Il tartufo veneto è poco conosciuto. Che peccato…
Quando si parla del ricercato tubero scatta automatica l’associazione alle sue capitali come Alba o Norcia. Ma anche il Veneto è una terra tartufigena, soprattutto l’area dei Colli Euganei, dei Berici e il Delta polesano
Scrivere Tuber Magnatum Pico o Tuber Melanosporum più popolarmente e rispettivamente tartufo bianco e tartufo nero, significa evocare anche i nomi di cittadine come la piemontese Alba, l’emiliana Savigno, la marchigiana Acqualagna, la toscana San Giovanni d’Asso, l’umbra Norcia, la campana Colliano o la calabrese Saracena. Piccole o grandi capitali del ricercato tubero alle quali, come si legge nell’elenco delle città del tartufo, altre ancora si uniscono escludendo però il nostro Veneto. Colpa, forse, di scarsa attenzione dei nostri addetti alla promozione del territorio per una risorsa che evidentemente non riesce comunque ad emergere fra le tante e molte altre di cui noi veneti possiamo vantarci. Un capitale non sfruttato a dovere che forse, proprio per questo, merita qualche riga di Con i Piedi per Terra. Soprattutto perché il nostro territorio, a ben cercare, e nel senso più letterale del termine, non è meno generoso di tutte le altre regioni d’Italia dove il Tuber Magnatum Pico e il Tuber Melanosporum, nelle versioni più o meno pregiate, riesce a calamitare migliaia di gourmand e buone forchette.
A cominciare da tutte quelle zone cosiddette tartufigene che prevalentemente producono lo “scorzone”, e il “nero pregiato”. Ovvero i Colli Euganei, in particolare nei paraggi del comune di Cinto Euganeo, i Colli Berici, nei comuni di Barbarano, Villaga, Mossano, Nanto; le colline Moreniche del Garda e i Monti Lessini. Mentre il nero ordinario, detto brumale è di casa nelle località di Arsiè e a Conegliano Veneto. Una mappa gastronomica costellata di ristoranti e trattorie dove è possibile gustare questi particolari funghi ascomiceti sotterranei senza mettere mano alla carta di credito, come invece succede per le ricercate lamelle di tartufo bianco pregiato. Varietà che in verità si fa trovare anche nel nostro Veneto, nella zona Delta del Po. In particolare, ma non chiedeteci le segrete ma precise coordinate satellitari, nei comuni di Ariano Polesine, Taglio di Po, Corbola, Donada, Contarina e ancora, nel padovano, nel comune di Este. Località poco celebrate ma che proprio sul finire dell’estate, in autunno e inizio inverno, cominciano a suscitare gli interessi dei tartufai. Veri professionisti della cerca di questi funghi sotterranei che solitamente si fanno accompagnare nella loro ricerca da un fido cagnolino dall’olfatto superfino che viene allevato fin da neonato per diventare un insostituibile strumento di lavoro in grado di localizzare, sotto il terreno e in prossimità delle radici delle piante ospitali dove crescono queste preziose specie botaniche.
E’ possibile trovare lo scorzone dall’inizio di maggio e per tutto agosto, spuntando un prezzo di vendita compreso tra i 30 e i 40 euro l’etto
Un tempo anche i maiali venivano utilizzati nella cerca, in quanto dotati di ottimo olfatto, ma non ottennero mai i favori riservati al miglior amico dell’uomo. Più obbediente, quest’ultimo, e non così ingombrante come i suini che oltretutto, con il grugno, più che annusare e segnalare la presenza del tubero compiono una sorta di aratura del terreno finendo il più delle volte per mangiarsi pure il tartufo scovato senza che il tartufaio riesca a trattenere la loro voracità e la forza molto più possente di quella di un piccolo cagnolino.Sono di bassa pezzatura, infatti, i fedeli quattro zampe di cui si servono i cercatori di tartufo che, come raccontano alcune leggende, usano sfregare con la polpa di tartufo le mammelle della cagne durante la fase dell’allattamento per accrescere ancora di più la capacità sensoriale dei cuccioli nei confronti dei caratteristici sentori di fermentato che i tartufi sprigionano: fungo, miele, fieno, aglio, spezie, terra bagnata, ammoniaca e idrocarburi.
Una miscellanea assai presente e calibrata al punto da determinarne la quotazione nei tartufi bianchi, meno forte in quelli neri ad esclusione del nero di Norcia che molti addetti ai lavori lo equiparano al bianco e come tale lo apprezzano e lo comparano quale unità di misura per gli altri tartufi neri che si trovano con l’appellativo di scorzone, anche nei nostri colli Euganei e Berici. Meno importanti dal punto di vista del prezzo ma in ogni caso capaci di fare da protagonisti in sfiziosi piatti estivi. Giacché i tartufai riescono a trovarli fin dall’inizio di maggio e per tutto agosto, spuntando un prezzo di vendita compreso tra i 30 e i 40 euro l’etto. Dalla fine dell’estate in poi, invece, fa la sua comparsa il tartufo nero invernale, chiamato anche trifola nera. Altra golosità gastronomica raccolta da febbraio e fino a metà marzo. Ha un profumo intenso ma gradevole, simile alla nocciola, mentre il sapore ricorda la rapa e il gusto di terra. Si presenta finemente verrucoso e di colore nero tendente al marrone, mentre l’interno è grigiastro con rare venature di bianco. Quel colore bianco che invece abbonda nel Tuber Magnatum Pico di Alba ma anche in qualche raro esemplare dei terreni che circondano Este, in direzione delle terre rodigine. In quel che molti chiamano bassa padovana o terra “rovigota” quasi con scherno, ignorando che sotto pochi centimetri di quella mal considerata terra si celano veri e propri tesori gastronomici che toccano quotazioni non distanti dai tartufi cugini di Alba e di altre blasonate Città del Tartufo che peccano nel non comprendere pure il nostro Veneto fra le zone dove, il tartufo, a saperlo scovare è ben di casa. Tanto che anche la tradizione gastronomica locale li sa tener il dovuto conto con preparazioni solo apparentemente semplici come i tajarin al burro e tartufo o il risotto al tartufo e grana.
I tartufi Veneti
Lo scorzone
Fra le varietà più diffuse nel Veneto merita particolare attenzione lo “Scorzone“, una varietà che si contraddistingue per la “carne” color giallo-sporco-nocciola, il peridio verrucoso e di colore nero e per il suo periodo di maturazione, che è quello estivo (da cui trae origine il nome). E’ una delle specie meno pregiate nel suo genere, sebbene sia ben commestibile.
Tartufo nero
Nonostante l’opinione predominante giudichi il tartufo bianco il migliore, non mancano coloro che gli preferiscono proprio il Tuber melanosporum o “Tartufo nero” che matura in autunno e durante l’inverno. Si presenta con una scorza di colore nero mentre la polpa interna è scura con venature bianche e regala aromi e profumi dopo averli presi dall’albero dal quale trae le sostanze nutritive.
Il Bianchetto
E’ caratteristico delle aree rodigine ed estensi e, seppur di colore bianco, non è certo pregiato come il Bianco d’Alba. Talora, però, alcuni esemplari più grossi, è venduto mescolato al tartufo bianco pregiato. Per evitare la frode basta annusarlo: possiede un odore assai meno gradevole del tartufo bianco, mediamente è di taglia più ridotta e il gusto si perde facilmente fra le papille.