Storia del profumo, da rito per avvicinare dio a strumento di seduzione

Nato come elemento dei riti propiziatori rivolti alle divinità è diventato sempre più un accessorio dell’uomo, necessario per nascondere i cattivi odori ma anche per accrescere il proprio status symbol
I profumi hanno spesso la capacità di riportarci con la memoria a momenti passati, a rivivere le stesse emozioni di quando quel determinato profumo lo abbiamo sentito per la prima volta. Dunque, parlando di memoria, ci pare opportuno recuperare l’intera storia dei profumi, e in generale della cosmesi, a cominciare dal nome stesso “pro-fumo”, perché non è chiaro il rapporto tra le sensazioni olfattive e il “fumo”. Eppure vi è un legame, che va ricercato quando, qualche migliaio di anni fa, l’uomo pensò di avvicinare la sue preghiere alle divinità dimoranti nei cieli e lo fece elevando loro fumi odorosi. Da questo fatto sacrale si formò l’affermazione “pro fumo tribuere”, ossia, attribuire attraverso il fumo un onore agli dei, così si coniò il termine “profumo”. Questo aspetto di devozione è ben rappresentato dalla dea Pietas, primitiva divinità italica, figurata nell’atto di bruciare sostanze odorose su un altare. Nella Bibbia e nel Nuovo Testamento i riferimenti al “pro fumo tribuere” sono numerosi, troviamo così nell’Esodo “Offrirai il secondo agnello al tramonto con un’oblazione e una libazione come quelle del mattino: profumo soave, offerta consumata dal fuoco in onore del Signore”, nella Lettera ai Filippesi di San Paolo “Adesso ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodìto, che sono un profumo di soave odore, un sacrificio accetto e gradito a Dio”.
Sumeri, Babilonesi, Accadi, Caldei migliorano i processi produttivi dei profumi e introdussero l’uso dell’olio d’oliva
Ben presto l’utilizzo delle sostanze odorose s’introdusse e s’impiegò anche nella vita privata, sviluppando pure dei sistemi per estrarre le fragranze dalle piante. Gli Assiri, forse per primi, adagiavano petali profumati su ripiani coperti di grasso, di cavallo o di bovino, sino a che la materia adiposa non rimanesse completamente impregnata. Altre civiltà, Sumeri, Babilonesi, Accadi, Caldei migliorano questi processi produttivi e introdussero l’uso dell’olio d’oliva. I profumi si ottenevano da fiori, frutti, foglie e resine, a questo scopo si coltivavano appropriate piante, oppure s’importavano dall’Africa Sub Sahariana, dall’India e dall’Arabia meridionale, creando vere e proprie reti commerciali. La produzione delle sostanze profumate dipendeva in gran parte dal loro contenuto di grassi animali, o vegetali, che assorbivano e trattenevano odori e fragranze.

Le donne egizie venivano considerate affascinanti solo se avevano la pelle chiara, per questo usavano il talak, un composto di farina di biacca, fave e gesso polverizzati da applicare con un pennello sul viso
Il più delle volte le tecniche di produzione di questi unguenti, dal latino unguĕre “ungere”, erano tenute segrete, tanto da far scrivere a Zosimo da Panopolis, alchimista della fine del III secolo, che i sacerdoti egizi erano talmente gelosi delle loro conoscenze sui profumi e sugli unguenti che non trascrissero nulla, se non generiche informazioni. Durante il regno della sovrana Hatshepsuth, 1507 – 1458 a.C., sorse in Egitto una vera industria dei profumi e, collegata, vi era pure la produzione di vasetti porta profumi in alabastro, con imboccatura larga e collo svasato, di varie dimensioni e forme, a sfera, a testa di donna, a forma di colombina in vetro soffiato. La regina Nefertiti, 1360 a.C., sposa del faraone Akhenaton usava mantenersi splendente il viso con un unguento a base di uovo di struzzo sbattuto con latte, argilla, olio e farina; le sue unghie erano colorate con l’henné, una polvere rossa chiara estratta da un arbusto spinoso. Le donne egizie, che erano considerate affascinanti solo se avevano la pelle chiara, usavano il talak, un composto di farina di biacca, fave e gesso polverizzati da applicare con un pennello sul viso.

