Gli gnocchi: un piatto povero servito nelle corti rinascimentali

Articolo di Anna Maria Pellegrino
Da Nord a Sud, dall’antichità all’epoca moderna, sulle tavole più umili e nei menù dei ristoranti stellati, gli gnocchi sono, senza ombra di dubbio, il primo piatto più amato e diffuso nella nostra penisola
Uno di quei piatti che mette sempre tutti d’accordo, che sa di festa e di famiglia, che ci riporta ai ricordi legati alla nostra infanzia, che regala allegria e buonumore, proprio come recita la famosa frase “Ridi, ridi che la mamma ha fatto i gnocchi”. Un piatto straordinario, di origini umilissime, con una diffusione che supera ogni statuto sociale: dalla cucina contadina a quella di corte. Massimo Montanari fa risalire la loro prima comparsa già nei ricettari del Medioevo e del Rinascimento, e sottolinea come i migliori cuochi di corte li cucinassero: tra questi anche Cristoforo Messisbugo, il quale prevedeva gnocchi per la tavola degli Estensi a Ferrara.
GLI GNOCCHI NELLA STORIA
Con ogni probabilità gli gnocchi rappresentano la prima forma di pasta usata dall’uomo, nati dal gesto spontaneo di mescolare a freddo la farina con poca acqua, per farne delle palline da cuocere in acqua bollente. In assenza di quel grano che solo più tardi sarebbe nato dal suo progenitore, più proteico ma meno produttivo, fu certamente il farro il primo cereale ad essere coltivato in Tuscia e in Lazio, il quale iniziò a circolare nella penisola italica intorno al VII sec. a.C., diventando il cibo preferito di Etruschi e Romani. Gli gnocchi divennero una specie di variante delle polente, le puls romane, ed i ricettari del tardo Medioevo e del Rinascimento ce ne forniscono le prime ricette, all’insegna della più assoluta semplicità: farina, o pane grattugiato, mescolati con formaggio o rossi d’uovo fino ad ottenere delle polpettine da cuocere in acqua bollente o brodo. Successivamente, nella seconda metà del ‘500, con la scoperta dell’America arrivano le patate, ma è solo dalla seconda metà dell’800 riescono, con fatica, ad entrare nelle cucine, incontrando il cugino pomodoro. Questi nuovi prodotti segnano in modo indelebile la ricetta originale degli gnocchi: è l’innovazione che si adatta alla tradizione, esempio lampante di come le culture alimentari dei vari popoli sappiano rielaborare le novità, adattandole alla propria storia.
PERCHÉ GIOVEDÌ GNOCCHI?
Con il farro, nell’antica Roma, si celebrava il rito matrimoniale chiamato confarreatio, una cerimonia riservata esclusivamente ai patrizi che, dopo il sacrificio a Juppiter Farreus, vale a dire Giove del Farro, vedeva donata agli sposi una piccola focaccia di farro, da spezzare e mangiare alla presenza di dieci testimoni. Siccome il giovedì è il giorno della settimana dedicato a Giove, e appurato che gli gnocchi venivano realizzati con acqua e farina di farro, da questo antico rito romano si fece largo la tradizione di cucinare gli gnocchi di giovedì.
Gli gnocchi, nella loro semplicità, rispecchiano l’identità culinaria italiana, fatta di tanti campanili; e raccontano, in modo corale, storie e tradizioni differenti, riunite sotto il vessillo della grande cucina del nostro paese. Perché, alla fin fine, quello che ognuno di noi sogna, non è qualcosa di esotico, ma il conforto dei sapori conosciuti.
Gnocchi di patate di Pellegrino Artusi ricetta n. 89 – da “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”
Ingredienti per 3 persone:
- 400 g di patate grosse e gialle (scegliete patate vecchie dalla polpa farinosa, o patate rosse a pasta gialla)
- 150 g di farina di grano tenero (debole)
Preparazione:
“Cuocete le patate nell’acqua o, meglio, a vapore e, calde bollenti, spellatele e passatele per istaccio. Poi intridetele colla detta farina e lavorate alquanto l’impasto colle mani, tirandolo a cilindro sottile per poterlo tagliare a tocchetti lunghi tre centimetri circa. Spolverizzateli leggermente di farina e, prendendoli uno alla volta, scavateli col pollice sul rovescio di una grattugia. Metteteli a cuocere nell’acqua salata per dieci minuti, levateli asciutti e conditeli con cacio, burro e sugo di pomodoro, piacendovi. Se li volete più delicati cuoceteli nel latte e serviteli senza scolarli; se il latte è di buona qualità, all’infuori del sale, non è necessario condimento alcuno o tutt’al più un pizzico di parmigiano”.
Bibliografia:
Artusi, P., “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”
Montanari, M., “Gusti del Medioevo. I prodotti, la cucina, la tavola”
Montanari, M., “Identità italiana in cucina”
Boni, A., “La cucina romana”
Aifb, Calendario del cibo italiano, Susanna Canetti