I traghetti dell’Adige, un mondo sospeso tra passato e presente

Per secoli sono stati l’unico tramite tra i paesi divisi dal fiume. Un servizio fondamentale per gli spostamenti di tutti i giorni che permetteva di andare a lavorare, a scuola, dagli amici o dalla fidanzata
Articolo a cura di Claudio Vallarini
“Attraversare un fiume è da sempre un ostacolo e insieme un’opportunità: un limite che racchiude un mondo ma anche un passaggio che apre all’altrove”
Queste parole di Renata Ganzarollo, autrice di una pregevole ricerca sui Traghetti dell’Adige, 2022, descrivono con grande efficacia quello che era – ed è ancora oggi in molti luoghi della Terra – uno dei servizi che vennero maggiormente impiegati sul fiume, e che scompaiono solamente (e definitivamente), solo negli anni novanta del Secolo scorso: il “Passo volante”, più noto come traghetto.
In alcune occasioni i traghetti e gli uomini che li manovrano compaiono in importanti opere letterarie e cinematografiche, come se gli scrittori fossero stati affascinati da questo lavoro così particolare ed al
contempo così necessario alla gente.
La documentazione storica sui traghetti è abbastanza abbondante, soprattutto con l’istituzione, nel 1500
da parte della Repubblica di Venezia, del Magistrato alle Acque (in previsione delle complesse operazioni
di Taglio delle anse e raddrizzamento del fiume per evitarne le esondazioni), ma anche nella Cartografia e
nella Diplomatica veronese, città che considerava l’Adige una sua pertinenza per svolgere il commercio tra
il Mare Adriatico e la Germania.
Un traghetto tra Badia Polesine e Masi esisteva anche alla Rocca Marchesana quantomeno fino al 1678

Cartina conservata presso l’Archivio di Stato di Venezia che comprova l’esistenza di un Traghetto tra il comune di Badia Polesine e Masi nel 1678. Raffigura dettagliatamente il traghetto ormeggiato sul fiume, con la “corda maestra” (il regano), vincolata ad una Bricola al centro del corso d’acqua e quattro barchette che avevano la funzione di tenere sollevata la stessa corda e consentivano al battello di rimanere sempre tra le due sponde
Seppur attualmente non sono emerse altre prove documentali, è molto
verosimile che un Traghetto tra Badia Polesine e Masi esistesse anche alla Rocca Marchesana quantomeno
fino al 1678, epoca in cui i Veneziani eseguirono un imponente taglio di alcuni chilometri che avrebbe
aumentato la distanza tra le due rive e fatto nascere l’Isola degli Sgarzi (ancora oggi usata dagli Aironi per
nidificarvi) e la Golena del Boscovecchio. Esiste infatti, presso l’Archivio di Stato di Venezia, un disegno che
comprova l’esistenza di un Traghetto tra questi due paesi risalente al 1678 (un anno dopo il Taglio delle
Rocche Marchesane) che raffigura dettagliatamente il Traghetto ormeggiato sul fiume, con la “corda maestra” (il Regano), vincolata ad una Bricola al centro del corso d’acqua e quattro barchette necessarie a sollevarla dal pelo dell’acqua e facilitare le manovre; un documento eccezionale nella sua descrizione. Un altro documento, conservato nell’Archivio Storico del Sodalizio Vangadiciense di Badia Polesine e datato 1491, fa anch’esso riferimento ad un Passo esistente tra Badia Polesine e Masi.