La regina Nefertiti usava mantenersi splendente il viso con un unguento a base di uovo di struzzo sbattuto con latte, argilla, olio e farina; le sue unghie erano colorate con l’henné, una polvere rossa chiara estratta da un arbusto spinoso
La leggendaria regina di Saba, forse del 1.000 a.C., dall’eccezionale bellezza, in occasione della sua visita al re Salomone, gli fece come dono l’olio di crambe abissinica, pianta delle zone desertiche dell’Africa Orientale, impreziosito dai profumi di cedro, incenso, mirra, sandalo.
Nel V secolo avanti Cristo in Grecia nacque la kósmesis, ossia l’arte d’abbellire il viso e il corpo con sostanze naturali
Profumi e oli aromatici erano beni pregiati quanto l’oro e l’argento e questo valore non sfuggì alle attenzioni dei Fenici, un popolo di commercianti, che li negoziarono tra gli abitanti delle isole del mare Egeo e in Grecia. Questi prodotti di bellezza portarono, soprattutto in Grecia, la moda di truccarsi il viso con un composto di polveri formate da calce, gesso, argilla bianca, biacca, carbonato di piombo chiamato psymuthion. Dal V secolo avanti Cristo, sempre in Grecia e oramai in epoca classica, nacque la kósmesis, la cosmesi, ossia l’arte d’abbellire il viso e il corpo. Nella raffinata ed elegante Atene di Pericle si faceva un grande uso dei profumi e Teofrasto da Ereso, 372 –287 a.C., scrisse un “Trattato degli odori” e ne descrisse le tecniche di produzione: “Dunque alcuni creano profumi e polveri fragranti mescolando sostanze secche a sostanze secche, altri invece o unendo le essenze al vino o combinando ingredienti liquidi con ingredienti liquidi. Il terzo metodo, il più diffuso, è quello seguito dai profumieri e consiste nell’unire componenti secche a sostanze umide. E’ questo il procedimento di preparazione di tutte le fragranze e di tutti gli oli profumati”.

La leggendaria regina di Saba in occasione della sua visita al re Salomone portò in dono un olio di crambe abissinica, pianta delle zone desertiche dell’Africa Orientale, impreziosito dai profumi di cedro, incenso, mirra, sandalo
Non di meno furono i romani, nella Naturalis Historia, Plinio il Vecchio, 23 – 79 d.C., racconta dell’abbondanza di oli e profumi nel suo tempo “Fra tutti i paesi, l’Egitto è il più idoneo alla produzione di profumi; segue la Campania per l’abbondanza di rose”. “Fra gli unguenti più diffusi e per questo motivo creduto anche il più antico, c’è quello fatto di olio di mirto, calamo, cipresso, cipero, meliloto, fieno greco, miele, e maggiorana”.

Tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo Giovanni Paolo Feminis ideò la formula dell’Aqua mirabilis, in seguito fu chiamata Acqua di Colonia
Plinio parla anche della diapasmata, ossia dell’uso di cospargersi di polveri di petali di rosa essiccati per controllare la sudorazione. Un profumo, all’epoca molto noto, era il Telino, che prendeva il nome dall’isola di Telo nelle Cicladi, ed era molto usato da Giulio Cesare, come informa lui stesso nel De bello gallico. Oltre a Plinio il vecchio, altri scrittori romani si occuparono di cosmetica, come Giovenale, 50 d.C.; Dioscoride, 60 d.C.; Galeno, 129 d.C.; Celso, 178 d.C..
Caduto l’Impero romano, tra l’Ottavo e il Nono secolo, iniziò la tecnica della distillazione delle piante per ottenere oli essenziali e il medico arabo Avicenna, 980-1037, riuscì ad estrarre l’aroma di rosa e produsse l’Acqua di rose.
Nel Tredicesimo secolo s’introdussero in Europa, grazie alle Crociate, i profumi del profondo Oriente e, nello stesso periodo, arrivarono dalla Cina ginger e piante medicinali. In questo mescolanze commerciali Henri de Mondeville, 1260–1320, chirurgo francese, distinse per la prima volta i profumi e gli unguenti per i trattamenti medicali da quelli destinati a migliorare la piacevolezza estetica.
In epoca rinascimentale nacquero vere e proprie manifatture di prodotti odorosi, molti tenevano in tasca, o appesi alla cintura, sacchetti di seta colorata, o di lino, profumati con petali di rosa mescolati al muschio, laudano, benzoino e calamo.

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Nel Settecento venditori ambulanti rifilavano prodotti profumati vantandone proprietà stravaganti, così si adottò la parola “ciarlatano”, da “ciarlare”, proprio per il gran chiacchierare di questi piazzisti. Questo, però, fu un secolo importante per i profumi, Giovanni Paolo Feminis (ca 1660-1736) ideò la formula dell’Aqua mirabilis, in seguito fu chiamata Acqua di Colonia, ancora presente. Circa secolo dopo, nel 1828, furono prodotte le pomate per le labbra e saponi medicati. Nel 1910 Roger e Gallet produssero il primo rossetto da labbra. La vera novità arrivò con gli anni Ottanta, con la nascita dei prodotti abbronzanti e delle protezioni solari. Anche la legislazione s’interessò ai cosmetici e diede delle regole sui contenuti degli ingredienti, che non dovevano essere pericolosi per la salute, semmai dovevano contribuire a mantenerla e, possibilmente, migliorarla.
Questo articolo è stato scritto da Enzo Gambin