Una visita all’ Abbazia di Carceri, tra storia ed architettura
Visitare uno dei più bei centri cenobitici della Bassa Padovana comprendendone le evoluzioni lungo la sua secolare storia
Una bella mappa seicentesca (Fig.1) conservata presso il Museo di Este rappresenta l’ Abbazia di Carceri nel momento del suo massimo e quasi definitivo sviluppo, prima della soppressione avvenuta nel 1690 (non vi appare l’attuale chiesa ricostruita, dopo un incendio, tra il 1643 e il 1685). In essa viene illustrato l’esito di un lungo e travagliato lavoro di stratificazioni, ricostruzioni,
aggiunte che ha probabilmente inizio nel 955, quando in un documento viene menzionata per la prima volta in quel luogo
una chiesa. Il fatto che fin dai primi decenni del XII secoli sia lì ricordato anche un “ospizio” ci induce a credere che esistesse già un monastero (priorato) retto dai canonici agostiniani (che lo terranno fino al primi anni del ‘400). All’ epoca esso doveva comprendere oltre alla chiesa e all’ospizio, una casa dei canonici ed un chiostro (probabilmente trasformato nel XV secolo). Nel frattempo, però, le ricchezze fondiarie del monastero si andavano accrescendo vistosamente grazie a successive donazioni soprattutto da parte dei marchesi d’Este e dell’Episcopio padovano tanto che, alla fine del XII è possibile avviare importanti lavori di ampliamento, con la costruzione di una nuova chiesa (solennemente consacrata nel 1189) e di un nuovo chiostro (il cosiddetto chiostro romanico, parzialmente sopravvissuto). Nel 1242 la chiesa va a fuoco: la si ripara ma nel 1380 le sue precarie condizioni ne consigliano la ricostruzione (è questo l’edificio che vediamo nella mappa seicentesca, che rimarrà in piedi finché un nuovo incendio non lo distruggerà quasi interamente nel 1643). Nel 1408, ai canonici agostiniani succedono i frati camaldolesi di Santo Stefano di Murano (o in Isola) e nel 1427 il monastero è “promosso “ ad Abbazia. In quel secolo si realizzano alcuni significativi interventi: la costruzione di un coro dietro il presbiterio, la sopraelevazione del campanile romanico, la ristrutturazione del chiostro più antico, il probabile ampliamento della casa abbaziale. Ma è il ‘500 il secolo durante il quale si realizzano i lavori più significativi ed ambiziosi, legati anche alla “vocazione” per gli studi e l’educazione propri dell’ Ordine. Il vecchio ospizio/foresteria, viene riconvertito in un immenso granaio; tutta l’area tra l’accesso all’ abbazia e la chiesa è oggetto di una sistemazione tesa a enfatizzare l’asse prospettico che dalla strada d’ accesso (attuale via Marconi) punta visivamente sulla chiesa, rinnovando anche il fronte della casa abbaziale. Alle spalle del chiostro romanico, vengono realizzati il nuovo refettorio con la soprastante biblioteca, ben presto inglobati in un nuovo solenne chiostro.
Nel 1408, ai canonici agostiniani succedono i frati camaldolesi di Santo Stefano di Murano e nel 1427 il monastero è “promosso “ ad Abbazia
Questo sarà destinato ad ospitare aule di insegnamento, studioli e dormitori, per quella che diverrà una scuola destinata alla formazione dei nuovi frati ma anche di giovani della nobiltà (estense, padovana e veneziana). Come si è già accennato, un incendio compromette seriamente la chiesa nel 1643. La ricostruzione procede piuttosto lentamente e si conclude solo verso il 1685. Si avvicina però il momento più drammatico della storia dell’abbazia. Per favorire Venezia, impegnata in una costosa guerra con i turchi, papa Alessandro VIII, decide di sopprimerla e di devolvere alle esauste casse della Serenissima il ricavato della vendita. Rimangono escluse dalla cessione la chiesa e una casa per il parroco. Tutti gli altri edifici e la gran parte dell’estesa possessione fondiaria (stimata in 3600 campi) va ai Carminati, una famiglia veneziana di recente nobiltà. Nel trasloco, parte dell’arredo originale, anche pittorico, andò perduto assieme a una notevole parte dell’imponente biblioteca. Un confronto tra la mappa antica e la situazione attuale (fig.2) mostra quante profonde alterazioni e distruzioni l’abbazia ebbe a subire dopo questa vendita. I Carminati ne trasformarono le antiche strutture in una residenza per la villeggiatura e in depositi legati alla conduzione dell’estesa proprietà (granai, magazzini, ripari per gli attrezzi). Vennero demoliti il chiostro alle spalle della villa e quasi interamente quello romanico per far posto, credo, ad un giardino che rappresentava il corredo indispensabile di ogni residenza di campagna. Quel che resta è comunque meritevole di un’interessante e attenta visita. Che inizia idealmente dall’antico accesso da via Marconi (non più carrabile). La muratura esterna, benché mostri interventi di epoche diverse, denuncia nella parte inferiore la sua origine medievale. Sul lato interno dell’ingresso si trova una torre (forse in origine una vera e propria torre di avvistamento) trasformata in piccionaia: entrambi rimodellati con graziosi loggiati probabilmente nel ‘500 (fig. 3).
