Panem, il pane quotidiano dei romani
Le fonti storiche ci informano che nel mondo latino era al centro di molti rituali e che esisteva un pane quasi per ogni circostanza
I giorni che il calendario romano antico dedicava alle feste religiose erano novantaquattro, tra i più importanti vi erano i Saturnalia, dedicati al dio Saturno, i Consualia, al dio Conso, individuato nel dio Nettuno, Neptunus Equestris, protettore degli animali equini, i Lupercalia, al dio Lupercus, protettore del bestiame ovino e caprino dall’attacco dei lupi, poi la Bona Dea, un’antica divinità laziale. I rituali di queste feste comprendevano processioni, banchetti, spettacoli, rappresentazioni teatrali e sacrifici, di animali e di prodotti della terra. La durata delle celebrazioni non era fissa, andava da uno a più giorni. In queste feste religiose trovano spazio pratiche devozionali e cerimonie di culto a divinità, che soccorrevano alle necessità della vita quotidiana. Tra questi bisogni vi era il buon funzionamento dei forni per la produzione del pane, attribuzione data alla dea Fornace e a lei erano dedicati i Fornacalia, feste che si tenevano dal 7 al 17 febbraio di ogni anno.
Ad introdurre questa ricorrenza fu Numa Ponpilio, secondo dei sette re di Roma, e lo fece su suggerimento di Egeria, ninfa delle sorgenti, esperta di misteri divini e di necessità umane, tra queste il pane, uno dei motori della storia umana, che racchiudeva in sé capacità nutriva e simboli religiosi. Numa Pompilio, sempre su suggerimento di Egeria, collegò e fece seguire ai Fornacalia i Quirinalia, feste in onore del dio Quirino. Nei Quirinalia si celebrava, infatti, la prima torrefazione annuale del farro, il cereale più diffuso nel mondo antico, caratteristico della cucina romana primitiva e utilizzato per la panificazione. Lo stesso termine di farina deriva dal latino “far” o “farreum”, farro. Egeria, con le sue indicazioni, palesava, pertanto, un legame intimo tra la farina, la sua lievitazione e la cottura in forno, dato dal calore che trasforma all’interno del forno per diventare pane. Metamorfosi, questa, che richiedeva la presenza di una divinità, Fornace appunto, che operava affinché il fuoco non si spegnesse o il vento non estinguesse le fiamme. Il pane diventava allora simbolo di benevolenza divina, entrava nella vita dell’uomo, lo nutriva e ne favoriva le relazioni sociali, la più importante di queste era il matrimonio, anche questo frutto di profondo cambiamento dato dal “calore dell’amore”.
Nella “confarreatio” il rito religioso con il quale si celebrava l’antico matrimonio romano,”legale e sacro”, avveniva quando i due sposi si spartivano e mangiavano un “pane di farro”, “panis ferreus”, alla presenza di dieci testimoni e di un sacerdote di Giove.
Ancora, durante i Fornacalia veniva offerta alla dea Fornace la “Mola Salsa”, un pane sacro, formato da chicchi di farro abbrustoliti e pestati in un mortaio. Questo pane era distribuito anche ai fedeli come atto di purificazione e serviva per spolverare gli animali destinati al sacrificio, infatti “immolare” ha il significato di coprire con mola salsa.
La Mola Salsa era confezionata dalle Vestali per le principali feste religiose e il farro doveva essere raccolto a giorni alterni tra le none e le idi di maius, dal 7 al 15 maggio, era portato alla Casa delle Vestali, le sacerdotesse consacrate alla dea Vesta, la divinità del focolare, le quali provvedevano a sgranare le spighe, tostare i grani e macinarli finemente.
La farina ottenuta era impastata con acqua di fonte perenne e da questa si formava dei pani tondi, che erano posti a cuocere nel forno all’interno del Tempio di Vesta.
Contemporaneamente, le Vestali preparavano la muries, del sale triturato nel mortaio e posto in una terrina con acqua, sempre di fonte perenne, con il quale si cospargeva il pane appena sfornato, per questo si chiamava mola salsa.
