Briganti per necessità non per frode

Alla metà dell’Ottocento nella Bassa Padovana le tristi condizioni vissute dalle fasce meno abbienti portarono allo scoppio del fenomeno del brigantaggio. Armati di fucili, pistole, armi da taglio, brigate di sparuti partivano di notte per assediare le case dei possidenti
Sullo sfondo della campagna basso-padovana di metà ottocento, si stagliavano gli eventi della storia. Il Veneto di allora era austriaco, Napoleone con il Trattato di Campoformio lo aveva ceduto in cambio del riconoscimento la Repubblica Cisalpina e Venezia conosceva il suo ’48, innestandosi nel più ampio contesto Risorgimentale che ambiva ad un’Italia unita. Alle tensioni politiche si univano quelle economiche legate ad una campagna, per certi versi, ancora legata al latifondo sul quale gravava ogni sorta di tassazione.

Caricatura di soldato austriaco
Basti pensare che le imposte “speciali” varate dal governo austriaco in seguito alla rivolta di Venezia del ’48 portarono negli anni 1850-1851-1852 l’imposta prediale ad essere calcolata con un’addizionale del 50% in più rispetto agli anni precedenti al ’48. Già prima di tale data l’imposta era elevata. “Il morbo infuria, il pan ci manca sul ponte sventola bandiera bianca – ricordava al tempo il poeta Arnaldo Fusinato -”.
“In alcune delle nostre province specialmente, dove grande è la miseria e dove grandi sono le ingiustizie che opprimono ancora le classi più diseredate dalla fortuna, è una legge triste e fatale: o emigranti o briganti”
Francesco Saverio Nitti, L’emigrazione italiana e i suoi avversari, 1888
Infatti la tassa sul macinato era la più avversata nelle campagne, soprattutto tra i braccianti. Di fatto lasciava la gente senza cibo. Questa tassa pare stia anche all’origine dell’invettiva: “Piove, governo ladro!”, perché le abbondanti precipitazione avrebbero dato luogo ad un maggiore raccolto e di conseguenza ad una maggiore tassazione. Dunque “il pan ci manca” e il morbo infuria . Il morbo era il colera, diffuso soprattutto tra le classi meno abbienti a causa delle precarie condizioni sanitarie delle case. Stefano Jacini nell’Inchiesta commissionatagli dal neo Parlamento Italiano nel 1877, per definire le case dei nostri poveri contadini parla di “tane”, di “spelonche”: mal riscaldate e sovraffollate, infestate di umidità e di insetti, una situazione drammatica che al tempo era stata ritenuta anche la causa del diffondersi della “pellagra”. Poi si scoprì che invece dipendeva dalla carenza di vitamine presenti in genere nei prodotti freschi: latte, verdure, cereali: generi rari per popolazioni che invece mangiavano quasi esclusivamente polenta ottenuta con un mais di pessima qualità e da acqua raramente pulita. Sui cereali, che di solito erano gli alimenti alla portata dei più poveri, si consumavano vere e proprie speculazioni, i prezzi dei grani variavano da distretto a distretto, da cantone a cantone e il prezzo del frumento variava in base alla sua quantità, così le plebi rurali erano sempre le prime a sentire gli effetti dei cattivi raccolti e dell’ingordigia di chi approfittava della miseria altrui.
“Un brigante onesto è un mio ideale, come il dittatore onesto nelle Babilonie, suscitate dal dottrinarismo e dalla violenza”
Giuseppe Garibaldi, Lettera all’Avv. Petroni, 1871
Povertà significava davvero fame ma anche collera verso un mondo ingiusto. Miseria era sinonimo e sintomatico di abbruttimento, perdita di fede e dei valori umani. Il contadino era visto con una certa diffidenza tra i benestanti, era forse abominevole nel suo aspetto fisico ma probabilmente preoccupava molto più la sua latente aggressività causata dalla vita di stenti che era costretto a condurre. “A Montagnana i braccianti avventizi sono la disperazione dei proprietari; a Monselice il contadino s’inchina alla legge a malincuore; a Piove si crede Jugulato dal proprietario; a Cittadella si ricorda ben più dei suoi diritti che dei suoi obblighi; a Camposanpiero c’è un sentimento latente di invidia che è frenato dal timore della legge…; a Badia non esiste rancore, ma invidia naturale e a Lendinara si avverte: “a proprietario umano, contadino rispettoso”. E se questa era la norma, una carestia, un’epidemia, un’invernata più rigida del solito o magari semplicemente un po’ più prolungata, faceva sì che venisse dato fondo alle misere riserve di cibo e la disperazione, unita al senso di non avere più niente da perdere, portava le persone a superare ogni paura e a darsi al brigantaggio.
“Uccidere chi ha ucciso è, secondo me, un castigo non proporzionato al delitto. L’assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante”
Fëdor Dostoevskij, L’idiota, 1869
Squadre composte anche da 30-40 sparute persone, capitanate da sedicenti agitatori, iniziarono a dare luogo a sistematiche razzie che dopo il 1849 dilagarono più senza freno a Este, a Montagnana a Piazzola e Camposanpiero a Ceneselli, a Vo, a Noventa Vicentina. Capitava che tra queste “brigate” di ladri ci fossero anche donne o membri della stessa famiglia: fratelli, padri con i figli, marito e moglie. Armati: di fucili, pistole, armi da taglio, partivano di notte per l’assedio delle case dei possidenti. Il colpo avveniva con l’irruzione in casa oppure anche attraverso trattativa, al malcapitato veniva intimato di calare dalla finestra gli averi pena vedersi bruciare la stalla con dentro gli animali o la stessa casa. Altre volte per conoscere la collocazione dei preziosi ricorrevano ad intimidazioni, raramente alla tortura, più raramente ancora agli stupri o agli omicidi. La refurtiva era composta da tutto ciò che avesse valore: soldi, oro, salami, frumento, biancheria, vestiti…
Tra i briganti rimasti famosi, il più temerario fu probabilmente Francesco Tenan di Guarda Veneta, soprannominato “Pippone”. Davanti al giudice che gli intimava di confessare furti e sodali manifestò di non essere per nulla uno sprovveduto e soprattutto di possedere degli ideali.
“Dovrei essere io tanto vile da manifestare tutti i miei proseliti? … Chi nasce su questa terra deve pur venirvi col diritto di averne la sua parte … non è giusto che gli uni s’impinguino perché gli altri languiscano ed io con la mia compagnia ho sempre colpito quei vampiri che studiavano di sfruttare tutto per sé e noi veramente fummo vendicatori delle offese recate all’umanità. Chi da voi il diritto di fucilare? La Forza! Questa non bada a misura!”.
Note:
Emilio Morpurgo – Atti della Giunte per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola. Roma – Forzani e C. – Tip. Del Senato 1882 – pag. 50
Giuseppe Chimelli – storia del grande processo di Este contro i ladroni a ripulsa di ingiusto appunto al principale Giudice Istruttore dello stesso. Este 1887, pag 62