Coltivazioni che innovano, evolvono, sorprendono
L’agricoltura sta cambiando, nascono nuove colture in ragione al clima, alle sensibilità delle nuove generazioni di agricoltori e agli andamenti del mercato
Capita sempre più spesso di imbattersi in aziende agricole che propongono prodotti che, in passato, era impensabile coltivare in terra veneta. Anche un tempo era così: faceva sorridere incontrare, ad esempio, un allevamento di struzzi nella pedemontana vicentina o una piantagione di kiwi nel trevigiano. Oggi non desta meno sorpresa trovarsi di fronte una coltivazione di bacche di goji, o di ribes e lamponi, nella pianura padovana. Eppure, esistono! E ve ne sono molti altri.
A volte si seguono le mode, altre sono esperimenti; in realtà, l’agricoltura è sempre alla ricerca di rinnovarsi e lo fa in vari modi, sia proponendo produzioni originali, a volte del tutto sconosciute, oppure importate da altre regioni o continenti, sia presentando riscoperte che vengono da un passato vicino o lontano.
I prodotti “classici” spesso sono pagati a prezzi da fame agli agricoltori, vittime anche della concorrenza proveniente da paesi dell’est o dell’estremo oriente
Tra i molti fattori che possono guidare queste scelte, ci soffermiamo su un paio. Il primo è da tempo sulla bocca di tutti: il reddito. I prodotti “classici” spesso sono pagati a prezzi da fame agli agricoltori, vittime anche della concorrenza proveniente da paesi dell’est o dell’estremo oriente (ma talvolta anche solamente da oltralpe, come per il latte). Va da sé che un produttore cerchi nuove strade, dove ha meno concorrenza e maggiori margini di guadagno, anche avvicinandosi a produzioni che possano sbalordire. Se si trova la “nicchia” giusta o il mercato disponibile, si possono ottenere grandi soddisfazioni.
Ci sono poi i cambiamenti climatici, che per molti aspetti sono un problema – e l’estrema variabilità delle stagioni così come la frequenza di fenomeni atmosferici estremi ne è un esempio lampante – ma per altri aprono a nuove prospettive. Ne sa qualcosa la viticoltura, che oggi tende a spostare verso l’alto vigneti e vitigni che amano condizioni più fresche e piovose: il Prosecco ha raggiunto le colline delle prime valli bellunesi, mentre la produzione di Amarone sta recuperando in Valpolicella appezzamenti più elevati abbandonati da decenni. Allo stesso modo, nuove colture mediterranee o esotiche trovano spazio, in pianura e in collina, anche nel nord Italia, e anche alcune colture storiche del sud si sono spostate verso nord: così, oggi si trovano pastifici che hanno linee di pasta con farine solo venete o nordestine!
Protagonisti delle innovazioni sono, quasi sempre, i giovani: e le donne anche più degli uomini. Sono esse, che nel Padovano conducono ormai un’azienda agricola su sei, a sostenere quasi in toto i settori dell’agricoltura sociale, didattica e anche della ristorazione. Tra l’altro, una recente legge veneta ha introdotto, accanto alle fattorie, anche i boschi didattici del veneto!
“La campagna è il luogo dove più si esprime la vocazione imprenditoriale femminile all’accoglienza, al benessere e ai servizi sociali”, ha ricordato di recente la bellunese Chiara Bortolas, vicepresidente nazionale delle agricoltrici di Coldiretti. Ma non è vero che le donne si occupano, in azienda, solo di marketing, accoglienza e promozione: non mancano figure femminili che, arnesi in spalla, lavorano la terra, che faccia sole o faccia pioggia, come molte loro nonne e antenate. Non vogliamo fare nomi, ma abbiamo incontrato “ragazze” che a fine autunno stanno di notte nei campi a raccogliere i pistilli di zafferano, che potano da sole ettari di vigneto iniziando a novembre e terminando a marzo, che guidano i trattori e pascolano le greggi, che fanno il formaggio o stanno sui campi di ortaggi alle cinque di mattina… e poi magari portano i figli a scuola!
Nel Padovano le donne conducono un’azienda agricola su sei, occupandosi dei settori dell’agricoltura sociale, della didattica, della ristorazione e non solo quelli
Per sensibilità sono sempre i giovani, e di nuovo soprattutto le donne, i protagonisti di una svolta “green” che è anche generazionale: ciò che è bio e ciò che è tipico, interessa e attrae sia chi consuma che chi produce. Soprattutto ora: secondo uno studio di Cia Padova, il coronavirus ha avuto l‘effetto di fare riscoprire al consumatore i prodotti sani e genuini, con +5% di vendite negli spacci aziendali di tutta la provincia.
Tra i tanti prodotti che potremmo citare, c’è la riscoperta di grani antichi come il Timilia e mais Biancoperla, di varietà locali di patate o piselli, di primizie sorprendenti come gli asparagi invernali di Pernumia, e ultimamente anche i girasoli e la lavanda. Su uno ci soffermiamo però in particolare, perché largo spazio sta avendo in questi anni: la canapa.
Da un paio d’anni la canapa ha conosciuto un sensibile incremento nel Veneto e in particolare nella Bassa padovana, dove gli ettari coltivati sono quasi un centinaio
Una produzione che da qualche decennio era pressoché dimenticata e guardata con sospetto, ma storica nelle campagne venete anche perché, come il maiale, di questa pianta non si butta nulla. “È utilizzata anche per esperienze innovative – spiega Coldiretti Padova, che da tempo sta organizzando la filiera produttiva mettendo in rete i produttori e organizzando attività formative per le aziende – con produzioni che vanno dalla nutraceutica agli usi terapeutici, dalle farine agli eco-mattoni isolanti, dall’olio antinfiammatorio alle bioplastiche, fino a pasta, biscotti e cosmetici”. Inoltre, richiede una minore quantità d’acqua ed è quindi capace di resistere a lunghi periodi di siccità, oggi non così infrequenti, e non ha bisogno di molti trattamenti chimici. Da un paio d’anni ha conosciuto un sensibile incremento nel Veneto e in particolare nella Bassa padovana, dove gli ettari coltivati sono quasi un centinaio. A Vescovana, un’azienda ha persino ideato una inedita passeggiata a piedi nudi sui gusci di canapa!
Proprio la canapa è diventata il simbolo di una nuova agricoltura, sostenibile, che non spreca e che rimanda a uno stile di vita più sano e più sobrio. Ma che non costi troppo. Le diamo il benvenuto, augurandole successo e che porti anche un’inversione di tendenza in una regione che, dati alla mano, per l’ennesima volta è risultata quella che in proporzione in Italia ha “bruciato”, per lo più cementificandoli, il maggior numero di ettari di suolo. E questo nonostante i proclami della politica che vanno in direzione opposta, e una legge regionale in materia che non sembra avere per nulla prodotto i risultati che in molti auspicavano.