“Universa universis patavina libertas”
L’Università di Padova compie quest’anno 800 anni. Da allora lo Studio ha funzionato ininterrottamente, salvo brevi sospensioni per guerre, insurrezioni o pestilenze e due battute d’arresto: durante l’occupazione ezzeliniana (1236-1256) e la guerra della lega di Cambrai (1509 e il 1517)
Quest’anno l’Università di Padova festeggia gli 800 anni dalla sua fondazione. Secondo la notizia riportata dagli Annali duecenteschi, risale infatti al 1222 lo spostamento da Bologna alla città antenorea di un gruppo di studenti di diritto, insofferenti dei vincoli lì imposti alle corporazioni studentesche. C’è chi (Andrea Gloria) si è spinto fino a fissare al 29 settembre o al primo ottobre di quell’anno l’inizio ufficiale delle lezioni. Da allora fino ai giorni nostri lo Studio ha funzionato ininterrottamente, salvo brevi sospensioni per guerre, insurrezioni o pestilenze e due battute d’arresto: una (seppur non continuativa) durante l’occupazione ezzeliniana della città (1236-1256), l’altra tra il 1509 e il 1517 a seguito della guerra della lega di Cambrai.
Certo l’Università medievale era una cosa piuttosto diversa dall’attuale, benché lo scopo fosse comunque sempre quello di licenziare dottori: allora la parola universitas indicava, in senso stretto, la corporazione degli studenti, con propri rettori, che cooptavano ed in parte pagavano i docenti, a loro volta riuniti in collegi. Quello che avviene a Padova, nei primi secoli di vita dell’Ateneo, è la sua sempre più stretta integrazione con la vita della città e con le sue strutture politiche ed amministrative. Prima il Comune, in seguito la Signoria carrarese.
Era il 1222 quando vennero spostati da Bologna alla città antenorea un gruppo di studenti di diritto, insofferenti dei vincoli imposti alle corporazioni studentesche
E’ la città a definire i salari dei professori e ad ingaggiarli, di concerto con gli studenti, e capiterà anche che sia il Signore a invitare alcuni celebri docenti ad insegnare; in cambio essa ne riceve prestigio ed una fama presto diffusa in tutta Europa, mentre la sua economia beneficia della presenza degli scolari: da alloggiare, nutrire e rifornire di libri. Dopo che, nel 1405, Venezia si era impossessata di Padova, avviando di fatto la formazione di una Stato regionale, la Dominante prende la decisione, fondamentale per la futura storia dell’Ateneo, di fare di quello patavino l’unico centro di istruzione universitaria della Repubblica, impedendo anche ai sudditi di addottorarsi pressi altri istituti italiani.
E’ l’inizio di una sua progressiva trasformazione in Studio di Stato, con la graduale erosione sia delle vecchie libertà delle corporazioni studentesche nella scelta dei professori, sia delle competenze dell’amministrazione cittadina nella sua gestione.
I segni tangibili della sempre più stretta tutela esercitata da Venezia sono rappresentati, da un lato, dall’istituzione della Magistratura dei Riformatori sopra lo Studio di Padova (nel 1518, ma effettiva a partire dal 1528), e, dall’altro, dalla realizzazione del palazzo del Bo’. In effetti, fino alla fine del ‘400 le sedi di insegnamento erano sparse per la città, attorno all’area di San Biagio, e solo nel 1493 si decide di concentrare le scuole universitarie in un unico luogo, individuato in un gruppo di case di fronte alla chiesa di S. Martino, di cui faceva parte anche un hospitium (un albergo) all’insegna del Bo’ (bue).
Fino alla fine del ‘400 le sedi di insegnamento erano sparse per la città, nel 1493 parte il progetto che porterà alla realizzazione del palazzo del Bo’
E’ probabile che nei primi decenni del ‘500 ci si sia limitati a dei semplici adattamenti delle strutture preesistenti, anche a seguito delle note vicende belliche che erano state sul punto di travolgere la Repubblica. Per cui è solo verso il 1545 che il Senato decide di procedere a dei lavori radicali per trasformare l’insieme disordinato di spazi in un organismo coerente e, soprattutto, rappresentativo della fama dello Studio. “Le scole…per la maggior parte così male composte et asse[s]tate che in quelle non vi è alcun ordine…il che genera dispiacere et offesa…[Si deve quindi] provedere per la publica dignità e il decoro di esso studio di ordinare e disponer le sede sopraditte…”. Sono, invero, quelli gli anni di un’intensa attività edilizia promossa a Padova da Venezia, a marcare, per così dire, il territorio, trasformando anche visivamente i luoghi che erano stati i centri del potere signorile e cittadino, come la Reggia carrarese e le sedi comunali. Dopo i precoci interventi di Piazza del Signori, con la realizzazione della Loggia del Consiglio e dell’arco del Falconetto, attorno agli anni ’30 del ‘500, è la volta della sistemazione della Sala dei Giganti – 1539-41, ambigua esaltazione della patavinitas con regia veneziana – e del palazzo del Podestà, parte dell’attuale Municipio, il cui progetto viene affidato all’architetto bergamasco Andrea Moroni ed avviato nel 1541.