Il paesino di Settimo in una illustrazione del libro di J. Volkamer intitolato Nürnbergische Hesperides, stampato nel 1714. Sulle rive sono posti i due robusti pali che sostenevano la fune maestra del traghetto, che viene qui curiosamente rappresentato con dimensioni minuscole (dal Museo dell’Adige di Pescantina)
Si devono inoltre considerare anche i Traghetti ad uso militare, che vennero probabilmente realizzati subito
dopo la cessione di alcuni terreni dell’Abbazia della Vangadizza al Comune di Padova nel 1292, così che
questa città potesse costruirvi l›avamposto antiscaligero di Castrum Baldii (Castelbaldo).
Per quanto riguarda invece il periodo post unitario (dal 1861) è emerso, da ricca documentazione cartografica, che sull’Adige da sud di Zevio fino alla foce vi erano Traghetti tra Bova di Belfiore e Perzacco di Zevio (fino agli anni ottanta), tra Ronco all’Adige e Zerpa di Belfiore, tra Albaredo d’Adige e Tombazosana, tra Roverchiaretta e Bonavigo, tra Carpi di Villa Bartolomea e Nichesola, tra Castelbaldo e Villa d’Adige, tra il Sostegno Bova di Badia Polesine e Masi, tra Piacenza d’Adige e il Boscovecchio (esattamente dove oggi sorge il Ponte dell’Autostrada, da non confondere con il Traghetto attivo più a Valle almeno fino al 1962), tra Balduina e Marezzana di Barbuglio di Lendinara, tra la Rotta Sabadina di Sant’Urbano e Le Garzare di Lendinara, tra le due Lusia (“Lusia de qua e Lusia de là”), tra Barbona e Saline di Lusia, tra Concadirame di Rovigo e Vescovana, tra Penisola di Anguillara Veneta e San Martino di Venezze e tra La Piscina di Anguillara e Trona di Sotto a Borgoforte, tra Pettorazza Papafava e Cavarzere, tra Rottanova di Cavarzere e Pettorazza Grimani, tra San Pietro di Cavarzere e Chiesazza ed infine tra Cavanella d’Adige di Chioggia e Bassafonda di Rosolina. Parimenti ai “passi volanti”, sull’Adige operavano anche numerose altre attività collegate al fiume: i barcari, che trasportavano le merci, i mulinari che macinavano le granaglie con la forza dell’acqua, i cavallanti (che con il cavallo trainavano le barche controcorrente), i sabbionanti e i giararoi, che estraevano la sabbia e la ghiaia. Vi erano poi alcuni lavori a terra collegati a queste attività, come i facchini (che non di rado sostituivano i cavalli nel traino delle barche e i calafati (costruttori e riparatori di barche).

Il passo volante di Arcé. In primo piano il traghetto con il “portolano”. Si notano sulla due rive i pontili che facilitavano la salita delle persone e dei carri. La fotografia è dei primi del ‘900
Colui che lo guidava, aveva una denominazione antica e suggestiva, e in relazione alla zona e all’epoca in cui operava veniva chiamato con diversi nomi quali: portolano, traghettatore o passadore. Il traghettatore doveva innanzitutto essere una figura dotata di buona forza fisica necessaria alla manovra del battello, saper convivere con il fiume di cui conosceva ogni aspetto ed ogni pericolo ed essere disposto a compiere numerosi sacrifici, perché il passaggio doveva sempre essere portato a buon fine, dall’alba al tramonto. Nel Veneto il mestiere del traghettatore fluviale ha lasciato un ricordo anche nella toponomastica – Passo, Barchetta e Passetto – e nei cognomi – Passadore – termini che rimandano inequivocabilmente a questo servizio.
Strutturalmente il “passo” era composto da pochi elementi prevalentemente in legno, ad esclusione della “corda maestra” (il regano), ma tutti erano molto importanti: due barche che sostenevano un pavimento in assi sul quale trovavano posto tre parapetti di sicurezza per i passeggeri, una casetta in cui il Passadore si riparava in caso di pioggia, pranzava e teneva la contabilità, un palo o un remo e un timone per spingersi dalla riva e manovrare, alcune barchette che sollevavano la “corda maestra” che consentiva di rimanere sempre tra le due sponde, ed una barchetta in funzione di scialuppa qualora qualche passeggero cadesse in acqua. Vi erano infine le corde per legarsi alla riva. La corda poteva essere legata ad un palo al centro del fiume oppure a un grosso albero sulla riva o cementato a terra.

