In Polesine si riscopre la Turchetta
Un vitigno antico, la cui coltivazione risale alla seconda metà del XVI secolo, recuperato grazie a un progetto di Veneto Agricoltura con il Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano. Il suo vino è già in commercio come Turchetta Igt Veneto
Rovigo è davvero la Cenerentola del vino veneto? Sembrerebbe di sì, visto che conta solo quattro cantine: persino Belluno, dove hanno iniziato a piantare viti di Prosecco (…oops, di Glera) nella valle del feltrino, fa di più. Però anche in Polesine qualcosa si muove e in particolare è in atto la rivalutazione di una vera perla enologica: la Turchetta.
Si tratta di un’uva storica: la viticoltura locale ha infatti origini antiche e risale almeno al periodo successivo alle bonifiche di epoca veneziana. Le varietà coltivate erano per lo più autoctone, ovvero quelle adattatesi a un clima difficile, umido e caldo d’estate: davano rese modeste, sufficienti appena al consumo familiare o locale. La crisi del vino tra anni Settanta e Ottanta, unito all’arrivo di varietà francesi e italiane più moderne, le ha spazzate via dal Polesine portando alla quasi scomparsa di queste viti.
È un vitigno che si adatta bene ai terreni argillosi di pianura, purché ben drenati. Molto rustico, poco sensibile alla peronospora ed alle altre crittogame e non è soggetto a marciume
Sull’onda dell’interesse generale per il recupero dei vitigni autoctoni, e anche per differenziarsi in un mercato del vino che tende ormai a essere dominato da poche varietà internazionali, i produttori rodigini stanno valorizzando alcune delle vecchie specie che più di qualcuno aveva ancora in giardino. È il caso della Turchetta, recuperata grazie a un progetto di Veneto Agricoltura con il Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano, di cui negli ultimi anni sono state piantate migliaia di barbatelle. Di quest’uva il “Bollettino Ampelografico 1884-87” testimoniava che all’epoca la si trovava in 23 Comuni della provincia di Rovigo (e in altri 17 una varietà scomparsa, la Calma Turchetta), e molto diffusa era anche nel padovano. Non è da confondere invece con un’altra Turchetta presente nel territorio bellunese. Essendo stata iscritta al Registro nazionale delle varietà di vite, oggi la sua coltivazione è autorizzata in tutto il Veneto.
“Il vino era un alimento, quindi tutti qui avevano una vigna di casa per il proprio consumo. Si coltivava soprattutto Turchetta, un vitigno a bacca rossa, con acidità e tannini elevati, perfetto per l’area polesana perché non teme le nebbie e il caldo umido, né muffe come la botrite”, racconta Vittorio Comini, viticoltore e anima dell’Associazione vini storici polesani, un gruppo di produttori, ristoratori e appassionati che si ritrovano saltuariamente per degustare e promuovere le varietà antiche. Comini ricorda come la Turchetta sia stata ritrovata all’azienda Costa di Rovigo: “Si pensava fosse l’unico clone, poi abbiamo scoperto che ne avevo anch’io”.
La crisi del vino tra anni Settanta e Ottanta, unito all’arrivo di varietà francesi e italiane più moderne, ha portato quasi alla scomparsa delle varietà storiche
Di Turchetta ne parlava anche il Marzotto che nel 1925 la considerava una buona varietà, per quanto già allora ormai poco utilizzata. Nel Catalogo Viti si spiega che “è un vitigno di media vigoria e di buona, anche se non abbondante, produzione. È un vitigno che si adatta bene ai terreni argillosi di pianura, purché ben drenati (…) È molto rustico, poco sensibile alla peronospora ed alle altre crittogame e non è soggetto a marciume”. “Il terreno polesano è adatto alla coltivazione dell’uva – continua Comini – e la Turchetta produce un vino di buona qualità, ricco di antociani e perciò di colore, tanto che qualcuno l’ha piantata in Valpolicella per dare maggiore intensità all’Amarone. È anche un’uva bellissima da vedere”.
E come sapore? Possiede asprezze che il tempo mitiga, non è quindi un vino da bere subito, ma si dice che non ami nemmeno il legno e i lunghi invecchiamenti. Ma per saperlo con certezza sarà necessario fare molte prove. Intanto, la tendenza è a vinificarlo in purezza, visto che si può commercializzare come Turchetta Igt Veneto. Comini la taglia con una piccola percentuale di cabernet ma quest’anno, per ammorbidirne più in fretta i tannini, ha tenuto un 40% di uve in sovramaturazione in vigna per un mese. Il risultato? Basta andare in cantina, ma bisogna attendere almeno il mese di maggio prima che sia pronta. Non c’è solo però la Turchetta, in Polesine: altre viti autoctone attendono di essere valorizzate in primo luogo con l’autorizzazione all’impianto. “Pensiamo alla Mattarella, un’uva molto particolare e a bacca bianca, che si trova solo tra Baruchella e Trecenta. Sono in corso studi, per ora non si è trovata parentela con nessun’altra uva. C’è poi la rossa Benedina e anche altre”, conclude Comini.