Green Economy, cosa è lecito aspettarsi dal futuro?
L’agricoltura sta esercitando un ruolo consapevole nell’intraprendere azioni sempre più ecologiche, perché cresce la domanda di prodotti sostenibili. Ma intanto l’Europa dipende dalle importazioni alimentari
“
Green”, ovvero verde, ma anche “sostenibile”, “biologico”, riduzione della “carbon footprint”… tante parole che indicano concetti sempre più diffusi.
Il riscaldamento climatico (o, meglio, quelli che sono gli effetti da esso causati), e poi movimenti di sensibilizzazione come il Friday for future di Greta Thunberg, e per ultima la pandemia, hanno contribuito a diffondere maggiormente la sensibilità e l’uso di questi termini, e in una parola la coscienza ambientale. Di fatto, ci si sta rendendo conto che gran parte dei problemi legati a clima e inquinamento sono opera dell’uomo, le cui attività coinvolgono direttamente circa il 70% del suolo della Terra: se questo tuttavia si sapeva già, adesso sembra che stia passando, per lo meno nel mondo occidentale, la consapevolezza che qualcosa si può fare, e che è ora di farla. Tutto questo sia a livello di stati nazionali – che ora sembrano più orientati a decisioni più coraggiose in tema di attenzione all’ambiente – sia a livello di scelte individuali.
Valpolicella, traina la “rivoluzione green”. Il suo progetto di sostenibilità ambientale, economica e sociale “RRR” ha registrato nel 2020 il 12% in più di adesioni
Se è a tutti chiaro il modo e il livello di inquinamento causato dalle fabbriche come dal traffico veicolare, ve ne sono altre di meno note. Ad esempio, c’è chi pensa che gli aerei non siano un problema, oppure che le navi lo siano solo quando una petroliera riversa in mare parte del proprio carico. Il consumo di suolo – ovvero la cementificazione – è un altro aspetto sottovalutato, e bisogna dire che i pochi provvedimenti presi in Italia contro questo fenomeno non hanno di norma dato risultati fortemente impattanti.
Anche l’agricoltura non è esente da colpe: e si tende a credere che il contributo di questa nobile ed essenziale pratica all’inquinamento sia solo la diffusione di insetticidi sui campi. La questione è però più complessa: è per comprenderla bisogna iniziare a parlare di “suolo”. L’invito è quello di rispondere alla consultazione pubblica online sullo sviluppo di una nuova “Strategia dell’UE per il Suolo”, promossa dall’Unione Europea nell’ambito del cosiddetto “Green deal”. Il quale ha, tra gli obiettivi, la neutralità climatica, il ripristino della biodiversità, l’azzeramento dell’inquinamento, sistemi alimentari sani e sostenibili e un ambiente resiliente. Il questionario, con le sue domande, chiede di indicare quanto il cittadino pensa che l’impoverimento del suolo possa danneggiare determinati settori della
vita umana, e quanto invece alcuni comportamenti possano impattare sul suo deterioramento.
Il “suolo” non è solo il terreno su cui poggiamo i nostri piedi, è un coacervo di ecosistemi, una cosa viva, la principale ricchezza del nostro pianeta assieme all’acqua e all’aria. Se non ci fosse il suolo, non ci sarebbe vita; senza vita non ci sarebbero le piante, che sono la base delle catene alimentari. Senza un suolo ricco, fertile, vivo, l’uomo non potrebbe sopravvivere.
“I suoli sono ecosistemi essenziali che forniscono servizi preziosi come cibo, energia e materie prime, purificazione e infiltrazione dell’acqua, regolazione dei nutrienti, controllo dei parassiti”, spiega l’Ue. Suoli “sani” contribuiscono a produrre cibi migliori, a ridurre i rischi di alluvione, a tenere più puliti i corsi d’acqua, a imprigionare maggiori quantità di carbonio.