Anni ’50, traghetto sul passo tra Castelbaldo e Villa d’Adige. Il proprietario Angelo Colombo trasporta la sposa lo sposo e gli invitati al matrimonio (nella foto è quello a sinistra con la mano appoggiata al parapetto)
La loro funzione era considerata strategica per il territorio e dove arrivava il traghetto era un luogo pie-
no di vita e di socializzazione. Su di esso, prima o poi, passavano tutti, per andare a lavorare, a scuola, dagli
amici o dalla fidanzata, per un matrimonio e persino per la nascita e la morte (a questo riguardo è utile ci –
tare un episodio realmente accaduto nel Delta del Po, descritto dal Gazzettino e ripreso dal cineasta Renato
Dall’Ara nel film “Scano Boa” del 1954 – e poi da Gian Antonio Cibotto nell’omonimo romanzo del 1961 – visibile su Youtube, nel quale una partoriente dava alla luce un bambino su una barca diretta al cimitero). Tra i passanti vi erano anche molte madri con i loro bambini in quanto i medici prescrive vano loro di portarli sul fiume per respirare l’aria salubre che avrebbe portato un certo beneficio. Per i barcari e i passadori, era invece un luogo dove scambiarsi notizie sui problemi della navigazione ma anche per
scambiare qualche parola, cibo e bevande (soprattutto baccalà e scopetòn, ma anche patate, formaggio,
uova, fagioli e pasta). Un mondo galleggiante che è progressivamente scomparso.
L’antico traghetto che univa Legnago a Porto tornerà in vita, il servizio verrà riproposto con scopi culturali e naturalistici
Uno degli ultimi traghetti del Veneto fu quello tra Cà Tiepolo e Cà Venier di Porto Tolle, che venne chiuso nel 1997 dopo la costruzione del Ponte sul Po di Venezia. L’ultimo Tra ghetto sull’Adige, invece, fu quello di Cornaiano di Appiano, alla confluenza con l’Isarco, che terminò la sua esistenza attorno il 1990 a causa di una grande Piena.
Ma l’avventura millenaria della navigazione fluviale e del traghettamento non è completamente terminata,
in quanto, dopo decenni di assenza, viene finalmente riproposta e quindi, occasionalmente – condizioni
permettendo – sfruttabile. Si tratta del Traghetto tra Angiari e Orti di Bonavigo che verrà riproposto, seppur solamente in ambito turistico per poter partecipa re alla Fiera di San Tommaso Becket che si tiene sugli
argini dell’Adige. Questa iniziativa è stata resa possibile grazie alla collaborazione tra Giuliano Antoniazzi, sensibile Imprenditore locale, e Rudy Toninato, titolare di una flottiglia di battelli turistici che solcano le
acque interne del Veneto, nel tentativo di riproporreuna significativa operazione culturale, seppur esclusivamente con finalità naturalistiche e commerciali.
Bibliografia
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Coltro D., L’Adige arti e mestieri del fiume, Arsenale, Venezia, 1981;
Turri E. – Ruffo S., Etsch Adige, il fiume, gli uomini, la storia, Cierre, Verona, 1992;
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Vallarini C., “È cessata la pioggia”. Guerra segreta nella provincia di Rovigo e nel Veneto meridionale 1943 – 1945, Badia Polesine, 2018;
Conati G., Arti e mestieri sull’Adige dalle Valli tirolesi all’Adriatico, Cierre, Sommacampagna, 2021;
Granzarollo R., Passi Volanti dell’Adige. Per un Historical GIS sui traghetti ripari nella bassa pianura veneta tra Ottocento e Novecento, Tesi di Laurea (Relatore: Silvia E. Piovan), Università di Padova, 2022.
Si ringraziano per il contributo alla presente ricerca Gianni Rigodanzo, del Museo Civico della Ceramica di Albaredo d’Adige, Maurizio Ulliana, del Museo Civico della Navigazione Fluviale di Battaglia Terme, Pietro Bertoncin di Badia Polesine, Elisa Groppello di Angiari, Giorgio Casarotto e Massimo Veronese
di Badia Polesine, Milo Vason, Marzia Bolognesi e Mario Donegà di Lendinara, Luca Stefano Callegaro di Lusia e Massimo Chendi di Rovigo, tutti accomunati da un profondo amore per il fiume Adige.