Dopo secoli riaffiora l’antica Torre Marchesana di Masi

Grazie ad un lavoro di ricerca e raffronto tra indicazioni desunte da documenti e carte storiche è stato possibile individuare i resti dell’antica torre medievale sull’Adige
A volte la storia è lì, l’abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, ma non la vediamo. E’ anche questo, forse, un effetto provocato dalla progressiva distanza che l’uomo contemporaneo (noi tutti) interpone nei confronti della terra in cui vive. Il non essere più in mezzo allo spazio vero, al quale sempre più si privilegia quello virtuale, e l’aver perso la capacità di interrogarsi sugli elementi del paesaggio, fa sì che le cose, anche quelle importanti, rimangano sepolte più che dal tempo, dall’indifferenza. Se volessimo definire dal punto di vista sensoriale questo disagio, il termine giusto sarebbe forse “spaesamento”, ma la stessa sensazione si prova anche quando il paesaggio diventa scoperta. E’ capitato anche a me, dopo che per mesi con il mio vicino di casa ci siamo confrontati su carte, documenti e rilievi e alla fine un cumulo di pietre e lacerti di muratura che si trovano in mezzo all’Adige hanno trovato un nome e recuperato un’identità. In verità e stato lui, Giuliano Mantovan, il mio amico e vicino di casa, a dargliela. Io ci avevo lavorato per anni, mettendo da parte ogni documento e ogni vecchia cartina che parlasse di quel tratto di fiume. Più volte, durante i periodi di magra, ho anche sondato lo stesso tratto perché sapevo che un tempo lì sorgeva Rocche Marchesane: un villaggio medievale, un’appendice del mio paese, Masi. Oggi i resti di quell’abitato si trovano proprio in mezzo all’Adige, ma almeno fino alla fine del XVII secolo case e casamenti erano ben piantati sulla sponda padovana. Era forse la parte più interessante del paese di allora: una comunità che viveva in simbiosi con il fiume. Era forse uno scalo, una banchina debitamente protetta da muraglie e palificate che rinforzavano la sponda, un porto. L’ho sempre immaginato un luogo operoso, ed era sicuramente l’accezione che contraddistingueva Masi dal resto del territorio. Qui, infatti, la piccola economia non dipendeva dall’agricoltura o dallo sfruttamento delle terra, come nel resto della Bassa Padovana e del Polesine, ma un tempo la ricchezza al mio paese era portata dal commercio fluviale; dal piccolo artigianato; dall’economia dell’acqua fatta di mulini galleggianti; di poste per la cava della sabbia; dalla produzione di ceramiche; dagli squeri; dal lavoro dei “passadori” e dei “cavalanti”, che permettevano l’attraversamento e la risalita della corrente alle imbarcazioni; dalle osterie che offrivano ricovero ai “piloti”, che conducevano i natanti, e agli scaricatori.
La torre costituiva toponimo tanto che nelle cartine tra Quattrocento e Cinquecento il nome di Rocche Marchesane viene spesso usato in sostituzione a quello di Masi, o i due nomi convivono nel definire forse due realtà distinte, una comunità “dentro” al fiume, Rocche Marchesane” e una di terra ferma, Masi, che iniziava qualche metro più in là, appena oltre la sponda
Esistono ancora le tracce di questo antico passato, a ridosso dell’argine, tra la vegetazione e le sabbie portate dalla corrente, riemergono resti di muri, lacerti di strade, cumuli di pietrame, un mondo fermo da secoli, ma che permette ancora di immaginarla questa specie di Atlantide fatta scomparire dagli ingegneri veneziani alla metà del 1600. Con il taglio dell’argine dietro al quale stava il paese, vollero imprimere maggiore velocità alle acque per togliere dai rischi le zone a monte, nel Veronese, che durante le piene ne soffrivano l’esuberanza. Almeno così riporta Bernardino Zendrini nel suo Memorie storiche dello stato antico e moderno delle lagune di Venezia…” dando testimonianza della fine di questo mondo che per secoli era stato fervido e vitale.