A fianco il volume imponente del granaio, con un prospetto quasi da villa palladiana, per via della composizione con i quattro piatti pilastri con capitelli (lesene)
che reggono un largo timpano triangolare e delle finestre che nelle vecchie foto appaiono con un contorno bugnato, mentre quella centrale superiore è ornata da una balaustra (fig.4). Il lunghissimo interno del granaio (quasi sessanta metri) è suddiviso al piano terra in tre “navate” con murature pressoché continue ritmate dai risalti di grossi pilastri, al di sopra delle quali si dispone una suggestiva teoria di colonne in cotto che sorreggono la struttura lignea della copertura e si perdono a vista d’occhio. Avanzando verso la chiesa si trova alla nostra destra la villa Carminati (ex casa abbaziale ed ora canonica). Difficile determinare in che misura gli interventi attuati dai Carminati modificarono la sua disposizione planimetrica originaria: attualmente l’edificio si presenta con le forme relativamente tipiche della villa di matrice veneziana, con salone passante e stanze laterali, su due piani più mezzanino. La chiesa ha una pianta originale: è a navata unica rettangolare con gli angoli smussati che la fanno apparire quasi ovale. L’interno, molto luminoso e scandito da una nitida intelaiatura architettonica, presenta tre cappelle per lato. Il presbiterio rialzato dove si trova l’altare, con volta a crociera, è quanto resta della chiesa costruita alla fine del Trecento mentre il retrostante coro è quattrocentesco. Un tempo era ornato da una doppia serie di stalli: quelli realizzati nel ‘500 attualmente si trovano a Palazzo Ducale a Venezia; quelli tardoseicenteschi, dopo la vendita dell’abbazia, furono acquisiti dal duomo di Chioggia dove tuttora si trovano. Oggi adibito a battistero, è un vano quadrato, con volta a crociera, che si segnala per l’importante ciclo di affreschi che lo decora. Prima di lasciare la chiesa ci soffermiamo sulla sua facciata (fig. 5). Essa è divisa in due piani: quello inferiore riprende la scansione dell’ordine interno, con le piegature che anticipano la sistemazione dello spazio interno. Più movimentato e “barocco” appare il registro superiore per la presenza di pilastrini bugnati e rigonfi nella parte superiore e di nicchie che ospitano delle statue, mentre altre statue ornano il colmo della trabeazione laterale ed il timpano. Dalla sacristia della chiesa si può raggiungere il tratto superstite del chiostro romanico (fine del XII secolo), un tempo completo degli altri tre lati, con “torrette” ai quatto spigoli.
Per sostenere le esauste casse di Venezia impegnata in una guerra contro i turchi, papa Alessandro VIII, decide di sopprimere l’abbazia
Il fronte di quel che resta è organizzato in una sequenza di cinque gruppi di tre strette arcate in cotto sostenute da colonnine doppie o triple e, alle estremità, da grossi pilastri: ciò che dà un ritmo variato e dinamico alla facciata, sottolineato anche dal diverso colore della pietra utilizzata per colonne e capitelli (bianca e rosata). Un prato erboso, con al centro un bel lavamano antico, separa il peristilio dal refettorio con la soprastante biblioteca il cui tetto sovrasta quello del chiostro cinquecentesco entro il quale essi vennero integrati. Esso (fig. 6) appare come il culmine delle ambizioni dell’abbazia, per la nobiltà delle proporzioni, la finezza dell’esecuzione e la ricchezza della decorazione (oggi alquanto sbiadita). Il centro del chiostro è occupato da un bel pozzo in marmo rosso di Verona datato 1585. Un tour all’Abbazia non può terminare senza una visita al bel Museo delle civiltà contadina ospitato al primo piano del chiostro: in mostra manufatti, macchinari, arredi, strumenti ed altre curiosità che illustrano la vita di una comunità agricola tra ‘800 e ‘900.