dire i padre nostri, far leggere e pronunciare al prete le perdonanze e le indulgenze.
Obblighi morali

L’articolo 3 descrive come doveva avvenire il rito della flagellazione: “Item statuimo et ordinemo che tutti quelli che faranno la disciplina la si debbia fare umilmente et soavemente cum le sue cappe honeste et lo buso de le spalle convenientemente grande et che loro si possino percuotere et battere suso le carne senza camisa cum una cadena o lazzi gropposi deputadi a questo servigio.
Dare il buon esempio era la prima regola morale da mettere in pratica. L’articolo 14 ribadisce il concetto di pace e tranquillità fra confratelli e con le altre persone, ponendo l’accento sulla restituzione delle “…altrui cose, se le havesse toleste per guerra o per altro modo. Et non debbia dare ad usura et non fare ne commettere alchuna disonestà…”. Si cominciano ad elencare quindi, una serie di atteggiamenti che erano considerati quantomeno disdicevoli ad un buon cristiano, ma che di fatto permeavano la società del tempo, atteggiamenti che si tentava di arginare non solo con le leggi ordinarie, ma anche con la religione. Ecco allora il divieto alla frequenza delle taverne e al gioco d’azzardo: “…che nessuno della compagnia ardisca zugare alli dadi, carte, narrete, né andare alle taverne, né starvi, né brigarvi, né tegnire compagnia alli bandezzati né de alcuna altra persona suspetta, né disonesta né imbriaca, né andare di notte faccendo dispiacere ad altri, né togliendo né dannezzando altrui in nessuna cosa”. L’articolo 39 riprende il concetto della astensione dalle cattive compagnie e dal frequentare luoghi disonesti: “et andare in conviti dishonesti et magnare de notte, né andando furezando per li focolari de alchuno, né dire zanze, né fiabbe altrui, ma solamente bone oratione et ammaestramenti de Dio”. Ovviamente vige il divieto di andare armati, partecipare alle guerre (tranne il caso di obbligo forzato dalle autorità, ma pur sempre cercando di recare il minor male possibile al prossimo) danneggiando ed appropriandosi del bottino. L’unica arma concessa una chiavarina, o una spada per la propria difesa personale nel caso in cui si debba recare fuori dalla propria terra.
Non sono concesse bestemmie, scambio di parole ingiuriose coi compagni, portare violenza alle donne, lasciare la moglie per un’altra o avere un’altra donna altrove (art.38). Si richiede di non portare scandalo con la propria condotta di vita sotto pena del solito pagamento in denaro per ciascun peccato veniale o mortale che venisse commesso (articolo18). Ovviamente non poteva mancare la lista di quali fossero i comportamenti considerati peccati veniali o mortali. La lettura dell’articolo 13 che li contiene, risulta particolarmente interessante e ricca di spunti per un confronto su come è cambiata la nostra morale dal cinquecento ad oggi. Riporto la lista completa:
“Peccati veniali. Chi più magna et beve che non bisogna. Chi più favella che non deve. Chi più tace la verità. Chi agreva il povero. Chi non observa le decime. Chi troppo dorme. Chi dice fiabe, zanze, balli, canti. Chi va alla chiesa tardi. Chi non visita li poveri infermi, incarceradi, seppellisse li morti, chi non amaestra le sue fameie in lo timore de Dio. Stare otiosi, pigri a lavorare, zudicando altrui a malo immaginare”.
A tutti gli adepti era richiesto di conoscere l’Ave Maria, il padre nostro e le principali preghiere, ma non a tutti era fatto obbligo di saper leggere
Tutti questi et altri sono peccati mortali. Heresia radigando in la fede cristiana. Superbia, vanagloria, hypocrisia. Odio, inimicizia, invidia, trasgressione della fede. Pergiuro, falso testimonio, inganno, bosìa(bugia) con inganno, infamatione, deflorazione della vergene, fornicare con le femmine commune, vedove o fante de altri. Adulterio con moiere de altrui, incesto con parenti. Sacrilegio con monache. Crapula, cioè mangiar tanto che butte fora. Bevere tanto che siano imbriachi. Peccare contro natura, essere sodomiti. Osare con le bestie o con le soe mane o in altri modi. Zugare a dadi, carte, nareti, tavole in longa usanza. Fare homicidio. Ferire alguno. Accusare alguno per mala volontà. Portare ira, odio et malevolenza, rubare, rapinare, assassinare, ingannare altrui. Dare ad usura, battere padre e madre. Desiderar carestia. Vender caro le sue robbe. Usar falsi pesi et misure. Usar con sua moiere disonestamente quando lè de parto et quando lè mestruata. Corrompere la iustitia. Reterguir le decime de Dio. Biastemare Dio et li Santi. Usar con sua moiere in le sante quaresime, feste, domeneghe, vigilie et quattro tempore. Azurare al corpo et sangue de Dio. Et molti altri peccati simili che sono mortali. Falsisficare le sue arte et fare fatture et molti altri simili”.