San Valentino a Monselice, chiavi, amore e folklore
In occasione del 14 febbraio la cittadina euganea viene inondata di presenze, ma non si tratta solo degli innamorati perché l’antico e misterioso san Valentino non è solo il protettore delle coppie, ma è anche noto come guaritore del “mal caduco o di san Valentino”
Il 14 febbraio di ogni anno migliaia di persone affollano la via che dal centro di Monselice sale al santuario delle Sette chiese giubilari e a villa Duodo. La meta non è né l’uno né l’altro: è invece la meno celebre chiesetta che sorge accanto alla villa, santuario anch’essa ma a sé stante, dedicata a San Giorgio e alla Madonna di Loreto. Eppure, è la festa di San Valentino…
“La devozione risale al Seicento – rivela mons. Sandro Panizzolo, parroco di Monselice – quando grazie ai Duodo furono traslati in questa chiesetta 25 corpi provenienti dalle catacombe romane. Tra questi, uno era di un Valentino. A quel tempo non c’erano molte informazioni, quindi la devozione popolare lo ha subito identificato con il San Valentino vescovo di Terni, il cui culto era molto antico. Oggi in Italia vi sono molti luoghi che conservano le spoglie di santi chiamati Valentino”.
Il culto di san Valentino è in realtà molto antico: pare che la festa in suo onore sia stata istituita addirittura nel 496 da papa Gelasio I in antitesi ai Lupercalia, sfrenata festa pagana della fertilità che si celebrava appunto a metà febbraio, in qualche modo precursore del moderno Carnevale.
Ad accorrere a Monselice il 14 febbraio non sono solo gli innamorati: l’antico e misterioso san Valentino non è infatti solo il protettore delle coppie colpite dalla freccia di Cupido, ma è anche noto come guaritore del “mal caduco o di san Valentino”, ovvero l’epilessia. Si tratta in realtà di santi diversi confusi dalla devozione popolare: due San Valentino vissuti tra Roma e Terni – alcuni studiosi ritengono però che si tratti della stessa persona – sono legati al tema amoroso, uno avrebbe speso l’esistenza a favore delle coppie di sposi e l’altro sarebbe stato ucciso per aver celebrato un matrimonio tra una cristiana e un pagano; il secondo (o terzo) santo fu vescovo a Passau (Passavia), in Germania, è ricordato il 7 gennaio ed è raffigurato in atto di guarire un epilettico.
Il culto di san Valentino è molto antico, probabilmente la festa è stata istituita nel 496 da papa Gelasio I in antitesi ai Lupercalia romani
Lo stesso nome Valentino, derivando dal verbo latino “valere”, stare bene, avrebbe un legame con la dote del santo taumaturgo. Gli epilettici erano visti anche come degli indemoniati, vittime di possessione diabolica: da qui l’usanza di proteggerli mettendo loro al collo delle chiavette benedette.
Perché le reliquie di San Valentino si trovano a Monselice? La storia è lunga ma si può sintetizzare dicendo che Pietro Duodo, ambasciatore veneziano presso la Santa Sede in un periodo di alto contrasto tra il papato e la Serenissima, contribuì a dirimere le questioni che dividevano le due potenze e si garantì il favore del pontefice. Il Duodo chiese e ottenne nel 1605 da papa Paolo V un privilegio unico, sancito dalla bolla che riconosce “a tutti i fedeli d’ambo i sessi veramente pentiti, confessati e comunicati”, che visitano le cappelline erette a Monselice e che ricordano le Sette Chiese Giubilari (le cappelline sono però sei perché l’ultima riunisce i titoli delle basiliche di San Pietro e di San Paolo), “le stesse indulgenze, remissione dei peccati e grazie spirituali, le quali sogliono e possono conseguire tutti coloro che visitano le Sette Chiese dentro e fuori delle mura di Roma”.
Per quale motivo i Duodo abbiano voluto erigere, a proprie spese, tale santuario non è dato sapere, ma è certo che non esiste al mondo un altro luogo di culto che goda dei medesimi privilegi giubilari delle Sette chiese. E questa concessione straordinaria è valida ancora oggi. Ma arriviamo ora a san Valentino: il percorso del pellegrino si conclude idealmente in un ulteriore santuario, l’oratorio appunto di San Giorgio, dove sono raccolte le citate reliquie dei martiri cristiani dei primi secoli della Chiesa, tra i quali quelle di un san Valentino: ulteriori “doni” romani fatti giungere da Alvise Duodo nel 1651, cui si aggiunsero altri corpi di santi martiri concessi da papa Clemente XI a Niccolò Duodo nel 1720.
Il 14 febbraio di ogni anno, per tutto il pomeriggio, dalle 14 circa al tramonto, i fedeli creano una lunga fila e vengono fatti entrare a gruppi nella zona sacra dove sono custodite le reliquie dei martiri. Qui si turnano dei sacerdoti che accolgono i fedeli, recitano una preghiera per i bambini e una per i fidanzati, e impartiscono a tutti una benedizione. “Vengono bambini accompagnati dai genitori, dai nonni, e coppie di fidanzati – continua mons. Panizzolo – sono sempre almeno diecimila persone, quando il tempo è bello anche il doppio; un anno in cui la festa era caduta di domenica, si è parlato anche di trentamila, venute a prendere le chiavette di San Valentino”.
La tradizione popolare prevede, oltre alla preghiera, che si venga qui a prendere un ricordo devozionale: si tratta di una chiavetta d’oro benedetta – a forma di chiave sanpietrina – con la scritta San Valentino. All’esterno della chiesetta, alcuni banchetti organizzati da volontari distribuiscono gli oggettini, già benedetti.
“La chiavetta – spiega don Panizzolo – è un augurio perché apra al fedele, con una vita di fede, la porta del paradiso. Ma ricorda anche le chiavette benedette che venivano appese al collo a protezione dei malati di mal caduco, mentre per i fidanzati rappresentano le chiavi del cuore. Simboli antichi, forse precristiani, che sono oggi elementi di una festa che unisce il profano al religioso, alla pietà popolare. Una tradizione che mantiene vivo il senso del sacro, ma anche una festa gioiosa: i bambini spesso vengono in maschera, vestiti da carnevale. Una festa della vita”.
Chi visita la chiesetta di San Giorgio può dare un’occhiata anche alle sue bellezze artistiche: va citato almeno il paliotto dell’altare, realizzato dai Corberelli, con intarsi di marmi policromi, madreperla e pietre dure. Alle spalle dell’altare, un’apposita saletta conserva in teche lignee le spoglie dei santi martiri. Tra Sei e Settecento furono invece realizzati i dipinti su tela inseriti nei vari cavedi dell’oratorio, come pennacchi e lunette. Sopra la porta d’ingresso, una lunetta ritrae la Madonna con Bambino e san Felice da Cantalice, nelle altre vi sono il Beato Giordano Forzaté e Pier Damiani. Il soffitto è la sintesi simbolica del santuario e della sua misteriosa origine: presenta Maria Assunta al cielo circondata dai santi titolari delle Sette Chiese e, in figura allegorica, Venezia.
Le foto che corredano questo articolo provengono dalla pagina Facebook Turismo Monselice