Ed ecco che in Europa, si scopre, i terreni dei campi si stanno degradando a causa di una gestione spesso insostenibile, legata anche a uno sfruttamento eccessivo oltre a altri fattori esterni, anche climatici. Non è solo, quindi, colpa dei fitofarmaci. La Ue mira al raggiungimento della neutralità in termini di degrado del terreno entro il 2030, ma anche a riportare in uno stato di salute soddisfacente la stessa quantità di suolo fin qui degradata dall’attività umana.
Se l’Europa “esternalizza” il danno ambientale le politiche del “Green deal” non daranno nessun risultato neanche sul lungo periodo
Una delle parole chiave di questa strategia è proteggere la fertilità del suolo aumentandone la materia organica presente nel terreno. In sintesi, biodiversità. Che è qualcosa che va al di là dell’ecosostenibile, del biologico, del naturale. Significa mettere al primo posto la “terra”, e così facendo prendersi cura anche della salute dell’uomo. È come quando il medico dice a un paziente che, per prendere cura di se stesso, rima che dai farmaci uno deve partire dalle basi: l’alimentazione, lo stile di vita, l’esercizio fisico…
Anche il mondo della terra, gli agricoltori, hanno da tempo iniziato a comprenderlo. E non parliamo solo di “contadini illuminati”, di fanatici del biodinamico, dei vini naturali e via discorrendo. Un esempio per tutti? La denominazione principale della provincia italiana leader nell’export di Vino, ovvero la veronese Valpolicella, traina la “rivoluzione green”. Il suo progetto di sostenibilità ambientale, economica e sociale “RRR” dal vigneto alla cantina del Consorzio vini Valpolicella – che ha anche modificato i disciplinari di produzione inserendo prodotti fitosanitari a basso o nullo impatto ambientale secondo le rilevazioni scientifiche moderne – ha registrato nel 2020 il 12% in più di adesioni, arrivando a toccare 1210 ettari di vigneto, il 15% degli 8400 ettari vitati nei 19 comuni
toccati dalla denominazione. Non solo, sono 430 gli ettari già certificati biologici – il doppio rispetto al 2018 – e più
di altrettanti in conversione, per arrivare al 10%.
Non è solo questione di “essere diventati buoni”: vi sono esigenze concrete – il clima sta cambiando – tra cui quelle commerciali. Il consumatore è infatti sempre più attento agli aspetti ambientali anche di ciò che acquista, in particolare all’estero. “La sostenibilità ambientale – ha spiegato Christian Marchesini, presidente del Consorzio vini Valpolicella – non è solo un valore ma anche un driver strategico sui mercati internazionali, dove continua a crescere la domanda di vini sostenibili e bio”.
A questa svolta verde non mancano però le critiche: come quelle di alcuni ricercatori del Karlsruhe Institute of Technology di Garmisch-Partenkirchen in Germania – citate da Francesco Suman nel giornale dell’università “Il Bo” – che su Nature hanno fatto
intendere come l’Europa dipenda per il 20% dei prodotti agricoli, e per il 60% della carne e prodotti caseari, dall’estero.
La Ue mira al raggiungimento della neutralità in termini di degrado del terreno entro il 2030
Insomma, i paesi europei importano molto da paesi che sono meno attenti alle politiche di impatto ambientale e allevamento. Asia, ad
esempio, ma non solo; in cima alla lista ci sono semi oleosi e olio di palma in arrivo, ad esempio, da un Brasile che arretra, invece di progredire, in termini di normative ambientali – si pensi alla violenza perpetrata di continuo all’Amazzonia – e di rispetto dei diritti
delle popolazioni indigene. Secondo i citati ricercatori, le importazioni europee sarebbero responsabili di un terzo della deforestazione globale.
Insomma: è troppo facile essere ambientalisti in patria, prendendosi impegni importanti, puntare alla qualità, alla riduzione dell’impatto, quando a produrre per nostro conto ci pensano, a condizioni insostenibili, i contadini e le multinazionali di altre parti
del mondo. Se l’Europa “esternalizza” il danno ambientale, a lungo andare, forse anzi a breve, non si va da nessuna parte.