Un caffè per carnevale a Padova, ma pensando a Venezia

Il Pedrocchi rappresenta il comune denominatore di diverse esperienze che hanno come riferimento il periodo che anticipa la primavera
Ma come mi viene in mente di collegare il caffè Pedrocchi a un articolo sul carnevale? In effetti, un vero legame non c’è… Se però devo pensare a un luogo di Padova al quale associare questo periodo, sicuramente c’è anche questo. Assieme al Prato della Valle, sede di sfilate allegoriche che ricordo da bambino, e che vi si tengono ancora oggi.
La prendo alla larga. Se esistono i “cibi” di carnevale, dagli gnocchi ai crostoli alle frittelle, non altrettanto si può dire per le bevande, per le quali sembra esservi libertà assoluta: quelle “spiritose”, nel senso di alcoliche, cocktails e aperitivi colorati, oppure bibite zuccherate e colorate. Vino e birra forse sono troppo seri, ma vanno bene anche quelli. E… il caffè? Scritto così, con l’accento grave (e non acuto) sulla “e”.
Alla metà del Settecento il caffè si diffonde in tutta Europa grazie ai veneziani che ne erano grandi importatori
L’associazione di idee è di quelle immediate, curiose. Quale luogo il nostro immaginario, almeno quello veneto, identifica come la culla del carnevale? E quale luogo italiano dovremmo associare all’immagine di una tazzina di caffè? Se, come me, non avete risposto “Napoli”, dovreste riuscire a immaginarvi a girovagare mascherati nella Venezia del Settecento, mentre Goldoni scriveva la sua opera teatrale “La bottega del caffè” (1750), e poi fare una pausa tra un ballo e una commedia seduti all’elegante Florian, degustando una tazza di liquido scuro e dall’aroma forte e bollente.

Pietro Longhi “Il Ridotto” 1740. L’opera ritrae i classici costumi veneziani del 700 e le tipologie di maschere in voga allora: la baùtta e la moretta
Ebbene, a quell’epoca il caffè, bevanda nota da oltre un secolo in medio Oriente e di gran moda anche a Londra, era ormai approdata anche nei locali dell’Europa continentale, e questo proprio grazie ai veneziani che ne erano grandi importatori. Oltre che a Venezia, però, aveva avuto successo a Vienna – la leggenda vuole che, con i sacchi abbandonati dai turchi durante la battaglia di Vienna del 1683, un polacco abbia aperto il primo locale nella città asburgica – e quindi a Trieste, porta di mare dell’impero, dove sorsero varie torrefazioni nei pressi del porto.
Verso Venezia, ormai culla del caffè e del carnevale, si dirigeva negli anni Trenta di quell’incredibile secolo anche il tredicenne Francesco Pedrocchi, classe 1719 e originario dell’altopiano di Clusone, in provincia di Bergamo. Come tanti suoi conterranei emigrava verso la capitale veneta in cerca di lavoro, forse per fare il panettiere; lo ritroviamo però a Padova nella piccola bottega di caffè di Pietro Zigno, uno dei primi “caffettieri” della città del Santo.

Nel 1816 Antonio Pedrocchi commissionò al noto architetto veneziano Giuseppe Jappelli l’ampliamento del piccolo caffè ereditato dal padre.
Il nuovo stabilimento, che doveva essere il Caffè “più bello della terra”, fu inaugurato nel 1831
Nel 1772 Francesco, nel frattempo divenuto socio dello Zigno, si mise in proprio; nel 1799, alla sua morte, alla guida dell’ormai fiorente attività gli successe il figlio Antonio, il quale diede al locale nuovo impulso tanto che Stendhal nel 1813 poté definirlo “il migliore d’Italia”.
Forte forse anche di questo complimento, ma soprattutto delle sue lungimiranti vedute, tre anni dopo Antonio commissionò al migliore architetto dell’epoca, Giuseppe Jappelli, la costruzione del gioiello architettonico di cui ancora oggi la città si vanta, arricchito dalle sculture di Giuseppe Petrelli. Un locale davvero in grado di rivaleggiare con i più rinomati caffè lagunari e d’oltralpe.
L’8 febbraio 1848 al Pedrocchi viene assassinato lo studente Giovanni Anghinoni, l’episodio darà avvio ai “moti”
Il caffè di Antonio Pedrocchi godeva della sua posizione centrale e anche del ruolo della città come sede universitaria. Sorgeva infatti a pochi passi dalla sede storica dell’ateneo, il Bo’, ed era un riferimento per professori e studenti, che qui si davano ritrovo. Diventò uno dei centri della cultura italiana e anche centro di idee massoniche e rivoluzionarie. Proprio qui accadde un episodio che fece partire i moti rivoluzionari del 1848 italiani. È l’8 febbraio – in periodo carnevalesco – quando una baionetta trapassa e uccide uno studente italiano, Giovanni Anghinoni, durante uno scontro con la milizia austroungarica. Testimonianza di quei moti è anche un foro di proiettile ancora visibile nella sala Bianca. Diciotto anni dopo gli occupanti lasceranno la città.
Il Pedrocchi, fino alla Grande guerra non aveva orari di chiusura e per questo venne ribattezzato “il caffè senza porte”

La Rivolta del Bo. L’8 febbraio 1848, gli studenti dell’Università di Padova insorgono contro la guarnigione austriaca dando inizio ai moti del ’48
Altra caratteristica del caffè Pedrocchi era l’orario di apertura, che in pratica… non c’era! Rimaneva infatti aperto giorno e notte, e tale rimase fino agli “oscuramenti” obbligatori per difendere la città dai bombardamenti aerei austroungarici, nel 1916, durante la Grande guerra.
Il Pedrocchi fu eretto con una pianta particolare, triangolare: dall’alto sembra avere la forma di un pianoforte. Anche il piano nobile rinvia alla musica: il bel salone è dedicato a un grande musicista allora in voga, Gioachino Rossini, e dispone di uno spazio deputato a ospitare le orchestrine che animavano balli e feste.
Il caffè è quindi nato anche come luogo di intrattenimento: e dopo esserci immaginati mascherati in giro per le calli veneziane del Settecento, non facciamo quindi fatica a trasportarci nella Padova dell’Ottocento e a pensarci in una sala Rossini affollata di personaggi in costume durante una festa danzante, come quelle attestate da articoli dei giornali dell’epoca, riproposte anche in anni recenti. Magari non con gli sfarzi veneziani del secolo precedente, che qui non erano di certo arrivati.
Dopo la festa, ma anche durante, perché no, scendiamo la lunga scalinata e andiamo al piano di sotto e degustiamo una tazza di caffè speciale, appena preparato. Oppure ci lasciamo tentare dalla specialità della casa, il cremoso caffè alla menta: ancora oggi una prelibatezza che si può degustare, facendo un tuffo nella storia, seduti ai tavolini di uno dei più eleganti caffè d’Italia.
Foto di copertina: Di Alain Rouiller – Padova juil 09 191, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24552530