Fine dell’estate in alpeggio
Una stagione è passata ma ne restano i frutti, sulle scalere di legno riposano i formaggi prima di essere venduti
Fine di agosto in malga, sono le 6 del mattino e il sole illumina già la casera e lo stallone. Le vacche sono state munte e ora sono fuori dalla stalla, al pascolo dove, tra i fili oscillanti per la lieve brezza dell’erba alta che inizia a ingiallire, si intravede quella verde ancora bagnata dalla leggera pioggia della notte. Bramose mangiano selezionando le piantine migliori, quelle capaci di sfamare davvero e lasciano invece quelle secche e quelle meno appetibili. Alcune si lanciano sul trifoglio già scarso vista la stagione avanzata, l’estate è ormai terminata, e rimane ancora un po’ di “veccia”, una leguminosa che in questo periodo ha il piccolo baccello ormai consumato dal sole, ma le piccolissime foglie attirano ancora gli animali. Siamo oltre i 1500 metri sul mare, le giornate si sono accorciate e i turisti, prevalentemente escursionisti, ormai arrivano solo al sabato e alla domenica, stagione permettendo. Il malgaro con la sua donna ha più tempo da dedicare alle mansioni specifiche dell’alpeggio.
Per loro l’attività estiva è stata dura, soli hanno gestito il sito alpino con le poche vacche pascolanti, ma non hanno mai smesso di lavorare il latte, anche se è diminuita la produzione, in caseificio, in latteria come si dice qui nel Veneto dolomitico. Le vacche sono stanche ma guarda un po’, anche ingrassate, strano a dirsi ma vero. Alcune di loro stanno andando in asciutta, quella periodica fase che perdura due-tre mesi prima del parto durante la quale non vengono munte. I frutti dell’estate sono stati buoni, il latte ha sempre mantenuto eccellenti caratteristiche chimiche e microbiologiche e, vista l’alimentazione naturale, organolettiche.
Annusarlo appena munto riempie le narici e l’anima ne gode. Si percepiscono odori antichi come l’erba bagnata dalla pioggia di un temporale appena terminato, come il manto delle vacche dal forte sentore di cuoio che può provocare repulsione a chi non ne percepisce il valore, ma che concederà al latte e di conseguenza al formaggio, odori e aromi straordinari. Ormai il latte è in caldera, in quel paiolo ramato che attende solo il casaro per l’accensione del fuoco a legna di abete o larice, piante tipiche di queste altitudini. Si provvede a scaldare il latte, poco, perché quello della sera rimasto nelle vasche per l’affioramento è a 12-13° mentre quello della mattina è ancora alla temperatura di mungitura. Il formaggio in malga viene fatto dal latte crudo, ovvero non avviene alcun risanamento termico com’è invece con la pastorizzazione, per questo mantiene intatte tutte le caratteristiche che la natura montana gli ha concesso, le proteine, i grassi, le vitamine la sua naturale carica batterica, e gli enzimi originari.
Il formaggio in malga viene fatto dal latte crudo, per questo mantiene intatte le proteine, i grassi, le vitamine la sua naturale carica batterica, e gli enzimi originari
Il malgaro aveva preparato, il giorno prima, il lattoinnesto, una sorta di latte acidificato in modo del tutto naturale, da aggiungere al latte in caldaia affinché i batteri lattici possano attivarsi immediatamente. Per essere più chiari il lattoinnesto è un po’ come il lievito madre per il pane. Questa importante coltura batterica che si prepara solo in caseificio con il buon latte della munta mattutina, si attiverà subito e innescherà molti agenti capaci di dare luogo alla maturazione del formaggio sulle scalere di legno, durante la stagionatura. Finiamo di fare il formaggio, estraiamo la cagliata dalla caldera ponendola nelle fascere che consentono la pressatura che procederà per quasi tutto il pomeriggio.
E’ questo il momento che il casaro utilizza per entrare nella camera dove vengono posti i formaggi a stagionare, anzi no, a maturare. In effetti ogni momento della vita del formaggio vede in se alcuni aspetti legati alla maturazione che dobbiamo distinguere dalla stagionatura. Durante la stagionatura avvengono mutazioni chimiche, fisiche e batteriologiche che sono la base della maturazione del formaggio. La maturazione è quindi la conseguenza di un tempo di stagionatura e delle condizioni ambientali nelle quali viene posto il formaggio.In questa fase le caseine, le proteine che compongono il formaggio, subiscono una vera e propria degradazione e così pure i globuli di grasso tramite irrancidimento idrolitico definito meglio come lipolisi. Tutto ciò viene a determinare la consistenza della pasta del formaggio, i suoi odori e aromi, il suo gusto. Queste mutazioni sono favorite dai batteri lattici che trasformano il lattosio in acido lattico e provocano anche la crescita di enzimi capaci di influenzare la maturazione del formaggio. Tutto ciò avviene in ambienti adatti alla stagionatura dalle caratteristiche naturali come la camera dell’amico malgaro o cantine e grotte oppure artificiali come le celle. La loro grande differenza è palese, umidità e temperature regolate dalle stagioni per gli ambienti naturali o controllate per le celle.
La maturazione è una sorta di miracolo della natura, se il formaggio è posto nella scalera bassa vicino al pavimento dove l’umidità è maggiore il casaro otterrà un risultato diverso da quel formaggio, magari suo gemello, posto nella scalera alta, dove minore è l’umidità ma maggiore è la temperatura. In Veneto sono molto i formaggi a latte crudo che godono di deroga dagli enti preposti ai controlli igienico sanitari tanto che possono essere consumati solo dopo 30 giorni dalla trasformazione. La camera della malga dove i formaggi riposano odora di buono, di muffe azzurrino-bianche, alcuni con crosta appena umida altri asciutta, odora di pulito, perché la moglie del malgaro lava spesso i pavimenti facendo attenzione a non utilizzare troppo i detersivi che andrebbero a contaminare i formaggi esposti sulle tavole di legno di abete bianco. Il malgaro, mentre gira e rigira i formaggi sulle assi di legno, mi mostra con orgoglio i suoi gioielli, molti pressati altri a pasta molle pronti per essere consumati, dopo aver ben maturato durante l’estate, e altri ancora che porterà a casa a stagionare per ameno un anno. E il consumatore a fine estate potrà andare alla ricerca del buon formaggio d’alpeggio, lo riconoscerà senz’altro, dal colore dall’odore dall’aroma e dal gusto, unici e irripetibili.
La maturazione continua lentamente perché il formaggio a pasta dura richiede tanto tempo, quel tempo che vedrà il malghese, con le lacrime ben nascoste dal cappello calato sugli occhi, demonticare le sue vacche e portare con se i formaggi rimasti, obbligato a lasciare i pascoli fra non molto ricoperti di quel manto bianco che provvederà a mantenere le radici delle erbe sane, fresche e attive alla futura ricrescita.