“… Credette bene il magistrato di far eseguire il taglio delle Rocche Marchesane ai Masi sul Padovano, il quale in altro non consisteva, se non nell’aprir certo argine dirimpetto al passo della Badia, in un sito ove altre volte vi era un ponte sul fiume. Il motivo di questo taglio fu, perché essendo quivi il fiume assai ristretto, ne potendo da se allargarsi per le muraglie delle antiche fabbriche che pure stanno sotto acqua, e per conseguenza tenendosi molto alto nelle piene con molto danno delle parti superiori, ed inoltre per vari giri dell’alveo maestro inferiormente al passo predetto della Badia trovandosi l’Adige molto ritardato nel suo corso, si reputò che con il taglio di queste ghiaie, ridotta molta parte dell’acqua a camminare in retta linea, fosse per restar sollevato il fiume…”
Tratto da “MEMORIE STORICHE DELLO STATO ANTICO E MODERNO DELLE LAGUNE DI VENZIA…di Bernardino Zendrini, matematico della repubblica di Venezia
Un mondo che aveva preso importanza e nome da una torre, ecco l’oggetto della ricerca mia e di Giuliano Mantovan, che per secoli è stata dimenticata e di cui non si era più riusciti a riconoscere le tracce. Eppure la “Rocca Marchesana”, doveva essere rimasta lì, una carta del 1677 ne indicava ancora le vestigia, segno che quel manufatto doveva essere stato di grande rilevanza visto che la sua alta mole era già scomparsa da più di un secolo quando venne redatta quella tavola. La sua storia era cominciata diversi secoli prima, non si sa con esattezza. Qualche documento la attribuisce al periodo Estense, cioè agli anni attorno al Mille quando la potente famiglia degli Obertenghi pose il corso dell’Adige al centro della propria ascesa sociale, o al periodo Padovano, quando la città del Santo cercava nell’asta del Grande Fiume l’autostrada che desse sbocco commerciale alla propria crescita economica. Nel ricostruire l’importanza dell’area, non va dimenticato, infatti, che al tempo nel sistema fluviale dell’Adige rientrava anche l’odierno Adigetto, anzi forse ne era il ramo principale, e costituiva la via più veloce di collegamento tra le terre dell’Imperatore a quelle del Papa, dal Brennero all’Adriatico, mettendo in comunicazione città importanti come Verona, Rovigo, e attraverso i diversivi Ferrara, Mantova, oltre che le cittadine dell’artigianato come Legnago, la stessa Badia Polesine, Lendinara, Cavarzere.
Un sistema fluviale che aveva già garantito due secoli di prosperità e immensa ricchezza alla vicina Abazia della Vangadizza e che il 14 novembre del 1298 passò nelle mani di Padova. Qualche giorno prima, il 30 di ottobre nel palazzo Vescovile patavino, vennero sottoscritti accordi che sancirono come il procuratore Alberto, a nome del monastero della Vangadizza, investì Beldemando Beldemandi, in qualità di procuratore del comune di Padova, praticamente di tutti i diritti di pedaggio sui due rami dell’Adige, mentre il giorno 15 di novembre vennero consegnate le fortificazioni nell’area. Il documento parla di torri: cinque sulla sponda dell’Adigetto, verso Badia, nella zona chiamata Francavilla; una posizionata all’incile tra Adige e Adigetto, in una zona chiamata Pizzone in cui c’era il passo e il porto, detta appunto Torre di Mezzo; e una sulla riva padovana del fiume. Inequivocabilmente la Marchesana che dunque al tempo esisteva già ed era già attiva nella sua funzione di “casello autostradale” per la riscossione del pedaggio fluviale, il “tolloneo”. Un complicato sistema di catene tese sotto il pelo dell’acqua tra una torre e l’altra, creava uno sbarramento oltre al quale, per andare, era opportuno pagare.
