Dalle fiabe allo “storione” di Natale, o meglio alle sue uova

Il caviale, nell’immaginario collettivo simbolo dell’aristocrazia russa o degli sfarzi della belle époque, è un prodotto che in Italia ha una parte della sua storia e probabilmente anche il suo futuro
La storia del caviale è in realtà uno “storione”: sia per quanto riguarda il pesce dal quale lo si ottiene, (lo storione, appunto, un pesce preistorico di 200 mila anni fa), sia per la somma di tempo trascorso da quando, questo alimento, ha iniziato ad essere consumato. Infatti, non è un prodotto figlio dei piaceri e del lusso della belle époque russa, come l’immaginario collettivo potrebbe suggerire, ma già nella Grecia IV secolo a.C era conosciuto e apprezzato, come pure era diffuso tra i triclini romani che se lo facevano arrivare direttamente dell’Ucraina. Le cronache, quindi, ce lo consegnano già così come lo immaginiamo oggi: un prodotto a dir poco esclusivo, per i palati dell’aristocrazia “classica”. Poi chissà che palati, perché resta difficile immaginare che sapore potesse avere un caviale che da Odessa arrivava a Roma attraverso le carovaniere. Sarà stato salato ed essiccato, come la bottarga, quindi un prodotto molto diverso da quello attuale che viene consumato certo salato ma, conservato, assolutamente, al fresco.
E’ più probabile, invece, che il caviale che conosciamo noi abbia origini popolari e fosse già quello che durante il Medioevo i pescatori e i contadini russi mettevano sotto i denti, poiché era un’economica fonte di proteine. La chiesa ortodossa, in seguito, prescrivendo prolungati digiuni e l’astensione da molti cibi, contribuì a favorirne il consumo e a radicarne la tradizione nella cucina russa, ancora oggi caratterizzata dal grande impiego di verdure e pesce in sostituzione della carne. Ma il caviale continuò a rimanere un prodotto popolare anche quando, nel 1675, lo zar Alexander Michailovich, secondo imperatore della dinastia Romanov, stabilì l’esclusiva autorità dello corona nel commercio del caviale e fu solo nel XIX secolo, quando l’aristocrazia russa iniziò ad apprezzarlo, che divenne un cibo a esclusivo consumo delle classi aristocratiche, diventando una delle immagini del lusso (anche per il gusto pleonastico della moda russa) per antonomasia.
La chiesa ortodossa ha contribuito notevolmente a radicarne la tradizione del caviale nella cucina russa, prescrivendo prolungati digiuni e l’astensione da molti cibi divenne l’alternativa proteica alla carne
Ma non è nella terra degli zar che va cercato il primato del caviale, piuttosto in quelle degli scià di Persia, nell’Iran moderno e in quelle acque del Mar Caspio dove vivono cinque delle venti specie di storione conosciute, tra cui il Beluga, l’Asetra ed il Sevruga, che forniscono il miglior caviale al mondo. Una qualità che pare derivi dal fatto che i pescatori iraniani riescono a catturare le femmine prima che incomincino il loro viaggio verso gli sbocchi dei fiumi, mentre i russi sono costretti ad aspettare l’arrivo degli storioni alla foce del Volga. Il risultato è che le uova sono già mature e quindi più molli e collose, mentre il caviale iraniano resta croccante e con grani uniformi e ben definiti. Si tratta, ovviamente, di caviale ottenuto da animali selvatici, che purtroppo sono sempre più una rarità visto che lo storione è attualmente in pericolo di estinzione. I pochi esemplari viventi si trovano nelle acque costiere dell’Oceano Atlantico orientale, del Mar Mediterraneo, del Mar Nero e, appunto, del Mar Caspio e nei corsi d’acqua che vi sboccano. Un tempo questi grandi pesci erano presenti anche nei nostri fiumi, Po e Adige, e anzi a cercare le origini del consumo dello storione italiano a tavola è proprio qui, tra Veneto ed Emilia, che si possono trovare le tracce più evidenti. Tracce archeologiche, addirittura, come quelle rinvenute nello scavo della terramara di Pilastri, vicino a Bondeno, che indicano una diffusa pesca e un largo consumo dello storione già in Età del Bronzo.

Storioni di notevoli dimensioni popolavano anche i nostri fiumi, in Adige (al quale si riferisce la foto) la pesca occasionale è stata praticata fino agli anni ’70, nel Po invece esisteva una vera e propria economia legata allo storione. A Ficarolo, in provincia di Rovigo, la pesca è stata una delle fonti di guadagno principali sia per i molti pescatori che per i commercianti. Legate all’oro del Po, ossia il caviale di Ferrara, rimangono le testimonianze di alcuni pescatori di Felonica che a Ferrara vendevano le uova di storione al negozio della signora Benvenuta Ascoli, detta Nuta oppure al Ristorante Tassi di Bondeno
Una pesca destinata a rimanere immutata per millenni, tanto che nel paesino polesano di Ficarolo lo storione è stato una delle fonti di guadagno principali, sia per i molti pescatori che per i commercianti, fino agli anni ’60 del secolo scorso. Una pesca a volte improvvisata, tanto che alcuni pescatori non avevano nemmeno un battello, ma unicamente le reti e un tratto di fiume in cui cercare di chiudere nelle maglie i possenti pesci. “Capoccia grossa!”, urlato dagli argini dal fortunato pescatore, annunciava la cattura di un esemplare di grandi dimensioni, l’entusiasmo era giustificato dal fatto che ad essere vendute erano le carni e quindi il prezzo era in relazione. Gli stessi commercianti erano del luogo e accorrevano immediatamente per pesare il pescato, contrattare l’affare e completare poi la vendita con i ristoratori della zona, anche se poteva capitare che lo storione di Ficarolo venisse spedito con il treno in località lontane.