Anche la realizzazione della nuova sede dello Studio, sempre affidata alla regia del Moroni, rientra in questo programma, ma non appare orientata tanto alla generica celebrazione del potere veneziano quanto a ridare lustro ed efficienza all’istituzione universitaria, verso la quale la Dominante si mostra molto sollecita, intervenendo tra l’altro, negli stessi anni, a valorizzarne l’insegnamento con la parallela fondazione dell’Orto botanico. La grande invenzione dell’Architetto è quella di un nuovo cortile centrale: non solo spazio privilegiato per cerimonie ufficiali e feste, ma anche nucleo funzionale per distribuire ordinatamente il movimento degli utenti, con i suoi percorsi anulari sovrapposti ed i due nuovi gruppi di scale che permettono di raggiungere agevolmente le varie aule, di fatto i vecchi spazi ristrutturati dell’hospitium bovis. La temperatura linguistica dell’intervento moroniano è nobile ed eloquente, ispirato ai fori e alle palestre degli antichi: un colonnato dorico al piano terra con una marcata trabeazione, ed uno ionico al primo piano, il tutto arricchito da una decorazione plastica che allude alle funzioni dell’edificio con rappresentazioni delle varie scienze. La costruzione, però, si protrasse molto a lungo, oltre la data di morte del suo progettista (1560). Il problema era il reperimento dei fondi necessari, sicchè si procedette a stralci a cominciare dal lato settentrionale del loggiato (1547) per finire con quello meridionale (verso il 1588). Anche il portale su Via VIII Febbraio è piuttosto tardo (1591) mentre la facciata è compiuta solo nel 1602, tanto da far pensare all’intervento di un nuovo architetto, forse lo Scamozzi. Malgrado il fatto che, soprattutto nel ‘900, l’Università abbia moltiplicato esponenzialmente le sue sedi in città, il Palazzo del Bo’ rimane il fulcro ed il cuore simbolico dell’istituzione padovana: entrare nel cortile e soffermarsi ad osservare gli stemmi di docenti e rettori di un tempo vuol dire leggerne con un solo colpo d’occhio il passato e la lunga, gloriosa, storia.
Chiudo questo breve omaggio, ricordando come, per una brutale coincidenza storica, gli ultimi tre centenari sono caduti a ridosso di guerre che hanno sconvolto l’Europa. Alla barbarie dei conflitti tra popoli l’Università ha sempre opposto la universalità del sapere, che li unisce, e la libertà della ricerca. Così, all’indomani della Grande Guerra, si auspicava “una rinnovata solidarietà di lavoro scientifico e di progresso umano nel proposito comune di ritornare, all’infuori e al di sopra di ogni differenza di lingua e di razza, alle opere di pace”; mentre l’attuale centenario si celebra all’isegna della “libertà di movimento delle idee e delle persone; libertà di studio, di pensiero, di espressione e di dibattito; libertà religiosa, politica e accademica. Come tale, è vissuta anche in negativo: [libertà] da ogni oppressione, da domini esterni e ingerenze, da discriminazioni di qualsiasi tipo, da confini escludenti, e come conseguente rivendicazione del diritto a resistere a ogni indebita costrizione. Ma è soprattutto una libertà vissuta in positivo, come libera ricerca e libera esplorazione dei saperi, come tutela del valore della diversità in tutte le sue forme, come inclusione della ricchezza delle differenze”. Valori che con immediatezza rappresenta il motto dell’ Ateneo : “Universa universis patavina libertas” (tutta intera, per tutti, la libertà nell’Università di Padova).
Per approfondire: P. Del Negro (a cura di): L’Università di Padova. Otto secoli di storia, Pd 2001 S. Zaggia: L’Università di Padova nel Rinascimento, Ve 2003