Una missiva inviata al Doge datata 17 dicembre 1528 riporta la proposta del podestà di Legnago, in cui si rappresentava l’opportunità di demolire le rocche per recuperare il materiale da impiegare nella costruzione della fortezza di Legnago. “…et al ritorno a la Badia visti là do roche, che sono in dicto loco di la Badia, quale sono supra l’Adese, una da una banda et l’altra da l’altra banda, affitade per le Raxon Vechie una a mesier Piero da Canal et l’altra a uno Piero da Gazo da la Badia, et anche ho visto la forteza di Castelbaldo, la qual similiter è sopra l’aqua, et mi pare che sariano molto a proposito a farle disfar tutte per adoperarle per queste fabriche, perché non costeriano le piere, pagando ogni spesa, più de marcheti 20 el miaro condutte su l’opera, et dovendole comprar costeriano più del lire 7 de pizoli et miaro, ultra che per la propinquità loro a questo loco mi par che non stariano ben ivi quando che questo loco fosse forte
Ma la torre non era solo questo, con il vicino castello di Castelbaldo, fatto costruire proprio in quegli anni dal Comune di Padova, rappresentava un potente baluardo difensivo contro le mire della vicina Verona, che anch’essa nell’Adige aveva i propri interessi, e Ferrara dove gli Estensi non avevano mai totalmente deposto il desiderio di rientrare in possesso dei loro antichi territori. E del resto questo complesso di strutture sull’Adige, composto dal porto del Pizzone, dal mercato della Francavilla, per secoli in mano alla potente fraglia dei commercianti veronesi, il villaggio-banchina fluviale di Rocche Marchesane e le torri doveva costituire un’area di interesse e dunque necessitante di difese. L’area dovette rimanere di interesse anche dopo che il territorio passò di mano dai Carraresi alla Repubblica di Venezia, visto che anche Marin Sanudo, nel suo “Itinerario per la terra ferma” del 1483 la volle vedere. “Oggi, 6, martedì, ho visto i borghi. Abbiamo caricato i nostri bagagli su un burchiello per Legnago, lontano otto miglia e noi tutti, a cavallo, ci siamo avviati verso Badia, a due miglia; sino alla Torre Marchesana ci ha accompagnato il podestà di Castelbaldo … ho visto anche la Villa, molto viva, di Masi: bellissima Villa del padovano”. Ma soprattutto sulla Torre Marchesana che il Sanudo si sofferma con il suo racconto:
“…dicta torre è situata sopra l’Adige dalla parte del padovano e guarda di fronte la fortezza [la rocca] di Badia, che è detta Torre di Mezzo; qui è il porto da dove si passa al di là del fiume e si affitta per 110 ducati all’anno con l’osteria. Un tempo era [proprietà] del marchese, ma è stata da noi conquistata durante la guerra attuale; si affittava, ut illi dicunt [come dicono alcuni], a 120 ducati all’anno; è un luogo ben stretto.
Questa fortezza è circondata da due argini e, benché non sia particolarmente ampia, tamen [tuttavia] è molto ben difesa posta com’è nel mezzo di una palude, la torre ha inoltre due cortine ovvero rivellini di muro; il castellano è Antonio di Vielmin con la paga di 48 lire e 6 soldi che riceve dalla Camera di Padova, ha tre sottoposti. Tutto è perfettamente in ordine comprese le mura ed i ripari di legno; all’interno della muraglia vi sono poi costruiti dei grossi ripari per le bombarde; avendo così il controllo della torre, si può dire che il luogo è inespugnabile. E’ grossissima, il muro ha lo spessore di quattro piedi, le scale di pietra poggiano su ampi volti, anche i piani della torre non sono solai di legno ma poderosi volti in mattoni, a maggior rinforzo della Torre, in modo che questa è la Torre più forte della Lombardia, dall’alto si vede bene la sua forma a stella. […].” Forte, potente, inespugnabile…ma il suo tramonto sarebbe stato di lì a poco, solo quarant’anni dopo e quel sistema di fortificazioni che era costato un occhio della testa ai padovani, non valeva più nulla: giusto il costo delle pietre. Nel 1528 la torre venne smantellata e con i suoi mattoni venne irrobustita la vicina fortezza di Legnago, posta nei pressi dei confini dello Stato Veneto con il milanese ed il modenese. Come detto non venne, “smontata” del tutto, una carta del 1677 riportava ancora il punto esatto in cui si trovavano le sue vestigia, ma il definitivo colpo di grazia probabilmente arrivò con il taglio delle Rocche Marchesane alla fine del XVII secolo, in quanto venne aperto un canale proprio nel cuore del piccolo villaggio, facendo inabissare l’intera area nella corrente del fiume. Per questo ritrovarla non è stato facile. Tuttavia gli elementi messi insieme da Giuliano Mantovan oggi sono inequivocabili, raccolgono indicazioni desunte da documenti, incrociano punti indicati su mappe, contengono oggettive osservazioni su rilevamenti “in loco” e sono stati raccolti in un libro pronto per essere dato alle stampe.
L’immagine raffronta una cartina del 1677 nella quale è rappresentato l’antico abitato scomparso di Rocche Marchesane, che sorgeva in riva all’Adige insieme alla Torre, e l’attuale corso del fiume. Le antiche muraglie che escono dal pelo dell’acqua sotto al campata centrale del ponte corrispondono al flesso dell’antico argine medievale disegnato nella carta a fianco. Nel punto di piega, proprio sotto l’arcata centrale si scorge una base quadrata con a fianco la muraglia di contenimento della sponda: sono le fondamenta della torre, il punto coincide perfettamente con le indicazioni riportate nel disegno