Nello scavo della terramara di Pilastri, vicino a Bondeno, sono emerse prove inconfutabili che la pesca e il consumo delle carni di storione era già molto diffuso durante l’Età del Bronzo
Il Cobice, il Ladano e la Colombina erano le varietà apprezzate di cui si ha notizia fin dal Rinascimento, soprattutto quest’ultimo non manca mai tra i prodotti richiesti ai popolani per onorare i banchetti di re e papi. Poteva capitare, in certi periodi dell’anno, che sventrando un grosso storione si scoprisse al suo interno “l’oro del Po”, ossia il caviale di Ferrara, una produzione che ha goduto di grande longevità in quanto rimangono le testimonianze di epoca contemporanea di viaggi di alcuni pescatori di Felonica a Ferrara per vendere le uova di storione nel negozio della signora Benvenuta Ascoli, detta Nuta, dove veniva preparato il prelibatissimo caviale. Anche il Ristorante Tassi di Bondeno è ricordato come uno dei luoghi in cui le uova dello storione del Po figuravano tra le specialità. Oggi purtroppo, malgrado lo storico locale figuri nella guida Michelin, il caviale di Ferrara non c’è più, l’unica carta che raccoglie la storia dello storione del grande fiume è quella di cui sono fatte le pagine del libro di Gian Antonio Cibotto, Scano Boa, in cui vengono narrati il paesaggio deltizio, con gli ultimi casoni di canna e la vita dura dei pescatori.
E’ italiano quasi la metà del caviale consumato nel mondo
L’Italia produce circa 40 tonnellate di caviale l’anno, di cui 25 vengono dagli allevamenti di Agro Ittica nel bresciano e 8 dalla veneta Caviar Import che ha sede a Gardignano di Scorzè, nel veneziano
Se nei nostri grandi fiumi oggi è difficile riscontrare la presenza dello storione, negli allevamenti, invece, è largamente diffusa, soprattutto in quelli tra Lombardia e Veneto dove viene prodotto più della metà del caviale etichettato con la bandiera tricolore. Caviale italiano, certo, perché se certi luoghi comuni possono portare a credere che le preziose uova siano una produzione esclusiva della Russia o al più dell’Iran, i luoghi reali della produzione mondiale invece sono proprio quelli nostrani: l’Italia è al secondo posto e viene appena dopo la Cina. Nella patria degli zar, infatti, se ne producono 25 tonnellate annue e dalle terre bagnate dal Golfo Persico ne arrivano appena 5, mentre l’Italia si attesta sulle 40 tonnellate, di cui 25 vengono dagli allevamenti di Agro Ittica nel bresciano e 8 dalla veneta Caviar Import che ha sede a Gardignano di Scorzè, nel veneziano.
Da noi i controlli sono ferrei su tutta la filiera, in Cina, invece, non è dato saperlo ed è per questo che i primi due posti della graduatoria dei paesi produttori, per quanto riguarda la qualità, andrebbe perlomeno rovesciata
Un settore del nostro allevamento ittico che recentemente ha registrato una crescita esponenziale, da zero a 11, 2 milioni di euro negli ultimi dieci anni secondo le fonti Coldiretti, soprattutto grazie alla qualità. Infatti, i numeri da soli non bastano a qualificare la produzione nostrana di caviale, per completare il profilo di questo prodotto, rigorosamente Made in Italy, è necessario tirare in ballo proprio la qualità, data dalla salubrità degli ambienti di produzione, grazie alla diffusa presenza di fontanili di acqua sorgiva che garantiscono qualità idriche del tutto identiche a quelle dell’habitat naturale dello storione, dalla qualità dell’alimentazione, dalla qualità del sale con il quale si preparano le uova e nel più scrupoloso rispetto di un prodotto tanto sensibile e delicato, mantenendo le operazioni di lavorazione e commercializzazione ad una temperatura mai superiore ai 2 gradi centigradi. Da noi i controlli sono ferrei su tutta la filiera, in Cina, invece, non è dato saperlo ed è per questo che i primi due posti della graduatoria dei paesi produttori, per quanto riguarda la qualità, andrebbe perlomeno rovesciata.