Dal II secolo a.C., epoca in cui si diffuse l’uso del lievito, il pane fu la base della dieta dell’antica Roma e innescò un netto cambiamento delle abitudini sociali e alimentari. A Roma erano presenti numerosi fornai e panetterie, chiamati pistores e pistrinae. Le tipologie di pane variavano a seconda gli utilizzi, si aveva il panis siliginaeus, il più pregiato e consumato dai ricchi fatto con farina bianca di grano tenero, il panis cibarius, secundarius o plebeius, era un pane comune, alla portata di tutti. Si accompagnavano i piatti ricchi di sughi con il parthicus, un pane molto spugnoso. Nelle zuppe e nelle minestre si inzuppava il panis rusticus, ottenuto con la farina integrale. Esisteva anche un pane per l’alimentazione dei cani, il furfures, prodotto con la crusca.
I soldati usavano i pani duri, panis militaris, che non si sbriciolavano nelle tasche.
I marinai, che dovevano affrontare lunghi periodi di mare in un ambiente umido, avevano il panis nauticus, dalla crosta compatta, difficilmente attaccabile dalla muffe.
Non mancavano i pani speciali, come panis hostearus, per accompagnare le ostriche, il panis picenus, il più conviviale, fatto con uva.
L’importanza del pane nella sua funzione nutritiva, sacra, sociale è rimasta immutata nella storia ed è giunta sino a noi, che possiamo ancora godere del profumo del pane appena uscito dal forno.
E la dea Fornace?
Ricordiamola on le parole di Ovidio:
“Dea Fornax facta est” et coloni laeti Fornace orant ut illa temperet suas fruges”
(Ed ecco fatta la Dea Fornace e i contadini lieti la pregano per temperare il suo calore e trattar bene le loro messi)
L’Olio Extra Vergine d’oliva Dop Veneto nel pane all’olio
Le qualità nutrizionali e l’elevata resistenza alle temperature garantiscono al prodotto una migliore digeribilità e leggerezza
La data di nascita del pane all’olio e pressoché sconosciuta, ma pare che sia nato nelle più fredde regioni settentrionali perché l’aggiunta di olio rendeva l’impasto più resistente al freddo. In passato, i laboratori in cui si preparavano gli impasti del pane non disponevano di forno interno. Per cuocere il pane bisognava infatti recarsi nel cortile, luogo in cui solitamente si trovava il forno a legna. Nelle stagioni invernali, quando il clima si faceva particolarmente rigido, il trasporto del pane dal laboratorio al forno poteva compromettere il processo di lievitazione. I panettieri più esperti aggiunsero l’olio all’impasto e questa intuizione fu vincente, si ottenne un pane morbido all’interno con una finissima crosta esterna, adatto ad accompagnare tutti i pasti. Aggiungere quindi una parte grassa all’impasto del pane, lo preservava dagli sbalzi di temperatura, primo complice di un pane poco morbido e non correttamente lievitato. Il pane all’olio, oggi, si prepara in tutta Italia nello stesso modo, variano solo le forme e le pezzature, la quantità e la qualità dell’olio utilizzato.
In alcune regioni viene impiegato quello di semi in altre solo d’oliva e tra i due è sicuramente preferibile un buon extravergine, in quanto aggiunge valori nutrizionali e sapore al pane, come nel caso dell’Olio Extra Vergine d’oliva Dop Veneto, ottenuto dalle varietà Grignano e Favarol per almeno il 50% nella zona di produzione della Valpolicella; Leccino e Rasara per almeno il 50% nella zona dei colli Euganei e Berici e Frantoio e Leccino minimo al 50 % per la zona pedemontana del Grappa. Un’area di produzione vasta, la Dop è estesa alle provincie di Verona, Vicenza, Padova e Treviso, ma gli oli prodotti hanno un denominatore comune, ossia le alte qualità organolettiche che derivano dal particolare clima e dalla composizione del terreno, che consentono di limitare al minimo l’uso di antiparassitari, e conferiscono al prodotto spiccate caratteristiche organolettiche, che si apprezzano appieno sia nel consumo da crudo sia nei lavorati cotti in quanto manifesta un’elevata resistenza alle alte temperature, qualità che consente proprio nella produzione di pane all’olio una migliore digeribilità e leggerezza del prodotto.