Conoscere il caviale
L’origine del nome è piuttosto dibattuta, per i nazionalisti il termine andrebbe riconosciuto all’Italia, ma secondo le fonti più autorevoli pare derivi da “havyar” una parola turca che indica le uova di tre specie di storione tra cui il Beluga, che è tra i più rinomati. Uno storione arriva alla maturità sessuale attorno ai 12 anni e la sacca ovarica può contenere un quantitativo di uova pari al 10% del peso dell’animale (la pezzatura dello storione è piuttosto importante e si aggira attorno ai 60 chilogrammi). Per estrarle è necessaria la macellazione dell’animale e la lavorazione avviene immediatamente con la separazione delle uova dallo storma connettivale, la setacciatura e la lavatura sotto abbondante acqua fredda. La fase più importante è sicuramente la salatura che può avvenire per immersione in salamoia o a secco e la quantità di sale dipende dalla qualità della materia prima: più il caviale è salato, minore è la sua qualità. Il sale, infatti, serve per nascondere difetti del prodotto o la sua lavorazione non ottimale, come il non rispetto della catena del freddo. Essendo un prodotto termosensibile, va lavorato, conservato e consumato sempre all’interno di una forbice compresa tra i – 2 e + 2 °C. Il caviale illegale, infatti, proveniente da bracconaggio, molto spesso risulta particolarmente salato o con gusto eccessivamente intenso con sentori di aringa.
E importante saper leggere l’etichetta: ISO indica il paese di origine; STANDARD la specie di storione al quale appartengono le uova; W è usato per le uova di storione selvatico e C per quello di allevamento
Tuttavia secondo il Codex Alimentarius il caviale dovrebbe contenere tra il 3 e il 5% di sale in rapporto al suo peso, ma resta scontato che minore è la sua presenza migliore è il prodotto finale, tant’è che in Russia la parola “malossol”, che significa “poco sale”, viene usata per indicare le produzioni migliori. Dal punto di vista tecnico-normativo il caviale è una semiconserva, quindi non è un prodotto fresco, malgrado si tratti di pesce crudo, e ha una scadenza piuttosto prolungata che tuttavia non dovrebbe superare i 60 giorni. Per un prodotto così delicato e costoso, in compenso, il servizio e l’accompagnamento sono quanto mai economici, certo gli intenditori consigliano coppette in cristallo e posate in madreperla, ma allo scopo può andar benissimo un cucchiaio di plastica, da evitare, invece, le posate in metallo in quanto trasferirebbero al prodotto note solfuree e sentori poco gradevoli. Anche per la degustazione i prodotti a cui si accompagna sono quanto mai semplici, bastano dei blinis, delle crespelle russe, o della patata bollita o ancora del bianco dell’uovo lesso. In alternativa è particolarmente aristocratico mangiarlo con le mani, certo non a grosse prese ma posizionandolo sul dorso, nell’incavo tra pollice e indice, è possibile anche a chi non ha le papille gustative allenate ricevere un immediato feedback sul prodotto: se la pelle poi odora di pesce il caviale non è buono.
Alcune delle tipologie di caviale italiano
Per coloro che, con l’avvicinarsi del Natale, vengono assaliti dai dubbi su che cosa portare in tavola per impreziosire banchetti e cenoni delle Feste, il caviale italiano potrebbe essere il prodotto giusto. Qualche esempio delle migliori produzioni:
Royal Select (Caviale Bianco)
Prodotto dallo storione “Acipenser Transmontanus”
Di origine americana – Allevato in Italia.
Le uova raggiungono le dimensioni di ø 3,5 mm.
Gusto molto delicato.
Colore a matrice grigia
Classic Select (caviale siberiano per Adriatico)
Prodotto dall’incrocio di storione adriatico e siberiano
Allevato in Italia.
Le uova raggiungono le dimensioni di ø 2,5 mm.
Gusto delicato.
Colore a matrice marrone/grigia.
Imperial Selct (da caviale siberiano)
Prodotto dallo storione “Acipenser Baerii”
Allevato in Italia.
Le uova raggiungono le dimensioni di ø 2,5 mm.
Gusto deciso.
Colore a matrice marrone, da scuro a dorato
Special Reserve
Selezione della migliore qualità
di caviale di storione russo siberiano o bianco
che si distingue per particolare gusto
colore e granatura
Lo storione un animale preistorico quasi estinto nei nostri fiumi
Già dalla forma lo storione tradisce le sue origini preistoriche: le sembianze aggressive, il muso schiacciato e proteso in avanti, insieme alla presenza di serie di grosse placche ossee disposte longitudinalmente sulla pelle nuda, lo rendono molto simile ai grandi pesci che popolavano le acque del pianeta nel passato. Assai longevo, lo storione può raggiungere anche i 100 anni di vita, è una specie anadroma, cioè che dopo aver trascorso il primo periodo di vita nei fiumi, dove le femmine depongono le uova, discende in mare e vi resta fino al momento della riproduzione. Ne esistono di 28 specie, è il pesce più grande che popola le acque dei fiumi europei, un tempo presente anche in quelli italiani, come Po e Adige, ma oggi è considerato estinto a causa dell’inquinamento e di una pesca spietata. Nel tempo sono state tentati diversi reinserimenti ma non è più tra le specie che popolano le nostre acque.